Mark Knopfler ha la straordinaria capacità di far emettere alla sua Schecter Custom Stratocaster dei suoni che paiono prodotti dagli angeli il sabato sera, quando sono esausti per il fatto di essere stati buoni tutta la settimana e sentono il bisogno di una birra forte.
(Douglas Adams, Addio, e grazie per tutto il pesce)
Apro questo articolo con la citazione con cui il leggendario Douglas Adams nella "Trilogia in cinque parti" chiamata Guida Galattica per autostoppisti apostrofava il fondatore dei Dire Straits perché ben si addirebbe anche allo stile musicale della band di cui voglio parlarvi oggi: i Seville.
Il loro album d'esordio, "WHO HAS DECIDED FOR US?", registrato in un garage interrato qualunque vicino a Curtarolo tra gennaio e giugno 2019, sembra il manifesto di ogni generazione che abbia mai calpestato questo pianeta a partire dagli anni 90. Già a partire dal titolo s'intuiscono quali saranno le intenzioni del manifesto: denunciare un mondo che non appartiene tanto a chi scrive questo articolo quanto a chi ha ricamato ogni traccia di questo album spaziale.
Spaziale tanto per le sonorità, che sembrano provenire da altri pianeti, altri sistemi musicali, altri tempi, quanto per i temi narrativi lambiti dai testi della prima fatica in studio dei Seville. In "Sunday Drivers", per esempio, si racconta di un viaggiatore marziano in fuga da non ben definiti sunday drivers tra colline deserte e miseri bar sperduti nel nulla. Il tema del viaggio ritorna spesso, ora visto con connotazioni positive e liberatorie, ora con piglio distopico e oppressivo, come in "No streets to run" dove l'imperativo del profitto e della produttività tipiche del nostro mondo soffocano vite rinchiuse in scatole di cemento e metallo.
Il mood cupo e malinconico che si insinua tra le righe di ogni traccia trova sempre nuove sfaccettature della realtà per potersi esprimere e impersonificare al meglio. In "Susanne" il bisogno di respiro e spazio della protagonista si declinano in una costante fuga e ricerca di nuovi stimoli ed esperienze, i quali contemporaneamente la lasciano priva di punti di riferimento sia emotivi sia fisici, cadendo in un circolo vizioso da cui è difficile trarre qualcosa di buono, per lei come per le persone che la circondano.
In "Dirt" fa la sua comparsa il cruciale peso della libertà di scelta che mette costantemente alla prova le nostre vite, la difficoltà di scegliere la propria via tra infinite altre combinazioni tutte potenzialmente giuste seppur rischiosamente cieche: "Creativity, divine deformity can’t fit in the puzzle, can’t be ruled by me". Con una delicatezza asfissiante i Seville riescono a presentarci un problema gigantesco della nostra esistenza quotidiana.
La costante ricerca di soluzioni sonore ampie e rassicuranti, enfatiche nelle strofe più provocatorie e candidamente genuine in quelle più serene e rassegnate, si propone di comporre un ampio spettro di sfumature acustiche in grado di accontentare ora ascoltatori bisognosi di una sferzata di vitalità ora quelli in fuga dal caotico vociare musicale degli ultimi tempi. C'è un po' di Tame Impala nei gargarismi lisergici che trovano ampio spazio in "Sunday Drivers" o anche in "Regards", c'è un po' di Pink Floyd nell'attitudine compositiva, ci sono massicciamente i Dire Straits nell'anima del disco. C'è insomma molta carne prelibata al fuoco di questo spazio che i Seville si ritagliano all'interno del mio cuore e del mio Spotify.
Averli ascoltati anche in live ha sicuramente aiutato a consolidare l'ottima impressione destata in me dal loro ascolto in cuffia. Il mio consiglio, quindi, finite le parole (sempre superflue) usate per raccontarveli, è ovviamente di indossare le cuffie più vicine a voi e lasciarvi conquistare da questi nuovi prodigi italiani, coraggiosamente autoprodotti e modestamente fenomenali.
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