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Tradire i propri antenati per dare vita ad una nuova generazione: "In Memoria Di" è il potente esordio di Lamante - Intervista

Dopo aver disseminato il 2023 e l'inizio del 2024 con diversi singoli che hanno attirato, fin da subito, l'attenzione del pubblico e della critica, lo scorso 9 Maggio è uscito finalmente per Artist First "In Memoria Di", album d'esordio di Lamante, cantautrice classe '99 dalla potentissima forza espressiva e comunicativa.



Il disco, co-prodotto da Lamante insieme a Taketo Gohara, è un viaggio all'interno delle stanze della sua vita in cui l'artista, ripercorrendo le sue origini, le sue memorie e la sua vita, "saluta il filo rosso di una violenza che ha tracciato e intrecciato la mia famiglia Donna fino a raggiungere me, generazione su generazione", decidendo che è ormai giunto il tempo per una nuova generazione, un nuovo figlio, una rigenerazione. Per capire la potenza di "In Memoria Di", l'artista originaria di Schio ha scritto anche un testo/manifesto in cui racconta questo suo debutto e un trailer video, realizzato da Nicolò Bassetto, che, cari lettori, vi consiglierei caldamente di recuperare per comprendere al meglio il valore di questo lavoro.


In occasione della pubblicazione, noi di Indievision, abbiamo avuto il piacere di fare quattro chiacchiere con Lamante per parlare di "In Memoria Di", di com'è stato collaborare con Taketo Gohara, del suo manifesto, della sua poetica e di alcune curiosità dietro alle canzoni che compongono uno degli esordi discografici più belli ed interessanti degli ultimi anni.



Ciao Giorgia, benvenuta su IndieVision! Come ti senti a quasi una settimana di distanza dall'uscita del tuo primo disco?

Stanca (con risata in sottofondo). No, in realtà sono molto felice. Ho ricevuto un sacco di feedback positivi da tantissime persone, un sacco di telefonate, messaggi e anche pensieri profondi dedicati al mio album. Tutto questo mi rende orgogliosa e mi fa capire anche che, effettivamente, questo lavoro che è durato tre anni, tre anni di pazienza, è servito e che anche tutto il team di lavoro dietro al disco sta lavorando in modo giusto. Ho detto, effettivamente, come prima cosa stanca perché da quando è uscito l'album non riesco più a dormire perché, penso che mi abbia seguito fin dentro i miei sogni. 

 

Il tuo nome è Giorgia Pietribiasi ma il tuo progetto musicale si chiama Lamante; volevo chiederti, per il pubblico che ancora non ti conosce, come mai la scelta di questo pseudonimo?

Allora è molto divertente. Premetto che non mi piacciono molto i nomi d'arte perché, nel 2024, penso non abbia più senso, al meno che tu non abbia un alter ego o cose di questo genere, e quindi penso sia importante chiamarsi con nome e cognome. I problemi sono due principali: uno è che una Giorgia c'è già ed è molto identificativa come cantante e quindi per potermi chiamare con il mio nome, avrei dovuto aggiungere anche il mio cognome, però, l'altro problema è che ho veramente un cognome che è difficile da pronunciare, Pietribiasi. Inoltre, oltre alla difficoltà nella pronuncia, c'è anche una difficoltà a livello storico, di memoria familiare per me, perché è un cognome che porta la mia famiglia, da parte di mio padre quindi maschile, che ha avuto un'importanza a Schio, città dove sono nata e cresciuta, negli anni '70 con tutti i gruppi extra-parlamentari, i movimenti, l'arrivo dell'eroina… e quindi è un cognome, sotto alcuni punti di vista, difficile da portare. Con Taketo (Gohora), perciò, abbiamo cercato di ragionare su che cosa Giorgia Pietribiasi potesse essere, metaforicamente, nel mondo e Lamante secondo me ha tanti significati intrinseci. Da una parte c'è questo rapporto con la parola "tradire" che, nell'etimologia del termine, vuol dire "concedere / concedersi / consegnare". Quindi (Lamante) ha molto a che fare con la parola "tradizione" che a me è molto cara, appunto l'album si chiama "In memoria di". L'amante, poi, in una relazione, è quella che si prende sia il meglio che il peggio: da una parte, non ha tutte le responsabilità e le complicazioni che può avere una relazione, però, dall'altra, non può avere quella persona fino alla fine, non può essere ufficiale quel rapporto ed io, con il mio mondo, ho un po' questo rapporto qui. Infine, Lamante, richiama anche la Mantide Religiosa e penso tu sappia cosa faccia la Mantide Religiosa a i maschi.


