"Radici" è il nuovo EP di Wrongonyou, pubblicato il 6 ottobre e distribuito da ADA Music Italy. Autoprodotte e indipendenti, le quattro tracce rappresentano la massima libertà espressiva che ha accompagnato l'artista durante la sua scrittura. L'assenza di filtri discografici, commerciali ed emotivi ha permesso un viaggio a ritroso nella carriera del cantautore romano attivo dal 2016, anno di uscita del suo primo EP "The Mountain Man".
La libertà si trasforma in autenticità quando si ha la possibilità di esprimere in maniera sincera le proprie emozioni: Marco Zitelli racconta se stesso nel modo più sincero possibile riflettendo nei suoni questa franchezza.
Questo EP è incentrato sul rapporto con te stesso; com’è cambiata la relazione tra l’idea che hai di te stesso e la tua scrittura dall’uscita di “Sono io” ad oggi?
Ho deciso quali sarebbero state le mie priorità, anche nella vita. Avere un figlio è qualcosa che ti cambia proprio. Artisticamente, c’è stata una voglia di ritornare a fare tutte le cose che mi piaceva fare prima. Questo disco è stato prodotto come indipendente, mi sono ritrovato a poter essere il direttore artistico di me stesso finalmente, con la massima libertà artistica ed espressiva, di scegliere temi a me cari.
“Luna” ha un testo romantico nel senso tradizionale del termine; questo cambiamento di prospettiva nella tua scrittura si rispecchia anche nei testi di questo tipo?
Ho cercato di unire un testo romantico al tema della body positivity. Adesso c’è questa continua ricerca della perfezione che, secondo me, ha lacerato un po’ la personalità della gente. La società di oggi ci ha portato a degli stereotipi fisici, per quanto riguarda la bellezza e non, totalmente contrari alle epoche passate. “Luna” parla dell’accettazione fisica. Quando dice “Sei più bella da nuda”, si intende proprio spogliata dalle paranoie, delle pippe mentali, dal non sentirsi sicuri. Ognuno è bello a modo suo: è questo il romanticismo all'interno di quella canzone.
“Radici” è dedicato a tuo figlio e a chi cerca di volersi sempre più bene; quanto è importante volersi bene per fare musica?
Tanto, soprattutto in questo momento storico. Da uno a dieci, ti direi undici. Stiamo molto dietro le mode, si va poco dietro la sensibilità e quello che uno sente mentre scrive. C’è sempre questa ricerca della “parolina giusta”: la parola è giusta nel momento in cui rispecchia quello che hai da dire, da buttare fuori, da esprimere. È giusto anche non volersi bene e combattere con i propri demoni fino a trovare una quadra che ti faccia stare bene e ti porti a scrivere anche di quello.
Chi è il diavolo di cui parli nella prima traccia?
La depressione in generale perché l’immagino come il cane da non svegliare, se si sveglia è un macello. Devi cercare di rimanere sempre lucido e non cadere dentro eccessive paranoie perché, nel momento in cui vincono la testa e i brutti pensieri, prende piede il diavolo che se ti viene a cercare e ti distrugge.
“Radici” è un EP indipendente e auto-prodotto; cos’è per te l’indipendenza dal punto di vista musicale?
L’indipendenza dal punto di vista musicale è quello che ci dovrebbe essere sempre, pure nel momento in cui c’è una casa discografica che finanzia il tutto. L’indipendenza deve essere artistica, da parte dell’artista, poi è ovvio che ci siano musicisti più portati al music business, a fare ciò che gli viene detto. L’indipendenza artistica ci dovrebbe essere a priori così che ognuno sia libero di esprimere totalmente ciò che vuole far sentire musicalmente, a livello vocale o testuale. All’estero c’è parecchia libertà: la casa discografica, il direttore artistico o chi può si mette al servizio dell’autore. È quella l’indipendenza artistica: io porto un prodotto che secondo me è forte, se alla casa discografica piace, non serve tramutarlo in qualcos'altro. Ci deve essere un accompagnamento verso quel progetto nel quale la discografica, a quanto pare, poi crede.
Per quanto riguarda l’auto produzione, sei riuscito a goderti la libertà dell’autonomia o hai avuto dei momenti in cui avresti voluto qualcuno accanto?
Chi volevo accanto ce l’ho messo: è stata quella la libertà. Ho scelto io gli autori con cui lavorare. Mi sono fatto aiutare da Francesco Coletti per quanto riguarda la produzione. Sono andato ad Impronte Records, che è lo studio che avevo come riferimento quando ho iniziato, per far sì che ci fosse un master analogico, in modo da far “suonare bene” gli strumenti. Per la prima volta, mi sono preso anche la libertà di suonare tutti gli strumenti io, a parte qualche parte di piano più complessa. È stata una bellissima esperienza, una delle poche volte in cui non ho avuto l’ansia quando ero in studio.
Hai scelto la Sardegna proprio per lo studio di registrazione o per altri motivi?
Un po’ perché lo studio aveva tutta un’attrezzatura anni ’70 e ’60, c’era un bel suono che usciva fuori, Roble factory ha costruito proprio una bella realtà che consiglio a chi vuole estraniarsi un attimo dalla città e andare in campagna a registrare. In più, mio figlio di base abita in Sardegna e riuscire a conciliare lavoro e famiglia è stata una bella soddisfazione.
Dal vivo chi ti accompagnerà dato che hai suonato tutti gli strumenti tu?
Dovrò scegliere chi suona un po’ come me, chi mi ricorda un po’ il mio tocco. Sostanzialmente cercherò di tirare su una band che è già in costruzione così da poter replicare nel migliore dei modi il disco dal vivo anche se a me piace molto variare dal vivo. Magari ci saranno ulteriori nuove versioni di questi brani, ma cercherò di mantenere la radice fedele a quello che uno è venuto ad ascoltare.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro? Hai dei live in programma?
Tra poco verranno rilasciate le date che cercherò di fare in giro nei club d’Italia. Cercherò di suonare in continuazione il più possibile, di dare una vita più lunga possibile a “Radici”. Siamo in un’epoca in cui i dischi dopo un mese sono considerati “vecchi”, mentre prima si facevano due/tre anni di tour senza sosta. È diventata un’iper-fabbricazione di canzoni, devi sempre tirar fuori cose nuove. Sono molto nostalgico di alcuni periodi, anche di quelli che ho già vissuto. Quando è uscito il mio primo EP, “The Mountain Man”, ho girato più di un anno e mezzo e c’era tanta voglia i andare ai live, le playlist non erano ancora di moda. Però, giustamente, bisogna stare alle regole del gioco e si lavora affinché si possa far durare il più possibile un EP. Non perché non voglia far uscire roba nuova, anzi, ho tantissime canzoni già pronte, però vorrei che questo EP abbia la giusta attenzione.
Come mai non hai voluto inserire il nuovo materiale in “Radici”? Ha un concept diverso?
Sì, “Radici” è una parentesi a sé che era pronta già da un po’ in realtà. Poi, un po’ per motivi burocratici, un po’ per motivi organizzativi, ho dovuto aspettare un attimo prima di tirarlo fuori. Sto già lavorando da un po’ di tempo insieme ai Mamakass, produttori storici dei Coma_Cose, con i quali abbiamo un disco già avviato che cercherò di fare uscire nel migliore dei modi.
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