"Roccasecca" è il primo progetto discografico del cantautore Teseghella per Maciste Dischi.
L'artista con il titolo del suo ep omaggia la sua terra, Roccasecca, un paesino situato tra Roma e Napoli. La provincia è il motore della sua creatività, che l'ha portato a sviluppare una narrativa del tutto inedita che solo in un secondo momento è stata in parte influenzata dalle grandi realtà che lo circondavano in modo indiretto.
Dopo solo sei mesi dall'uscita del suo primo singolo "Hollywood" è salito sul palco del Circo Massimo in occasione del Concertone del Primo Maggio a Roma, per poi esibirsi sul palco del Miami festival al Circolo Magnolia a Milano e ha avuto l'occasione di aprire alcune date del tour di Gazzelle, Fulminacci e Giuse The Lizia. Da poco è iniziata la sua carriera da autore firmando i brani "Estate disperata" di gIANMARIA e "quasi nuda" di Centomilacarie.
Ciao Teseghella! Il 12 luglio è uscito il tuo primo Progetto musicale “Roccasecca”, nome della tua città natale. Cosa ti ha portato a scegliere questo titolo e perché?
Ciao belli!! Io sono Gianmarco e appunto provengo da un paesino minuscolo chiamato “Roccasecca”. Sono una persona molto "nomade", quest’anno sono stato un paio di mesi in Abruzzo, un paio a Roccasecca e un paio a Milano, se la mia casa base continua ad essere quel paesino al confine tra Lazio e Campania, qualcosa vorrà pur dire; a me non piace dire "Sono di Roma" o "Sono di Napoli", piuttosto "sono di Roccasecca", un paesino che si trova precisamente tra Roma e Napoli, tra Cassino e Frosinone" e in molti, nel tempo mi hanno fatto notare quanto fosse appiccicosa la parola che da il titolo al mio primo EP.
Poi diciamo che quasi tutte le canzoni sono dedicate al periodo che intercorre tra tarda adolescenza ed età da giovane adulto e la costante di questo periodo è stata la mia terra.
Inoltre mi piace dire “Tra Roma e Napoli”, perché riflette un po’ il dualismo che è presente in me, ho sempre due piedi in una scarpa, sono sempre stato un ibrido, quindi diciamo che non c’è una motivazione, ma un processo che mi ha portato a questa decisione.
La provincia è da sempre divisa, o la si odia o la si ama. Per quanto riguarda il tuo percorso artistico, quali sono stati i suoi aspetti negativi e quali quelli positivi?
Io penso che in provincia ci si debba crescere, ci si debba formare, perché restituisce quella sensazione di unicità. Io ero l’unico del mio gruppo a cui piaceva leggere; c’era quello bravo a calcio, quello bravo con i numeri, quello bravo magari ad organizzare le feste.
Non avendo avuto opportunità, abbiamo dovuto utilizzare il nostro 110% per ritagliarci un piccolo spazio, ognuno nel suo campo.
Questi due dati sono emblematici secondo me, perché si evince che si, è vero, non ci sono opportunità, però questa situazione ci ha costretto a dare l’anima, a costruirci una passione e ad avere la consapevolezza che se si voleva mettere un po’ la testa fuori dalla sabbia, bisognava fare di più, sempre di più.
D’altra parte però c’è l’assenza di storico, quanti rapper credevate che esistessero a Roccasecca nel 2014-2015? Nessuno e ciò mi ha permesso di sviluppare una narrativa unica dettata unicamente dalla mia pancia e dalle influenze che io sceglievo di avere, cioè il mio bagaglio culturale per quanto riguarda la musica è puro!
Ovviamente in una seconda fase poi sono subentrate le grandi realtà, con il confronto e l’approccio didattico, il primo è strettamente necessario, vitale, il secondo meno ma comunque super utile.
I brani dell’EP parlano del tuo vissuto e dei tuoi sentimenti in una maniera molto semplice ma incisiva. Ti ricordi la prima volta che hai avuto bisogno di esprimerti attraverso una canzone?