 

"In Memoria di" è il tuo disco di debutto, uscito lo scorso 9 maggio per Artist First, che hai prodotto con Taketo Gohara, uno dei producer più interessanti sul panorama musicale. Com'è stato lavorare con lui?

È stato di grande insegnamento per me. La cosa che mi ha insegnato di più Taketo è questa: ogni volta che andavamo in studio lui tornava bambino e sembrava che ogni volta fosse la prima volta ed è, secondo me, fondamentale questo se vuoi fare musica nella vita. Da una parte, quindi, penso sia stato proprio un insegnante, mentore nei miei confronti. La cosa veramente bella di Taketo, poi, è che quest'album è stato co-prodotto con lui e quindi c'è anche la produzione mia. Avere la sua fiducia, lui che è, come sottolineavi, uno dei produttori nazionali più forti, sapere che una persona come lui, con questa carriera, mi dava fiducia anche a livello di produzione, per me è stato un insegnamento fondamentale. Secondo me, soprattutto, cosa importantissima, quando sei in un team di lavoro, la figura del produttore è fondamentale, quasi quanto quella del manager, e ci deve essere un rapporto di amore, deve scattare una specie di innamoramento. Con Taketo ho sentito proprio questa cosa qua, una connessione fortissima. Tant'è mi ricordo che le prime volte che andavo in studio da lui, in questi studi incredibili, con microfoni costosissimi, io abituata a registrare a casa mia con le cuffiette a garage band, lui che mi dice: "continuiamo a registrare con le cuffiette dell'iphone" e quindi mi son detta: "minchia, allora è un punkettone come me". Inoltre mi ricordo che, le prime volte, io gli dicevo: "ci vorrebbe questo suono", ma non riuscivo ad avere i termini tecnici e Taketo, nel giro di tre secondi, riusciva a capire benissimo cosa intendessi perché lo stava pensando anche lui. Infine, devo dire che, con tutte le persone con cui lavoro se non scatta quella cosa, quella scintilla, tendo a non lavorarci, il mio istinto mi dice che forse non è il caso, perché io con la mia musica, parlando della mia vita nel modo più necessario possibile, non posso avere una persona vicino a me che non provi amore per la cosa che sto raccontando. Magari a livello tecnico riuscirebbe, un produttore con cui non mi è scattata la connessione, a trovare delle cose incredibili ma una canzone come "Ciao Cari", per esempio, piano e voce non l'avrei fatta. Infatti, per questo brano, Taketo mi ha messo lì, sono stata venti minuti sul pianoforte a piangere e, a livello tecnico, stono, non riesco ad essere perfetta ma lui, amando quello che io stavo vivendo, quello che ho vissuto, ha tenuto quella take e, infine, abbiamo pubblicato quella. Forse, in fin dei conti, l'insegnamento più grande che mi ha dato Taketo è quello di fidarmi. Io sono stata sempre una persona diffidente nella vita, ad esempio, non andavo a tagliarmi i capelli dalla parrucchiera perché non mi fidavo e quindi me li tagliavo in casa con le forbici della cucina. Mentre Taketo, io non so perché, è stata la prima persona di cui ho iniziato a fidarmi nella mia vita e, quindi, mi ha insegnato anche questo. 

 

Tra i 5 singoli che hanno anticipato l'uscita del tuo disco d'esordio, i quali mostrano tutto il tuo talento musicale e testuale e le diverse sfaccettature della tua poetica, mi ha colpito fin dal primo momento "Guerra & Pace", canzone che reputo il tuo manifesto sia testuale, che musicale, soprattutto per quella meravigliosa coda strumentale. Volevo chiederti, com'è nata questa canzone?

