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Immagine del redattoreMarco Anghileri

Il nuovo EP di Narratore Urbano in anteprima, tra Arturito, libertà di stampa e Pink Floyd

Recentemente ho trovato una macchina fotografica analogica anni ‘90 in garage, ho iniziato ad utilizzarla da buon finto alternativo appassionato all’estetica vintage quale sono. Pensare che per avere una trentina di foto devono trascorrere settimane in cui acquisti il rullino, lo sviluppi e paghi questi scatti quasi a peso d’oro mi ha fatto realizzare quanto la nostra generazione sia fortunata ad avere accesso istantaneamente e, più o meno gratuitamente, a tutta la musica che vuole grazie ai servizi digitali come, ad esempio, Spotify. Trovarsi tutto in una comoda app (anche se forse "comoda" non è l’aggettivo che si addice meglio alla versione desktop) rende quasi inevitabilmente fugace l’ascolto: non resta che affidarsi alle playlist. Accomunate da mood, genere, provenienza, anno, ne esistono a milioni. Ho sempre preferito evitare quelle prefabbricate da Spotify, affidandomi più volentieri soprattutto ad amici, conoscenti o semplicemente persone delle quali ho una stima artistica.


Proprio mentre stavo ascoltando una playlist dal nome fortemente didascalico, ovvero "Civilizzazioni Musicali" (nome, ironia della sorte, cambiato poco fa, quindi sarebbe inutile affrettarsi a cercarla ora), mi sono imbattuto in un brano intitolato "Proprietà di un fotone".

Folgorato è dire poco. Uno di quei rari momenti in cui hai bisogno di una determinata canzone, che evochi un preciso mood e ti faccia sentire in un certo modo e quella effettivamente arriva; così, dritta, morbida, ma allo stesso tempo tagliente. Questa è la storia di come ho scoperto Narratore Urbano, al secolo Alekos Zonca, cantautore classe ‘98 di Torino, una delle penne più interessanti incontrate negli ultimi mesi.

Oggi abbiamo il piacere di presentarvi in anteprima, accompagnato da un'intervista, il suo nuovo singolo "Video 8 (autunno 2003)", che, con i due brani già editi "G.A.G.A.R.I.N." e "233 gradi centigradi" andrà a completare l'EP "Post, Vol. 2" che, insieme al predecessore "Post, Vol. 1", va a chiudere il secondo capitolo del giovane torinese, preceduto da un altro EP intitolato "Fine delle Trasmissioni" (2020).


Ciao Alekos, benvenuto su IndieVision! Iniziamo parlando del tuo nome d’arte: "Narratore Urbano" è un manifesto abbastanza chiaro dell’intento di raccontare che c’è nella tua musica. Quando hai deciso questo nome e quando che avresti voluto muoverti in questa direzione artistica?

Ciao a voi di IndieVision! Onoratissimo di essere con voi per questa intervista. Ho scelto il nome "Narratore Urbano" dopo un concerto a Pinerolo all'inizio del 2019 quando, il batterista della band con cui suonavo quella sera, si riferì ai miei brani definendole "narrazioni urbane". L'espressione mi è piaciuta molto, ho deciso quindi di adottarla e di farla diventare un po' mia. La direzione artistica era latente da anni, forse perché è un po' il minimo comune multiplo tra tutti i miei ascolti. Da luglio 2019, il lavoro con Fabrizio Pan (produttore e manager di Pan Music, ndr) mi ha aiutato a dare una forma più concreta a queste idee e in qualche modo trovare i punti di forza in ciò che facevo.



Willie Peyote, col quale hai recentemente collaborato presso _resetfestival, in una sua canzone di qualche anno fa cantava "La gente mette etichette alle cose, così è più facile metterle in ordine dopo": se dovessi "etichettare" prima la tua persona e, successivamente, la tua musica, che parole useresti?

Maledette etichette, è dai tempi di Aristotele che rovinano il mondo! A parte gli scherzi, nella vita mi reputo in questo momento della mia vita una persona un po' scontrosa, talvolta acida, ma tutto sommato tranquilla, che tende a stare nel suo mondo, senza dare fastidio agli altri finché questi non oltrepassano i limiti. Inoltre ho una profonda ammirazione e rispetto per le persone che hanno veramente qualcosa da dire, non solo culturalmente parlando ma anche dal punto di vista emotivo.

Per quanto riguarda la mia musica la metterei in una terra di mezzo. L'attenzione per il significato del testo è quella tipica del conscious hip-hop (Rancore, Murubutu e lo stesso Willie Peyote) ma il mio modo di esprimerlo si rifà al cantautorato alternativo (Luci della Centrale Elettrica, Pan del Diavolo, Massimo Volume…) e a qualche punta di Indie.



