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Immagine del redattoreDaniele Saracino

Tha Arrows: come ampliare l'identità del panorama rock italiano - Intervista

Nomen omen, la loro musica è diretta e fendente come frecce d'acciaio scagliate al petto. Quattro ragazzi, nati tutti nel ventunesimo secolo, si ritrovano in una sala prove e da quel giorno non si lasciano più. Quattro radici musicali diverse fuse in un progetto che prende ispirazione da musica di decenni passati alla musica più attuale e contemporanea. I testi sono diretti e urlano in faccia all'ascoltatore senza rimorsi o peli sulla lingua e dal vivo sono fuoco sul palco. Questa la nostra intervista a questa giovane promessa nel panorama rock (e non solo) italiano, i THA ARROWS.


Come vi siete conosciuti e come si è formata la band?

Ci siamo conosciuti in modo abbastanza “figo” a dir la verità: Io (Mattia, voce) e Stefano (chitarra) ci conosciamo dalla scuola, volevamo mettere su una band e ci siamo ritrovati ad avere bisogno di un bassista e di un batterista. Un giorno li abbiamo trovati direttamente in sala prove, da quel momento non ci siamo più separati, come un incontro del destino.


Come nasce il nome della band?

In realtà avevamo bisogno di un nome accattivante per partecipare ad un contest e lo abbiamo inventato sul momento. All’inizio era “The Arrows”, non volevamo cambiare il nome però nel tempo abbiamo deciso di fare questa piccola modifica (”THA ARROWS”) che riprende un po’ lo slang americano, per dare una svecchiata al nome.


Da dove deriva la vostra passione per la musica e la necessità di fare musica?

Stefano (chitarra): io ho studiato fin da piccolo musica, soprattutto rock e blues, anche se ultimamente sono molto in fissa con il rock psichedelico moderno, tipo Tame Impala.

Bjørn (basso): Ho trascorso i primi anni dell’infanzia formandomi come sicario [ride] , poi un amico mi ha passato un disco degli AC/DC e da lì ho iniziato. Sono partito dal rock classico poi ho cercato sonorità e sempre più oscure ed estreme con le quali sopprimere i pensieri più cupi (infatti ho altri progetti musicali in cui esprimo queste altre necessità).

Bjørn (batteria): Io provengo da una famiglia di musicisti, perciò la strada della musica era praticamente inevitabile. Ho iniziato a suonare a 6 anni. Sono sempre stato un bambino iperattivo, battevo su tutto a ritmo e i miei un giorno decisero che farmi suonare la batteria sarebbe stata una buona idea. Tra l’altro i miei genitori hanno un negozio di strumenti musicali di cui Pierluigi è cliente da anni, da prima che mettessimo su la band.

Mattia (voce): Ho iniziato da autodidatta come pianista classico alle medie, studiando per tre anni; poi ho conosciuto Stefano (chitarra) con cui ho iniziato a mettere su la band. Ho scoperto in modo molto più approfondito la musica proprio grazie a loro. Scrivevo i miei testi di nascosto, soprattutto sulle note del telefono, col tempo la voglia di cantare è venuta fuori, così dopo una situazione con la prima cantante del gruppo, ho colto l’occasione. Ho iniziato a prendere lezione di canto jazz, che mi sono state molto utili, soprattuto per l’approccio e l’impostazione. In quest’ultimo anno ho approfondito il discorso dei sintetizzatori, per aggiungere una nota psichedelica alla band. Noi infatti nasciamo con stampo blues rock, ma stiamo cercando qualcosa di originale, la nostra identità, e il genere che vorremmo portare noi in Italia c’è poco.


Mi piace di voi che portate questo rock psichedelico che da noi è poco commerciale, e soprattutto avete il coraggio di farlo in italiano: avete in mente di continuare su questa linea o scrivete anche in inglese?

In realtà noi abbiamo iniziato a scrivere in inglese, l’esigenza di scrivere in italiano è venuta solo dopo. La lingua inglese suona (a noi italiani) melodica e fresca, perché siamo abituati ai cantautori che hanno un approccio più tradizionale. Avevamo pochi punti di riferimento in casa nostra, ma ne abbiamo trovati alcuni a cui abbiamo aggiunto tanti spunti dalla scena internazionale. La musica è anche un gioco di compromessi: prendere un sound e renderlo proprio non è facile, ci abbiamo provato e alla fine è nata anche la necessità di comunicare in italiano. Il nostro primo singolo non è di certo il classico singolo di lancio da due minuti e mezzo, non è molto radiofonico, ma questa è la nostra identità, musicale e non, ed è così che vogliamo comunicare.