Non ho mai ragionato sul fatto che potesse essere il mio manifesto però, effettivamente, è uno di quei pezzi che a livello di testo e strumentale parla la stessa lingua; infatti, anche lo strumentale, parte con una pace e finisce come una guerra. Con Taketo, all'inizio, il pezzo era nato fino a dove canto, quindi non c'era la coda, e poi, finito di registrare, mi ricordo di essere andata da lui, ci siam guardati e abbiamo pensato la stessa identica cosa, ossia devo fare una coda, la quale è stata tutta fatta da me, nella mia casetta, nel mio eremo urbano. "Guerra & Pace" è una delle canzoni più vecchie dell'album, la prima bozza risale ancora prima di questi tre anni e quindi è molto vecchia. È nata poco prima che ritornassi in Veneto, abitavo ancora a Milano, e avevo una guerra interiore fortissima dentro di me. Io che provengo da una famiglia di contadini mi ritrovavo in una metropoli, in una delle città più grosse del nord per cercare di lavorare alla musica e, questa cosa, mi sembrava così contraddittoria, effettivamente, cosa centrava la musica con Milano? Il fatto che, ormai, si fosse accettata una "Milanocentricità" a livello musicale, che tutti avevano accettato e che portava tutti ad andare lì, mi faceva incazzare però, allo stesso tempo, mi piaceva anche Milano. Quindi avevo questa contrapposizione fortissima che mi ha portato a scrivere questo pezzo. Tu dici bene che è un manifesto (Guerra & Pace) perché, effettivamente, un po' tutta la mia vita è così.


Parlando sempre di "Guerra & Pace", perché è più facile per te riuscire a "Fare la guerra e mai la pace"?

In realtà, ti dico la verità, mi è molto più difficile fare la guerra che la pace, nel senso che non è che se io faccio molto più spesso la guerra nella mia vita è perché è la cosa che mi è più facile fare. Io, per una vita, ho cercato di conservare una memoria familiare e "conservare" è il contrario di fare la guerra, perché la guerra fa parte della distruzione. Quindi per una vita ho cercato di conservare, di non lasciare andare però sono arrivata in un momento, pian piano ho preso consapevolezza di questa cosa, che forse sarei dovuta arrivare a conservare tutto questo per poi distruggere e lasciare andare. Io nel mio manifesto dico questa cosa "vorrei essere un perdente come mio nonno" ed io trovo il perdere una delle cose più rivoluzionarie, più potenti, più belle che adesso si può fare. Ad esempio, tu coltivi la terra, fai crescere le piantine, gli dai da bere ma poi, ad un certo punto, tu dovrai raccoglierle e mangiarle, tirare via quelle piante e, per fare una cosa del genere, tu devi saper perdere nella vita e questo è un insegnamento fortissimo, grandissimo che mio nonno mi ha dato. Questo è quello che ho fatto, sto cercando di fare, con la mia memoria, ho fatto con questo album e questo fa parte della distruzione, della guerra. La guerra, la distruzione, per me, per la mia vita è stata un fatto, a volte, estremamente positivo, di grande insegnamento. Le persone che abitano in occidente sono degli accumulatori seriali, noi non riusciamo a perdere niente, ad esempio mentre ti sto parlando sto guardando il mio monolocale che è totalmente pieno di cose che non riesco a lasciare andare, però cazzo, delle volte, bisogna saper fare la guerra, bisogna distruggere, bisogna perdere.


Quindi, possiamo dire che, perdere ti aiuta anche a crescere.

Assolutamente, perché può lasciare spazio al resto, ad altro. Nel testo di "Prima di te" dico: "le mie mani sono le specchio di tutto ciò che ho perso e non sarò più" e questa è la mia prima canzone d'amore. Io ho ragionato tanto su questi versi che ho scritto, perché ho capito dopo il significato. "Le mie mani sono lo specchio di tutto ciò che ho perso" è come dire: sai, io adesso posso darti la mia mano perché non c'è niente che sta afferrando, è vuota, ha perso tutto ed ora, così, posso prendere la tua, quindi posso crescere, andare avanti.

 

Insieme all'uscita di "In Memoria Di" hai pubblicato un tuo scritto in cui racconti la genesi di questo tuo lavoro. Le parti che più mi hanno colpito di questo tuo manifesto, che sintetizza alla perfezione il concept del disco, sono diverse, ma vorrei soffermarmi su una sezione: con questo disco hai voluto "tradire" la storia dei tuoi antenati, una storia scritta dagli uomini della tua famiglia e tramandata, con silenzi e violenze, in generazione su generazione. Quant'è stato importante per te poter dare finalmente voce, con il disco, anche alle donne della tua famiglia?

