top of page
Immagine del redattoreMaria Stocchi

"Parco Natura Morta": l'omonimo EP oltre i canoni e le definizioni - Intervista

“Parco Natura Morta”, l’EP d’esordio dell’omonima band veronese, è uscito per Murato lo scorso 25 marzo. È un progetto che vede cinque brani interessanti, ricchi di differenze e sfumature, che mescolano generi e approcci musicali senza preoccuparsi di limiti e definizioni, in completa libertà.


Quello che colpisce di questo primo lavoro in studio è proprio la sua ineffabilità. Il modo in cui, sorprendentemente e senza preavviso, si sposta tra i sound più disparati: indie-rock, elettronica, pop, noise accompagnato al trombone... insomma, di tutto. L'atmosfera di fondo, però, è sempre la stessa: è rarefatta e vagamente malinconica.


Il nome della band e dell'EP nasce come gioco di parole per ironizzare su un celebre parco zoologico veneto, il Parco Natura Viva. Ora, non so se la band apprezzerà il paragone, ma questo lavoro in studio ne sembra il suo sottosopra (curiosamente, "Sotto / Sopra" è anche il titolo del brano che apre l'EP). Per chi non avesse mai visto Stranger Things, celebre serie tv sci-fi firmata Netflix e Duffer Brothers, il sottosopra è una versione buia, inquietante e soprannaturale di un luogo altresì del tutto normale. Ecco; in questo EP non ci sono certo mostri dai quali fuggire, ma la sensazione nell'ascoltarlo è proprio questa: "Parco Natura Morta" ribalta il reale per mutarsi in un oscuro luogo dell’anima. Uno spazio meditativo senza coordinate precise, nel quale immergersi per 18 minuti, da attraversare ed esplorare, senza però pretendere di arrivare a una meta precisa.


Di "Parco Natura Morta" abbiamo parlato insieme alla band, nell'intervista qui sotto.



Ciao ragazzi! Benvenuti su IndieVision. Partiamo dall’inizio: chi sono i Parco Natura Morta? Presentatevi all* nostr* lettor*!

Dietro il nome Parco Natura Morta ci sono cinque ragazzi di Verona che con il tempo si sono ritrovati a scrivere e comporre musica insieme. Il progetto, all’origine, contava tre teste: Michele, Federico e Davide, rispettivamente, voce e tastiera, basso e batteria. In seguito, esigenze espressive e musicali ci hanno spinti a chiamare rinforzi, in particolare: un trombone, Riccardo; e una chitarra, Lorenzo. Ora riteniamo che il gruppo abbia raggiunto una completezza organica in grado di dar forma alle nostre idee.


Lo scorso 25 marzo è uscito il vostro EP d’esordio, che porta lo stesso nome della band. Come nasce e che cosa vuole rappresentare per chi lo ascolta? Nasce da una necessità espressiva e dalla voglia di divertirsi. Per noi trovarci in saletta, suonare, scrivere è (quasi sempre) un modo per staccarsi dalla quotidianità e dal lavoro. Questo EP non vuole rappresentare nulla di preciso, se non quello che ciascuno di voi vuole che rappresenti per se stesso. Non ha uno scopo, non ha una direzione. È in attesa di riceverla da ciascuno di voi.

I cinque brani che contiene l’EP sono eterogenei e ricchi di differenze. Come viene creata una vostra canzone, soprattutto a livello strumentale? L’improvvisazione musicale è contemplata nel processo creativo?

Di solito i brani nascono da un’idea volatile, anche solo un paio di accordi di chitarra o una linea melodica. Succede raramente che ci mettiamo poi ad improvvisare qualcosa, più spesso l’idea viene sviluppata pian piano, ragionando sui singoli passaggi e incastri e cercando di associare le diverse melodie che ci vengono in mente durante questo processo creativo. A volte è un testo già esistente a guidare lo sviluppo del brano, altre volte è la parte musicale a portare a galla delle emozioni e dei vissuti che poi vengono messi su carta bianca.


È difficile inquadrare il vostro genere musicale. Ci ho provato, ma appena mi sembrava di aver capito ecco che il sound cambiava di nuovo, forzandomi a pensare ancora ad una definizione più accurata. Al cantautorato fa da sfondo l’indie-rock, l’elettronica, poi i fiati, a tratti il noise… possiamo dire che vi identificate nella molteplicità, in questo non essere facilmente identificabili?

Puoi assolutamente dirlo. A noi i generi non piacciono. Comprendiamo che dal punto di vista commerciale inquadrare un album o un brano in un determinato genere sia necessario, ma preferiamo che siano gli altri a farlo per noi. Noi scriviamo in libertà, senza pensare a dei canoni da seguire. Un brano nasce da un'idea, ed è questa idea ad influenzarne le parti successive. Ogni nuova parte guida il processo creativo, senza imporci dei limiti entro cui stare.


Ci sono delle particolari influenze musicali che hanno ispirato questo EP?

Questo lavoro, iniziato nel 2016, è cresciuto e maturato in cinque anni, nei quali ciascuno di noi è stato influenzato da generi, artisti, stimoli diversi. Trovare delle influenze precise è difficile perché sono davvero moltissime. Potremmo dire che ci sentiamo più che altro influenzati a vicenda: ciascuno di noi ha ascoltato in questi anni diversi generi musicali, che vanno dal jazz alla musica elettronica, dal soul al grunge, fino al pop più commerciale, e ciascuno di noi, influenzato dai suoi ascolti in quel determinato periodo della sua vita, ha portato il suo contributo allo sviluppo dei brani.


Abbiamo parlato di musica, parliamo di testi. Sono scritti collettivamente, oppure singolarmente?

È successo che diversi pezzi di testo, scritti da persone diverse, siano poi stati messi assieme, a creare una singola storia, perché coerenti. Ma nella maggior parte dei casi il testo viene scritto da un singolo e racconta una storia del tutto personale.


Cinque pezzi, cinque anime nel vostro progetto. Se doveste assegnare un brano ad ognuno di voi, quale sarebbe e perché?

In realtà non crediamo che ognuno di noi si riconosca maggiormente in uno o nell’altro brano. Pezzi di noi, idee e ispirazioni sono disseminate un po’ ovunque tra le canzoni. Direi che tutti ci riconosciamo nell’EP, ovvero nel complesso dei nostri sforzi. E infine, come abbiamo notato insieme, ogni giorno ci innamoriamo di un brano diverso!


Vi siete descritti come una “malinconica marching band, con il sorriso sulle labbra”. Una definizione che mi è piaciuta molto. Ce la spiegate meglio?

È una definizione un po’ giocosa. Il tratto bandistico fa riferimento all’uso del trombone, che in alcuni pezzi, e soprattutto in “Mission Street”, ricorda una sezione tipica della marcia. Poi il resto invece si riallaccia all’atmosfera richiamata un po’ in tutte le canzoni, in cui si alternano tratti più drammatici ad altri più vivaci e spensierati. In generale, poi, ci piace pensare di affrontare la vita così: accogliendo la malinconia e traendone un sorriso.


In conclusione, avete qualche live in programma?

Per ora una data già fissata, il prossimo 22 aprile all’Altrove a Verona, ma sono in arrivo novità.





Comments


bottom of page