Quali sono le vostre influenze musicali?

Proveniamo da quattro mondi diversi, abbiamo radici sia simili che diverse, ma riusciamo a farle convergere tutte in un unica cosa. Io (Mattia, voce) provengo dalla musica elettronica, per passare poi alla scena rap e urban e solo infine al rock. Io (Stefano, chitarra) come ho già detto vengo dal rock e dal blues più classico. Bjørn (basso) invece è il più metal: sì, sono molto attratto dall’oscurità e dalle sonorità dark. Io vengo da un panorama dentro casa internazionale, senza la tradizione del cantautorato italiano, infatti sono più affezionato a Bjørk che a Battisti per esempio, che ho riscoperto solo di recente.


Avete pubblicato il vostro primo singolo “Paranoie”, com’è nato il pezzo?

Noi non ci facciamo condizionare da una modalità precisa nello scrivere: quando sei in sala prove suoni insieme ad altre persone, ad un certo punto qualcosa ti colpisce e tutti vengono folgorati. Un giorno Stefano ha suonato questo riff e gli siamo andati tutti dietro, mentre il testo era un vecchia nota che avevo sul cellulare. Scriviamo molto in sala prove ma teniamo poco di quello che scriviamo, perché ci lasciamo trasportare, si parte così e poi si fondono le idee di tutti quanti e la canzone evolve piano piano. Il singolo infatti è registrato in presa diretta, è un lavoro molto intimo e leggero.


Chi e come scrivete i testi?

Mattia porta idee preliminari poi ognuno mette del suo. Mi piace scrivere senza mezzi termini per colpire nel profondo, cosa che condividiamo tutti quanti. Nelle idee ci sosteniamo tutti e ognuno mette mano alle cose degli altri. Abbiamo investito tanto tempo nel conoscerci in sala prove e non, e questo ha dato i suoi frutti.


Parlateci un po’ della vostra dimensione live.

Abbiamo iniziato a fare live seriamente da quest’anno, dopo una prima Carrellata di 15 date tra Gennaio e Marzo, poi in estate siamo stati in Campania. Facciamo tante date dal vivo, ci piace suonare e cerchiamo di fare più live possibili. Inoltre ci piace registrare in studio così come lo sentite dal vivo, tutto ciò che cambia possono essere solo alcuni layer di qualche synth e pochi altri dettagli del genere.

Abbiamo fatto anche il provino ad X Factor, sembrava essere andato tutto molto bene ma non ci hanno richiamato. Però è stata un’esperienza bellissima, il primo viaggio insieme della band, punto di partenza per tante cose, oltre alla conoscenza di molti musicisti e altra gente dell’ambiente, ecc. Rimarrà sicuramente un'esperienza formativa e positiva. L’importante per noi è diffondere il nostro messaggio musicale e la nostra morale.


Dal vivo suonate anche pezzi inediti?

Soprattutto! Abbiamo fatto uscire il singolo perché tanta gente ce lo chiedeva, ma abbiamo tanti pezzi inediti che suoniamo dal vivo. L’ambiente del concerto ci piace tantissimo, suoniamo sempre con estrema volontà di dimostrare chi siamo ovunque.


Nuovi progetti per il futuro?

Stiamo piano piano arrivando al pensiero di un progetto più ampio, tanti pezzi e idee che vogliamo canalizzare in un unico progetto. Ma per adesso continueremo con un po’ di singoli, anche perché riserbiamo svariate sorprese, soprattutto nei testi, perché ci piace parlare di cose scomode e colpire chi ci ascolta.


Quali sono le vostre di Paranoie?

Quello che c’è scritto nella canzone le esprime tutte quante, sia in ambito artistico che personale. L’obiettivo era proprio trovare il modo di comunicare le paure, a cui spesso viene dato poco peso, volevamo che fosse una valvola di sfogo e che le persone si immedesimassero nelle parole.



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