Ho nominato Willie Peyote, in generale che musica ascolti? Si riflette tanto nel tuo scrivere?

Willie Peyote è sicuramente da molti anni nei miei riferimenti: poter lavorare, confrontarmi e prendere consigli da lui durante la settimana del _resetfestival è stata una delle esperienze più belle, interessanti e formative che mi potessero capitare, qualcosa che avrà molte ripercussioni sul mio percorso. Oltre a lui, nei miei ascolti principali si trovano anche i già citati Rancore, Murubutu, Luci della Centrale e Pan del Diavolo, Verdena ma non solo questo. Sono piuttosto onnivoro musicalmente parlando, non ho problemi a passare da Blanco ai Sigur Ros, con tutto quello che si trova in mezzo. Molte cose le ascolto anche per capire chi non sono io e cosa escludo dalla mia identità artistica. E in tutto questo una delle band che più adoro sono i Tonno.

"La realtà è un codice morse decriptato dai quotidiani": come giudichi il lavoro di "decrypt" svolto dalla stampa italiana?

L’Italia si trova al 77esimo posto per libertà di stampa, molto al di sotto della media degli altri paesi europei. Il motivo secondo me è da ricercarsi nell'assenza di un pensiero critico. I quotidiani si limitano a sparare sentenze in base allo schieramento politico da cui ricevono i finanziamenti senza costruire un contesto, senza dare la possibilità al lettore di farsi un'opinione sui fatti, ma anzi alimentando la ricerca di un capro espiatorio per i nostri problemi: dai runners alla movida, ai locali di aggregazione culturale, quante volte durante la pandemia è cambiata l’identità dell’untore? E questo succedeva anche prima: migranti, rom, islamici. Sono innumerevoli le volte in cui gli organi di informazione hanno alimentato il meccanismo della ricerca di un responsabile, usando titoli sensazionalistici, invece di analizzare le problema in maniera critica e spingendo il lettore verso un'auto analisi.



"Sei, in un paese meraviglioso": a cavallo tra questo titolo e la domanda precedente, come è nata la tua attenzione nei confronti delle varie eccellenze Made in Italy come tangentopoli e cosa nostra?

Studiando Storia Contemporanea all'università, mi sono ritrovato a seguire un corso che analizzava l'Italia nei suoi ultimi 70 anni. Questo corso mi ha aperto gli occhi su quanto poco l'italiano medio conosca la storia del suo presente. Al liceo ci sono argomenti fondamentali per essere dei cittadini migliori, che vengono a malapena accennati, uno fra tutti la questione "mafia". Spesso i professori delle superiori si accontentano di dire che sono esistiti Falcone e Borsellino, senza però spiegare in che contesto hanno dovuto operare, senza spiegare che cos'è la mafia, come nasce, come si è sviluppata e come si è arrivati alle stragi di Capaci e Via D'Amelio. Lo stesso discorso si potrebbe fare per Moro, per la strategia della tensione, per tangentopoli, e se si volesse ampliare, per questioni ancora aperte come Ustica e Moby Prince. Se i cittadini venissero formati su questi argomenti si avrebbe molta più consapevolezza, banalmente, al momento del voto, e forse tante discussioni inutili in ambito politico non verrebbero neanche avviate. Per quanto riguarda "Sei, in un paese meraviglioso" la canzone è nata all'autogrill Giove Ovest, sulla A1, davanti al cartello omonimo.



Parliamo dell'EP che presenti oggi in anteprima qui su IndieVision: "Post, vol. 2" segue la parte precedente, ma rispetto ad essa è più riflessivo. Le canzoni sono nate dopo, e quindi, immagino, in un clima psicologico differente, oppure è stata una scelta voluta separare i brani nei due lavori?

La seconda. Quando ho registrato POST avevo già i demo pronti dei due volumi e ho deciso di disporli in maniera coerente rispettando un percorso narrativo, più tormentato e politico nella prima parte, più introspettivo e analitico nel nuovo volume. I brani sono nati in tempi piuttosto ravvicinati, dandomi il tempo di pensare a un percorso che permettesse di unire i puntini, forse a livello interiore.

La domanda intorno alla quale ruota l’Ep è "Meglio rivolgersi al passato o cercare di costruire un futuro diverso?", posso, da orgoglioso "paraculo" quale sono, girarti la domanda?