È stato forse il passaggio più importante e c'ho messo tanto a capire che avrei potuto fare una cosa del genere, che significava anche quello quest'album. Risponde ad una frase che ho scritto, è scritta, alla fine del trailer video dell'album, girato da Nicolò Bassetto, che dice: "nemmeno i morti saranno al sicuro se il nemico continuerà a vincere". La mia risposta è proprio quest'album, per la prima volta una persona donna, nella mia famiglia, parla della storia della mia famiglia. In questo caso, il nemico non ha vinto, mi sembra di riportare pace a tutte le donne che ci sono state prima di me e questo, per me, è molto importante. La cosa che mi ha spinto in assoluto di più a fare questo album, ad essere la prima donna a parlare della mia storia familiare, è che, obiettivamente, oltre ad essere tramandato oralmente il racconto familiare, sempre generato dalla visione, anche inconsapevole, degli uomini, io credo che gli uomini, in generale, siano spinti maggiormente a creare, tramite le arti anche, proprio perché la donna crea l'espressione massima facendo un figlio. Per esempio, mio nonno fotografava, dipingeva, scriveva tantissimo e mio papà pure e quindi tutta l'espressione artistica familiare della mia famiglia è sempre stata tramandata dall'uomo. Quando ho trovato i diari di mio nonno, che parlavano della storia della mia famiglia, io non ce l'ho più fatta, perché era tutto filtrato attraverso l'occhio del padre padrone e quindi ho detto: "adesso basta, ora mi ribello".



Da un punto di vista musicale, in alcune canzoni, tra cui "Non chiamarmi bella" e "Rossetto" si sente il tuo amore viscerale per i Cccp e per le atmosfere punk , mentre in altre, come "Ed è proprio così" e "Annamaria" hai deciso di fare arrangiamenti, se così possiamo definirli, meno punk. Volevo chiederti, quali artisti, scrittori hanno ispirato il sound di "In Memoria Di"?

Allora, ce ne sono un bel po' in realtà perché questo album è, veramente, una miscela di… Hanno ispirato, però, non so se sia il termine giusto, perché non sono mai andata in studio con una reference ben precisa ma, diciamo che, nel periodo in cui stavo facendo l'album Taketo mi diceva, ascoltati degli album che, secondo te, possano rispecchiare delle sonorità, una scrittura, una metrica ma non esserne influenzata, ascolta e basta. In questi tre anni, i miei ascolti, sono stati Motta, Angel Olson, Pj Harvey, Tricky, CSI e basta, diciamo che questi sono i principali. Per quello che riguarda Motta, lui mi ha anche aiutata un po' a scrivere "La nostra prova di danza". Quando è uscito "La Fine dei Vent'Anni" (esordio da solista di Motta, pubblicato nel 2016) per me è stato uno scossone fortissimo perché, in quel momento lì, ho detto: "cazzo, si può scrivere musica italiana in modo diverso da come si è fatto fino ad adesso". Inoltre, mi ha scosso anche il come è stato recepito il disco dal pubblico, poiché erano lì che lo aspettavano tutti un album così. Motta si è proprio slegato dalla struttura classica del pezzo italiano e, per me, quello è stato di grande insegnamento perché, anche io, cercavo di farlo ma, non avendo delle reference, avevo paura di star facendo una stronzata. Un altro ascolto, infine, ti direi anche Cristina Donà, lei è la mia grande dea.

 

In "Ed è proprio così" canti "da quando mi sono trasferita non sono più la stessa e la borghesia non mi fa più così paura": diventare grandi significa anche imparare l'arte del compromesso?

Dipende per che cosa intendi con compromesso. Allora, posso provare a spiegartelo così: quando avevo sedici anni scrivevo già canzoni, ero incazzata con il mondo tantissimo e, crescendo in questa famiglia comunista, ero incazzata contro il mercato, il capitalismo e dicevo l'industria della musica è una merda, son tutti corrotti, io scrivo così e non mi cambierà mai nessuno, ma poi è arrivato Taketo Gohara. Lui mi ha fatto una domanda molto semplice: "per chi stai facendo musica?" e poi ha continuato "è la musica che sta facendo te o sei tu che fai la musica? Vuoi essere cantata o vuoi cantare?  Quanto importante, egocentrica ti senti per poter dire che sei tu che stai facendo la musica e non la musica che ti sta facendo?". In quel momento, quindi, ho iniziato a pensare tanto su questi aspetti ed è successo che, alcune volte, in alcuni pezzi, a cui ero molto affezionata per delle frasi che avevo scritto, arrivata in studio Taketo me li prendeva e ne faceva una carneficina. Però, perché stava facendo questa carneficina? Per la musica, per portare in alto la musica e non per portare in alto me, io che sto scrivendo e, allora, questo compromesso ha senso. Secondo me, poi, nella vita, quando si cresce, si è semplicemente più inclini al compromesso perché si è più pigri, stanchi, si ha meno voglia di lottare e, delle volte, è anche un fatto di intelligenza. Se un compromesso arriva per una fiducia forte che si ha con un'altra persona, come me con Taketo, questo, secondo me, sarà positivo. Dobbiamo smetterla di essere degli individualisti del cazzo, soprattutto quando si fa arte. Per quanto il mio processo creativo sia, veramente, io da sola nella mia cameretta e tutto, non si può pensare di andare avanti senza essere circondati da altre persone e quando si è circondati da altri c'è anche il compromesso e, cazzo, va benissimo così, perché non c'entra niente con il vendersi, con il tradire se stessi, anzi a volte è giusto il contrario. Ad esempio, delle volte, Taketo mi ha cambiato delle strutture di un pezzo, delle parti di un pezzo che poi mi hanno rappresentato ancora di più, come nel caso di "Come volevi essere", un brano che lui ha cambiato a livello di struttura, svoltandolo, facendolo diventare ancora più fedele a quello che ero.



