Avevano promesso una festa, e festa è stata: la sera del 6 luglio, nella location eccezionale del Circo Massimo di Roma, il trio composto da Niccolò Fabi, Daniele Silvestri e Max Gazzè ha celebrato con una data unica il decimo anniversario dalla pubblicazione dell'album collettivo "Il padrone della festa".
Quando è stato annunciato l’evento, qualche mese fa, era già nell’aria che si sarebbe trattato di una serata speciale: vuoi per la venue unica e imponente, ancor più carica di significato per tre artisti che a Roma sono nati e hanno mosso i primi passi della propria carriera; vuoi per la solennità dell’occasione e per la scelta di celebrare, in tempi in cui la vita media di un album sembra ridursi sempre di più, la prima decade di un disco che in questi anni ha continuato a risuonare fresco, limpido e vitale; vuoi per la sincerità dell’operazione, che poco ha a che fare con le reunion studiate a tavolino e con le autocelebrazioni fini a se stesse, ma che piuttosto – è evidente oggi, come lo era dieci anni fa – risponde ad un desiderio condiviso dai tre e dal loro pubblico di tornare, ancora una volta, a cantare insieme per una sera.
Varcando gli accessi del Circo Massimo, nel pomeriggio caldo di Roma, l’atmosfera che si respira è subito accogliente, soleggiata, vivace; come in una festa, appunto. E come in ogni compleanno che si rispetti, non tardano ad arrivare i primi ospiti: si tratta di amici illustri – cantanti, attori, ma non solo – dei tre padroni di casa, che fanno capolino sui maxi-schermi montati ai due lati del palco per mandare un saluto, far loro un augurio per la serata, stringerli in un abbraccio virtuale: come Fiorella Mannoia, che spende parole d’affetto per i tre e si rammarica di non poterli raggiungere; o come Brunori Sas che, con l’ironia che sempre lo contraddistingue, si dice dispiaciuto di non poter presenziare al Circo Massimo per via dei suoi troppi impegni, ma lo fa mentre si gode un calice di vino bianco seduto in riva al mare; o ancora Caparezza, che si rivolge a Fabi e Gazzè per declinare il loro invito a formare un trio di "capigliature vaporose" ma cerca di farsi perdonare, assicurando “al mio posto vi ho mandato un amico molto bravo, si chiama Daniele Silvestri”.
La musica, quindi, arriva puntuale alle 19, quando il centro del palco viene raggiunto da Anna Castiglia che, accompagnata dalla sua chitarra, interrompe il torpore delle ormai migliaia di persone accampate con teli e acqua per resistere al caldo del pomeriggio. Per l’occasione, infatti, i "festeggiati" hanno deciso di invitare “tre donne fuori dal comune, tre artiste che ci piacciono moltissimo” (come le hanno definite dando l’annuncio in un post sui social) e di affidare loro l’apertura del concerto. La scelta di condividere uno spazio ed un momento così importanti – per la storia artistica dei tre, ma ancor di più per tutto quel mondo cantautorale che è sempre stato considerato "di nicchia" e che ora conquista uno spazio che prima gli sembrava recluso – con tre cantautrici talentuose e all’inizio del loro percorso è un gesto generoso, sensibile, incoraggiante. Ed è, oltretutto, una decisione onesta, oculata e coerente (come onesto, oculato e coerente appare ogni tassello di cui si compone la serata del Circo Massimo); e infatti, ascoltando le artiste chiamate ad esibirsi – dopo Anna, sarà il turno di Emma Nolde e di Daniela Pes –, si capisce perfettamente per quale ragione i tre romani le abbiano volute al loro fianco, in un ideale passaggio di testimone verso una generazione nuova di cantautrici e cantautori (che, in molti casi, alle loro canzoni deve più che una semplice ispirazione). È facile, prestando attenzione all’ironia lucida e pungente di Anna e agli incastri di parole di cui le sue canzoni sono fitte, ritrovarci almeno un po’ dello spirito che caratterizza la scrittura di Silvestri; al di là dell'indole prorompente ed energica con cui Emma si esibisce si scova, invece, poco sotto la superficie, una capacità sottile di scavare nell’interiorità che deve molto a Fabi (lo dice lei stessa sul palco, che se a 16 anni ha iniziato a scrivere canzoni il merito è stato di "Una somma di piccole cose"); infine, nei brani complessi, seducenti e fuori dagli schemi di Daniela si può riconoscere un’originale stravaganza di cui – seppur declinata in modi del tutto diversi e personali – Gazzè ha fatto un marchio di fabbrica in ogni fase del suo percorso musicale.