Certo! Per me sono necessarie entrambe le cose: da storico sarei incoerente se ti dicessi che il passato non serve per cambiare il futuro. Il problema sorge nel momento in cui ci chiudiamo nel nostro vissuto, nei bei momenti andati, dimenticandoci di vivere il nostro percorso, la nostra vita. È un po' ciò che Albus Silente dice a Harry Potter nel primo romanzo della saga: "È inutile rifugiarsi nei sogni e dimenticarsi di vivere".



La spensierata "Video 8: Autunno 2003" è l'ultima canzone ad uscire per il progetto "Post", rappresenta una specie di "pace interiore" raggiunta, l’esatto opposto o altro?

In realtà "Video 8: Autunno 2003" rappresenta proprio quel passato in cui ogni tanto ha senso tornare ma nel quale non bisogna perdersi. Nel 2003 ero un bambino di 5 anni, chiaramente spensierato, tranquillo, ignaro di tutto il dolore e la sofferenza del mondo, se azzardiamo, un po' come Siddartha all'inizio dell'omonimo romanzo di Hesse. Avevo bisogno di raccontare le suggestioni di quell'età dell'oro per non renderle più totalmente mie e di conseguenza renderle meno in grado di diventare il sogno da cui non si può scappare. L'infanzia può essere il momento più bello e pericoloso della nostra vita e Video 8 mi ha aiutato a fare pace con questo periodo, evitandomi in futuro di avere dei rimpianti.



"Gagarin" all’ascoltatore arriva in faccia fortissima, una strofa via l'altra in una manciata di secondi. È arrivata così di getto anche a te?

Abbastanza. Era Marzo 2020, in pieno lockdown, un periodo che personalmente è stato devastante e terribile. Se però c'è qualcosa che mi ha dato quel momento è stato il testo di Gagarin, scritto in un pomeriggio tra i tanti che si confondevano tra loro. Quando è nata però è molto più lenta e il ritornello era poco convincente, quindi c’è stato poi un lungo lavoro di correzione in seguito.



"Ché in fondo siamo stati tutti quanti rancorosi tipo alla zecca quell'Arturito": deduco tu abbia visto "La Casa di Carta". Che rapporto hai con le serie tv?

In generale mi posso reputare un appassionato di film e anche di serie tv, per cui è stato inevitabile prima o poi dover affrontare la visione de "La Casa di Carta". Non è la mia serie preferita, sono più un tipo da "Lost In Space" o se vogliamo rimanere su titoli famosi ti direi "Stranger Things". Penso inoltre che LCDP abbia veramente molti difetti e buchi di sceneggiatura. Sono però rimasto colpito da come la gente abbia un odio viscerale nei confronti del personaggio di Arturo Roman, e la risposta che mi sono dato è che probabilmente viene odiato perché è quello che più si avvicina alla meschinità umana con cui tutti abbiamo a che fare, anche dentro di noi. È un personaggio tristemente umano in mezzo a gente che sopravvive a granate e che prevede mosse meglio di computer quantistici. Lo odiamo perché Arturito siamo tutti noi, o meglio la parte che nessuno vorrebbe mostrare agli altri.



"Post, vol. 2" si chiude con "233 Gradi Centigradi", il cui titolo mi fa inevitabilmente pensare a "Fahrenheit 451": è voluto? Quali sono le tue letture abituali?

Decisamente voluto: il romanzo di Bradbury in questi 23 anni è stato il libro giusto arrivato al momento giusto, quando avevo bisogno di sentirmi dire certe cose che le persone attorno a me non erano in grado di dirmi. Ed è proprio in questo che secondo me sta la potenza della letteratura, e in maniera del tutto soggettiva di certi libri. Sono appassionato essenzialmente di classici e di romanzi gialli, anche se non disdegno affatto letture orientate verso la saggistica.

L'importante è che di qualsiasi cosa si tratti, sia scritto bene.

Nella tua musica ricorrono spesso citazioni ai Pink Floyd, c'è un motivo particolare o si tratta solo di ammirazione nei confronti di Gilmour and company?

È ammirazione nei confronti della band di Waters, ed è un omaggio a una persona del passato a cui tenevo molto, che qualche anno fa mi ha fatto ascoltare per la prima volta "Time" e facendomi amare il gruppo.

Per saperne di più su questa storia, si possono trovare dei riferimenti in 1939, Proprietà di un Fotone, parzialmente in Zucchero Filato e qualcosina in 233 Gradi Centigradi.



La domanda, in conclusione, sorge più che spontanea: come sarà il post-"Post"?

Sto iniziando a scavare le fondamenta. Sarà sicuramente il risultato di una serie di esperienze e di consigli presi in prestito tra concerti, reset festival, incontri casuali, viaggi, libri, film e tanto altro. Suonerà un po' diverso, forse più trasparente ed incazzato. Forse più mio.





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