La penultima canzone del disco, nonché ultimo singolo pubblicato prima di "In Memoria Di" è "La nostra prova di danza", una traccia dedicata a tua sorella maggiore e che ti ha fatto capire che "le persone si possono lasciare andare con amore, per amore". Volevo chiederti, secondo te, perché si soffre così tanto quando si lascia andare via una persona dalla propria vita? E questo dolore può far bene nella propria crescita personale?

Penso che quando una persona va via faccia soffrire tantissimo perché, in un qualche modo, ti accorgi che non può dipendere da te, è una persona a sé stante in tutto quello che prova e non è te. Quindi, il lasciare andare una persona, è il momento in cui ti rapporti con l'altro, con quello che è altro, che non ti può appartenere. Questo fa soffrire, perché, nella nostra vita cerchiamo di avere il controllo su tutto, tutto ciò che ci capita, ad esempio, abbiamo un orologio che portiamo sempre dietro per controllare il tempo, e poi, ad un certo punto, una persona va via dalla tua vita e te non ci puoi fare niente, puoi semplicemente arrenderti, che è una cosa bellissima ma fa male. Quando capisci questa cosa ti accorgi di non essere veramente padrone di niente, nemmeno di te stesso. Questa cosa, secondo me, fa crescere tantissimo e si ricollega all'azione di perdere, di inizio intervista, di imparare a lasciare andare, a lasciar perdere, a perdere le cose. Inoltre, ti può insegnare a rapportarti in modo diverso con le prossime persone che incontrerai, che amerai, a sapere che quella persona non ti potrà mai appartenere del tutto, ci sarà sempre un qualcosa di solo ed esclusivamente suo che non può dipendere da te. Infine, quanto è bello rendersi conto che, nel fottuto mondo, non c'è tutto che può dipendere da noi. Io questa cosa, il lasciare andare le cose e che gli altri non dipendono solo da noi, l'ho imparato da mia sorella Cinzia, una registra teatrale che dai diciotto anni è sempre andata via. Lei è stata la prima persona di cui, da piccolina, mi sono innamorata, in quanto sorella, è stato il primo legame di sangue che ho sentito così forte, quasi di più rispetto a quello con i miei genitori. Quindi, il fatto che lei continuasse a cambiare città, a me destabilizzava tantissimo perché non potevo fermarla, era la sua vita e non la mia. La bellezza de "La nostra prova di danza" rimane nel fatto che, ho capito davvero molto tempo dopo di chi stesse parlando questo brano qui. Questo, per farti capire,  la frase di Taketo: "vuoi essere cantata o contare?", perché io, tante volte, mi faccio trasportare dalle parole e dalla musica senza, però, chiedermi di cosa sto parlando e a chi sto parlando. Quando sono andata in studio con Motta, ero convintissima che "La nostra prova di danza" fosse un pezzo di amore romantico ma poi nello studio di registrazione, da seduta, (perché io registro solo da seduta), e super concentrata ad immaginare questo amore romantico, cantando questo pezzo mi è caduto l'occhio su una foto di mia sorella e mi son detta: "porca puttana, io son qua che sto cantando di un amore romantico e invece parlo di mia sorella, è mia sorella questo brano".

(Andando fuori tema, Giorgia mi ha confessato che non vede l'ora che i suoi pezzi vengano usati come messaggi post rottura da inviare a colui o colei che vi ha appena lasciati e quindi, cuori spezzati di IndieVision, fate contenti questa meravigliosa artista e dedicati i suoi pezzi ai vostri amori o a coloro che vi hanno spezzato il cuore).