Quando la cantautrice sarda si congeda ringraziando il pubblico, manca ormai poco più di mezz’ora all’orario di inizio previsto. Giusto il tempo, per i tecnici, di finire di allestire il palco e, per il pubblico, di godersi gli ultimi raggi di sole che spariscono silenziosi dietro alle americane. Quindi, sugli schermi iniziano a scorrere le immagini che ripercorrono la storia che ha condotto fino a qui, partendo da quel viaggio in Sud Sudan che i tre avevano intrapreso nel 2013 (per seguire da vicino l’operato dell’associazione "Medici con l’Africa – Cuamm") e che aveva consolidato l'intenzione condivisa di lavorare ad un progetto collettivo; si passa quindi a rievocare le prime sessioni di scrittura insieme, le fasi di registrazione in studio dei brani, la pubblicazione (avvenuta il 16 settembre 2014) del disco e il tour in Europa e Italia che ha fatto seguito. Poi gli schermi tornano scuri, lasciando solo una scritta bianca a risaltare sullo sfondo nero: “Roma 6 luglio 2024”.
Ci siamo, finalmente: sul palco prendono posto, tra gli applausi, i musicisti di sempre (Gianluca Misiti, Roberto Angelini, Ramon Caraballo, Max Dedo, Adriano Viterbini, Piero Monterisi) e i tre padroni di casa, che fanno il loro ingresso sulle note di "Come mi pare". L’entusiasmo è alle stelle, sia tra il pubblico – che canta, applaude, si muove a tempo – sia sul palco, dove a regnare è una sensazione di divertimento e leggerezza che riecheggia sino alle ultime file. Del resto, l’aveva detto Fabi nel corso della conferenza stampa di presentazione: a stare in tre sul palco, non solo ci si scopre più sicuri e consapevoli delle proprie individualità, ma ci si sente anche alleggeriti da quel senso di responsabilità che è inevitabilmente presente quando ciascuno singolarmente sottopone il proprio progetto ad un pubblico; come durante un ritrovo tra amici, appunto, quando si può allentare la tensione e concedersi un po’ di sano svago insieme alle persone più fidate. Per tutta la serata i tre scherzano, ridono divertiti e si prendono in giro a vicenda, negli intermezzi tra un pezzo e l’altro e persino mentre suonano (e la sensazione è che, se ogni tanto uno dei tre non ristabilisse la disciplina riprendendo il filo della set list, il gioco potrebbe andare avanti per ore): così, Silvestri viene insignito da Fabi del titolo di “Mike Bongiorno della musica italiana” per le doti da mattatore con cui presenta i brani in scaletta, mentre Max gli chiede il conto degli errori che prevede di fare poco prima di attaccare con gli innumerevoli cambi di tonalità de "Il solito sesso".
La scaletta procede fitta lungo le tre ore di concerto, ondeggiando tra i pezzi scritti a sei mani nella casa di Silvestri a Fregene e le numerose incursioni negli album solisti dei tre; e così la disposizione sul palco continuamente si trasforma, passando dai momenti in cui il trio è allineato fronte pubblico, a quelli in cui uno solo si prende il centro del palco e gli altri si fanno da parte o diventano di volta in volta musicisti o coristi l’uno dell’altro. È anche – e, forse, soprattutto – in questi momenti che si colgono la complicità dei tre e la perfetta sintonia che li fa funzionare come un unico organismo dalle molteplici sfaccettature: non c’è, in nessuno di loro, la spasmodica ricerca del centro del palco o la voglia smaniosa di essere illuminati da un fascio di luce più intenso; la condivisione dello spazio e del tempo sembra avvenire in modo naturale, assolutamente spontaneo, e non succede mai che l’ego di uno sgomiti per rosicchiare spazio a quelli altrui. In questa coreografia fatta di passi laterali e scambi di posto, definita ora dal concedere spazio e ora dal condividerlo, uno degli episodi più significativi si svolge quando Niccolò rimane da solo sul palco (lo raggiunge solo Emanuele Contis al sax) e, defilato sul lato sinistro, intona la sua "Facciamo finta": qui il cantautore esegue (splendidamente) una delle sue canzoni più intime di fronte ai 50.000 spettatori del Circo Massimo e quasi si trova sommerso dal loro applauso, che si alza rispettoso ma compatto in corrispondenza dei versi “Facciamo finta che chi fa successo se lo merita” (sono tutti concordi, stasera, che per una volta le cose stiano andando effettivamente così); è questo, probabilmente, il picco emotivo più alto dell’intera serata, come testimoniano anche il lunghissimo abbraccio con cui Max accoglie di nuovo l’amico a centro palco a fine esibizione e le parole commosse di Daniele (“Una volta che non piango con questa canzone non c’è ancora”).