Si, mi ricordo il mio primo pezzo, una roba orribile, registrata con il microfono di un tablet, però ricordo bene il sentimento che provavo.
Ascoltavo prettamente musica in cui il tema principale è la strada o comunque la vita da hustler ed io mi vivevo questo stupidissimo complesso d’inferiorità, poiché venivo da contesti di piazza, dove la microcriminalità non è spietata, mi sentivo escluso dal gioco del rap, credevo si potesse fare solo in quel modo e credevo di essere attinente solo a quel genere, quindi pensavo roba tipo: “Speriamo che io viva delle situazioni di disagio, così che possa raccontarle”; poco dopo ho scoperto delle cose terribili e la mia vita ha preso una piega estremamente brutta, mi sono preso del tempo per mettermi a posto il cervello (spoiler: non ci sono riuscito) ed eccoci qua.
Il 30 novembre 2023 uscì il tuo primo singolo “Hollywood” e dopo 6 mesi sei salito sul palco del Circo Massimo per esibirti al concertone del Primo Maggio. Ti saresti mai aspettato, nel momento in cui hai iniziato a pensare seriamente alla musica, di riuscire ad esibirti su un palco del genere in così poco tempo?
No, in realtà io ero un tipo che non dava molto peso ai live, cioè, la prendevo come un’occasione per stare con le persone che mi vogliono bene o che vogliono bene alle canzoni che faccio, quindi non mi ero prefissato proprio nulla, anzi, non riuscivo a divertirmi con loro.
Poi però ho aperto un concerto di Giuse, ho visto le persone esaltate nonostante la mia inesperienza e mi sono sbloccato.
Il Primo Maggio sarà stata la mia 7°/8° volta sul palco, quindi che ti devo dire, quando l’ho detto ai miei amici mi hanno dato del pazzo, come biasimarli.
Alla fine però io mi sono divertito, le persone si sono divertite, o almeno sembra; l’avrò rivisto chissà quante volte su RaiPlay, giusto per capire se fosse un sogno o meno.
Chi sono gli artisti che in qualche modo hanno influenzato il tuo percorso artistico?
Ho delle origini non canoniche, quindi diciamo che da bambino ho ascoltato tanta musica molto diversa. Mia madre è venezuelana, quindi con un gusto ispanico/sudamericano e mi faceva sentire tutto il giorno cantanti di Caracas o roba tipo gli Aventura, ma anche tanto neomelodico.
Mio padre aveva dei gusti asettici, ho preso da lui il fatto di essere un po’ particolare, ascoltava in particolare Pino Daniele, Ivan Graziani, Battiato e Tracy Chapman. Una delle due nonne essendo portoghese mi ha fatto scuola sui cantautori di lì, l’altra sui classici Bocelli e Pavarotti, ma ne ricordo uno in particolare, che è distante dai primi due e a lui credo di dover tanto della mia forma canzone, Carosone. Mio nonno invece mi ha fatto ascoltare un po’ tutto il resto dei cantautori italiani, ma soprattutto Battisti e Califano. Io poi ho rilegato tutto con degli ascolti molto tendenti a due panorami musicali che oggi chiamano Indie ed Urban.
C’è una canzone del repertorio italiano che avresti voluto scrivere? Perché?
Ce ne sono tantissime, avendo la passione dell’autoraggio, sono molto attento alla scrittura degli altri. Avrei voluto sicuramente scrivere tutta la discografia di Rino Gaetano, tolta quella, sicuramente andrei a pescare qualcosa nel repertorio di Battisti, Dalla o Graziani.
Se invece dovessi dirti qualcosa di uscito ultimamente, ti direi “Fiamme negli occhi” dei Coma Cose.
Da quando è uscito il tuo EP cosa speri e cosa ti aspetti che il pubblico possa capire di te, ascoltando le tue canzoni?
Ma sinceramente ho annullato l’ansia riguardante i numeri, il pubblico e tutto ciò che fa da contorno, a me basta trovare delle persone che interiorizzano la canzone, quello è il mio obiettivo, che siano 10 o 100 o 1000.
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