Il disco si chiude con "Ciao Cari", brano piano e voce dalla struggente forza espressiva ed emotiva che conclude alla perfezione il percorso di "In Memoria Di" e chiude definitivamente la porta dei tuoi primi 25 anni di vita. Com'è nata questa canzone?

Questa canzone è nata da un libro di Stefano Guglielmin che si chiama "Ciao Cari". È un libro che racchiude una quarantina di poesie ed ogni poesia è dedicata ad un personaggio della Schio degli anni '70. Io leggo tantissimi libri e, a caso, mi è capitato questo libro tra le mani che io ho iniziato a sfogliare e ad un certo punto, senza accorgermene, stavo leggendo una poesia su mia zia. Questa cosa mi ha destabilizzato, mi ha fatto provare un senso di vuoto, anche perché erano tutte poesie su persone che erano morte. Quindi mi è venuto un groppone, anche perché, su mia zia, ho sempre cercato di estrapolare cose dalla mia famiglia però, difficilmente, ho trovato altre persone, al di fuori dalla mia famiglia, con cui parlarne perché, veramente, c’è stata una generazione scomparsa, di morti. Ad esempio, l'altro giorno, sono passata in questo bar di Schio e ho incontrato a caso delle persone che mi hanno fatto scoprire nuove cose, nuovi ricordi su mia zia. Appunto, la lettura di questo libro mi ha destabilizzato parecchio e, dopo aver lasciato il libro in libreria, ho camminato verso il mio monolocale e, in quel momento, ho provato una rabbia fortissima nei miei confronti che mi ha fatto scrivere una frase, presente nel testo della canzone: "io non muoio se una poesia mi gela il sangue". Continuavo a pensare a questa frase perché sì, io stavo male, stavo soffrendo ma, di fatto, quella che era morta non ero io. Da lì, mi sono chiusa in casa e, nel giro di dieci minuti, ho scritto "Ciao Cari", pezzo che mi è anche servito per salutare una generazione familiare, un prima di me.


Infatti, secondo me, "Ciao Cari" è il pezzo perfetto per concludere questo album perché è la canzone perfetta per liberare tutto quello che hai raccontato "In Memoria Di", ossia, è l’addio a quello che eri, alla tua storia passata.

Infatti, "Ciao Cari" è stato l'ultimo pezzo che abbiamo registrato. In questo caso c'è la furbizia, intelligenza di Taketo perché ha voluto lasciare questa canzone fino all'ultimo. Mi ricordo l'ultima settimana in cui siamo andati a registrare ad Officine Meccaniche, dove c'era questo piano gigante suonato da Duke Ellington, considerato da Mauro Pagani l'anima di officine, ed io non vedevo l'ora di suonare questo pianoforte e ogni giorno chiedevo a Taketo "quand'è che registriamo Ciao Cari?" e lui continuava a dirmi di aspettare, di aspettare. Dopo aver registrato tutti i brani, siamo arrivati all'ultimo giorno e dopo che la mia band se n'è andata, siamo rimasti solo io e Taketo e lui mi ha detto che adesso era arrivato il momento di registrare "Ciao cari". Io non avevo capito che quello era il pezzo che mi sarebbe servito per liberarmi, mentre lui lo aveva già capito e quando mi ritrovai davanti al pianoforte, realizzai che era il pezzo dei saluti.


Il 25 maggio di esibirai al "Mi Ami Festival", volevo chiederti, quant'è importante per te e le tue canzoni la dimensione dal vivo? Avremo occasione di ascoltare i brani "In Memoria Di" in giro per l'Italia quest'estate?

Per me i live sono la cosa più importante, ossia il risultato di questo lavoro, durato tre anni, dovrebbe essere suonato. Il live è forse anche l'espressione che amo di più. È veramente importante poter raccontare, per me, cos'è quest'album qui, anche tramite varie formazioni, ossia, abbiamo una formazione in duo e quella più grande in sei. Sì, stiamo lavorando a un bel po' di date in giro per l'Italia, speriamo di viaggiare e portare in giro quest'album e al Mi Ami presenteremo proprio "In Memoria Di". Per quello che riguarda il Mi Ami, è da due mesi che stiamo lavorando ad una scaletta che abbia senso narrativo e che possa fare un passo ulteriore al racconto, alla forza di "In Memoria Di".



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