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Immagine del redattoreIndieVision

Il nuovo disco di Pit Coccato è ciò di cui tutti abbiamo bisogno: ecco ‘What I need’

Di E.P.

Pit Coccato presenta oggi, 6 marzo, il suo nuovo e secondo album, “What I need”.

In un mondo fatto di suoni belli e onesti, si può trovare ciò di cui si ha bisogno. L’album di Pit Coccato è un viaggio alla riscoperta della musica suonata sul serio, quella che fa cantare, battere i piedi a ritmo e andare lontano con la mente.

La voce del musicista di Novara trasporta l’ascoltatore in un mondo lontano, dove è la musica folk - con sonorità che richiamano artisti come Tom Waits e Wilco - a creare l’ambiente sonoro che accompagna le canzoni interpretate in lingua inglese contenute in “What I need”.




Una prima anticipazione del nuovo album di Pit Coccato, che esce a quasi due anni di distanza dal precedente lavoro “Can’t stand that radio playing”, è arrivata con la pubblicazione dei singoli “MRS. Courtesy” e “Curtain call”. Di quest’ultimo brano è stato presentato ieri, 5 marzo, il video scritto e diretto da Erika Errante. Come la canzone, anche la clip che l’accompagna si pone in una dimensione enigmatica: per penetrare all’interno del concetto di morte, Pit Coccato interpreta le sfumature di diversi punti di vista, quello dell’assassino, di chi piange il caro defunto e del defunto stesso.

“Hey boss, look at you / Have you lost your brain?”, irrompe la voce del giovane cantautore nella prima traccia del disco che sembra svegliare così prima di tutto l’ascoltatore e poi il Boss, il personaggio di cui racconta. “Hey Boss” è una ballad in cui il suono delle percussioni rimane quasi distante per permettere alla voce di Pit Coccato di trovare la propria enfasi, accompagnata prevalentemente dalla chitarra.


Con “Squeeze me tease me” si cambia registro, la canzone porta con sé un piglio veloce e dai toni vivaci, ma subito dopo si entra in un altro mondo ancora, quello di “Cry your eyes off”. La terza traccia di “What I need” trova il suo protagonista nella chitarra elettrica che quando suona sembra voler emulare un lungo pianto per accompagnare la voce di Pit Coccato. Si crea così un gioco di virtuosismi che (permettetemi!) ricordano Bob Dylan ai tempi di “Highway 61 Revisited” del 1965. Più precisamente ai tempi di quel concerto del musicista di Duluth andato in scena al Free Trade Hall di Manchester il 17 maggio 1966 quando qualcuno tra il pubblico gridò “Giuda!” a Dylan che attaccò una chitarra elettrica all’amplificatore scatenando l’ira di chi lo incolpò di tradire il folk. (Per i curiosi, qui il video con il fatto succitato, con l’esecuzione live di Bob Dylan di “Like a rolling stone”, proposta dopo “Ballad of a thin man”)

Certo, siamo nel 2020 e adesso i paladini del folk di allora probabilmente conservano come cimeli i vinili di Dylan anche dopo essere stato un “giuda” del genere (o sono morti!). Non siamo nel 1965 eppure la musica di Pit Coccato - che arriva come inaspettata in questo panorama musicale in cui i generi sono andati perduti e la musica si è fatta piatta e liquida - suggerisce a modo suo uno stravolgimento delle carte in tavola. Un’idea è l’intermezzo che arriva a metà del disco che sembra il risultato di una jam session dove regna l’anarchia. Il musicista di Novara abbandona un attimo la sua lucidità per dare sfogo a un delirio musicale dal sapore punk, con chitarre e percussioni lasciate allo sbando, e voce graffiata intervallata da sospiri e versi.


Entriamo, infatti, in un’altra fase di “What I need”, aperta dal singolo “Curtain call” dove Pit Coccato presenta un’interpretazione vocale più cruda, disperata, e apparentemente spogliata da qualsiasi impostazione. La musica qui è dominata dalla chitarra e dalle percussioni che sembrano viaggiare su diverse frequenze, quasi a generare diverse armonie, ma che si abbracciano nella melodia del pezzo.

Si torna un attimo più composti con “Same auld road” prima di perdersi nuovamente. Arriva infatti la title track di “What I need” che, contando della collaborazione di Carmelo Pipitone (Marta Sui Tubi), dopo una calma apparente stravolge ogni linearità musicale quando la voce di Pit Coccato cambia e si tinge di rabbia. Il tocco di un pianoforte, gli effetti di distorsione applicati alla chitarra elettrica e il suono più cattivo che ne emerge diventa così “ciò di cui si ha bisogno”. L’ascoltatore, infatti, entra in una dimensione che si distacca dal resto dell’album ma si scopre essere l’elemento chiave di tutto il disco. Sottolinea un lavoro di ricerca e sperimentazione che porta il disco di Pit Coccato a un gradino più alto, dove il piattume e la monotonia non sono di casa. Per concludere in bellezza ci pensa “Get out”, ultima traccia di “What I need”, dove la voce del cantautore novarese unisce graffi e dolcezza, accompagnata dal solo suono della sei corde prima dell’intrusione di suoni vocali distorti che - presenti anche all’inizio della traccia - chiudono l’album.


Al termine del disco le orecchie e il cuore ringraziano, ne vorrebbero ancora. Con Pit Coccato si compie un’inversione di marcia per scappare da qualsiasi esperienza d’ascolto abituale. Badate, non si tratta di un ritorno al passato o un emulazione di qualcosa che c’è già stato. Si tratta semplicemente di un disco di chi ha abbracciato gli strumenti musicali, li ha accarezzati ma li ha anche strapazzati, e ha creato il proprio suono. Certo, si riconoscono riferimenti alla musica folk che, solo a sentirla nominare, qualcuno potrebbe aspettarsi qualcosa di antico. Invece no, è solo musica suonata sul serio e come si deve che serve a Pit per raccontarci delle storie che fanno bene all’anima.


Non resta altro da fare se non aspettare che i decreti emanati dal Governo per adottare misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da coronavirus non vengano prolungati ulteriormente per poter andare a un concerto di Pit Coccato e godere della sua musica.

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