Del resto, l’amicizia e l’affinità che uniscono i tre precedono di gran lunga il viaggio in Africa e "Il padrone della festa", ma risalgono ad una ventina di anni prima quando, tra le mura del Locale di Roma (dal 1993, crogiolo di esperienze musicali e artistiche di vario tipo), prendevano contemporaneamente vita carriere destinate di lì a poco a spiccare il volo. “Il palco era molto più piccolo di questo”, dice Silvestri ricordando gli anni in cui per la prima volta i loro percorsi si sono intrecciati, quando vigeva il divieto assoluto di eseguire cover e sul palco c'era un continuo via vai di persone (e almeno questo aspetto, si può dire, ad oggi è rimasto invariato); “già allora c’era uno tra i tre che era musicalmente più avanti, era decisamente più bravo degli altri” – continua Fabi, indicando Max alla sua sinistra – “e suonava questa canzone che era la nostra preferita”. La rievocazione degli inizi condivisi si trasforma così in un gancio perfetto per tornare indietro di qualche anno, più precisamente al 1996, e proporre un’intensa versione acustica di "Quel che fa paura", gioiello contenuto nell’album d’esordio di Gazzè.
Il resto del concerto prosegue così, tra continui salti avanti e indietro nel tempo, battute giocose e canzoni che – basta gettare un rapido sguardo al pubblico che affolla il Circo Massimo – sono ormai entrate a far parte del patrimonio comune di ben più di una generazione. Ma i nostri, che nei propri percorsi non hanno mai rinunciato al ruolo politico (inteso nel senso più puro del termine), sociale e comunicativo della canzone, non esitano nemmeno stavolta ad aprire il loro palco - stavolta più ampio che mai - all'urgenza dell'attualità e, citando un loro testo, al "rumore della vita". Lo fa Niccolò quando, leggendo uno dei tanti fogli con la scritta “Stop War” che vengono sollevati dalle prime file, introduce "Io sono l’altro" riconducendo l’essenza di ogni conflitto, persecuzione o ingiustizia ad un'unica anomalia diffusa tra la popolazione umana: la cieca incapacità di mettersi nei panni dell’altro, di empatizzare, di abbracciare una visione altruistica ed accogliere il diverso senza avere il coltello tra i denti. Non molto più tardi, a prendere la parola è Silvestri, e lo fa per cantare, in "La mia casa", della bellezza di potersi sentire ovunque a casa propria; nel farlo, dedica un pensiero a chi questa fortuna non ce l’ha, ai “popoli che non hanno una casa, e se una gliel’hanno concessa – piccola, fatta male, che sembrava più un carcere – adesso gliela tolgono pure”. Non manca un ricordo a Gino Strada, lui che aveva previsto quale andazzo avrebbe preso il mondo (“voi vi state distraendo, ma il vostro problema sarà la guerra”), le cui parole già erano risuonate nel pomeriggio quando gli schermi del Circo Massimo hanno proiettato il cortometraggio "A guerra finita" (realizzato da Simone Massi per Emergency).
Così, i tre riportano continuamente l’attenzione sul presente e su ciò che succede al di fuori dell'arena illuminata a festa; ma non si pensi a proclami paternalistici, toni da comizio o slogan urlati dall’alto. I loro sono, piuttosto, messaggi - seppur chiari e definiti - custoditi nelle pieghe tra un verso e l’altro, briciole di pane seminate nel tentativo di instillare interrogativi, condivisioni di prospettive e preoccupazioni in uno scambio alla pari tra appartenenti ad una stessa comunità. Lo si percepisce anche verso la fine del concerto quando, rientrando sul palco per il rush finale (inutile chiamarli bis, “ormai non ci crede più nessuno che ce ne andiamo davvero!”), Silvestri si siede al piano e suona le prime note di "A bocca chiusa" che, a dieci anni dalla sua uscita, è rinata a nuova vita dopo che Paola Cortellesi l’ha voluta includere nel suo film campione d’incassi "C’è ancora domani": è proprio la regista e attrice a introdurre la canzone comparendo in un breve filmato (“Se siete ancora lì, per favore, tornate sul palco, se tornate sul palco io prometto di non disturbare e vi ascolto da qui, piano piano, zitta zitta…”) e, mentre dal pubblico si alza un coro fortissimo e partecipato, sugli schermi scorrono le immagini conclusive della pellicola che ha riportato in auge il brano trasformandolo in una sorta di inno dall’immensa forza emotiva e aggregante.
Il finale definitivo, che arriva dopo la carica travolgente del terzetto "Sotto casa" - "Salirò" - "Lasciarsi un giorno a Roma" è affidato a "Il padrone della festa", title-track dell’album di cui ricorre il decimo anniversario – e il cui compleanno si è rivelato un meraviglioso pretesto per tornare a regalare (e regalarsi) una serata di musica insieme, di fronte al pubblico degli inizi e a quello che si è aggiunto anno dopo anno, disco dopo disco, nel corso di trent'anni. E quella che sta volgendo al termine è una serata talmente onesta e piena – di fratellanza, di musica, di sorrisi sopra e sotto il palco – da assumere le tinte di una festa gioiosa e chiassosa, di quelle che si trascinano fino a tarda notte perché nessuno vorrebbe interrompere il divertimento e tornarsene a casa. Quando le premesse sono queste, niente possono la logica dei numeri, la smania per i sold-out e le strategie per aumentare gli incassi: e così non si ricorre a super ospiti annunciati con largo anticipo (magari nel tentativo di aumentare la quantità di biglietti venduti), ma ci si limita solo a qualche gradita incursione a sorpresa; come quella di Greta Zuccoli, che ha impreziosito la (già bellissima) "Mentre dormi", quella di Rancore su "Argentovivo" o della Magical Mistery Band (formata da Daniele Fiaschi, Gabriele Lazzarotti, Fabio Rondanini, Duilio Galioto, Daniele Tortora) che ha raggiunto Max e Daniele per riproporre "Attraverso" nella stessa formazione con cui era nata in studio.
Così, tre esponenti brillanti del nostro cantautorato più puro e onesto, hanno raccolto, commossi e quasi increduli della folla che si estendeva a perdita d’occhio di fronte a loro, i meritati frutti di un percorso trentennale fatto di scelte coerenti, grandi canzoni e rapporti sinceri. Ha avuto ragione Silvestri quando, tra gli applausi del pubblico in festa e i sorrisi complici dei suoi compagni di viaggio, ha ritoccato i versi di uno dei brani più noti del trio, cantando “l’amore non esiste, ma esistiamo noi tre", e aggiungendo: "è un dato di fatto, è ontologico”. È un dato di fatto, ed è il segno di una scommessa vinta, della forza di un'amicizia che sul palco da il meglio di sé e di un piccolo miracolo avvenuto nella musica italiana di oggi.
SCALETTA:
Come mi pare
Una buona idea
La favola di Adamo ed Eva
Il mio nemico
Alzo le mani
Life is sweet
Io sono l'altro
Il solito sesso
Strade di Francia
Canzone di Anna
Mentre dormi (con Greta Zuccoli)
Facciamo finta (con Emanuele Contis)
La mia casa
Quel che fa paura
È non è
Monetine
Negozio di antiquariato
Cara Valentina
Cohiba
Attraverso (con Magical Mystery Band)
Argentovivo (con Rancore e Magical Mystery Band)
Costruire
L'amore non esiste
Una musica può fare
Testardo
Giovanni sulla terra
A bocca chiusa
Vento d'estate
Sotto casa
Salirò
Lasciarsi un giorno a Roma
Il padrone della festa
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