Scoprire Murubutu è stato travolgente. Dico davvero. A differenza della maggior parte dei miei coetanei ci ho messo un sacco ad entrare nel mondo del rap: all’età di qualcosa come 17 anni, nel peak della mia esistenza fatta di punk, metal o altre cose del genere, su consiglio di alcuni amici ho ascoltato un disco dal nome “Gli Ammutinati del Bouncin’ (ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari)”. Posso dire che si sia trattato del mio primo passo verso il conscious rap col quale sono stato in fissa per gli anni a seguire, forse il periodo più prolifico per il genere che è arrivato a ritagliarsi una bella nicchia nel panorama alternative italiano.

Di lì a poco la mia stima nei confronti del rapper reggiano non sarebbe stata l’unica cosa a crescere: Murubutu, all’anagrafe Alessio Mariani, infatti, ha raccolto una bella dose di consenso, ha visto il suo pubblico moltiplicarsi ed è arrivato a riempire i maggiori club italiani, pubblicando vari dischi ed arrivando a collaborare con pressoché chiunque nella scena rap.
Naturale risulta, in questa fase della carriera artistica, cercare una virata del proprio stile per strizzare l’occhio ad un pubblico ancora maggiore, ed è forse questo il motivo per cui mi trovo a scrivere di questo disco: il prof Mariani, così definito perché tutt’ora docente di storia e filosofia, ha trovato nell’album di cui sto per parlare delle sonorità che aveva solo accarezzato finora, penso ai recenti live (con cui tra l’altro ha registrato una manciata di sold-out) con la Moon Jazz Band o ad esibizioni nelli quali si è fatto accompagnare da cori, beat “suonati” e altri strumenti.
Così “La vita segreta delle città” (Django Music / Glory Hole Records) si rivela un lavoro magari più semplice da farsi scorrere addosso, ma non per questo meno intenso: il concept album, questa volta ambientato in città (talvolta precisamente identificate, talvolta più generiche), è l’ennesima conferma che Mariani è uno dei più forti in assoluto nel farti comparire davanti agli occhi tutto quello che sta descrivendo, e basta iniziare con l’ascolto per capire quello che intendo.

Una chitarra acustica metallica apre “La città degli angeli”: testo, atmosfera e musica sono perfetti per introdurci a quello che sentiremo nei prossimi 50 minuti circa.
“Sullo sfondo della città, noi col mondo messo in stand by Ora stiamo dentro un’alba di vetro Dietro il velo di seta che c’è in ogni realtà”
La (quasi) title track “La vita segreta” vede la voce di Murubutu incastrarsi benissimo con quella di Erica Mou: il risultato è una piacevolissima canzone d’amore. Sullo sfondo, tra le altre, New York, Firenze, Praga e Parigi.
“A volte provare a perdersi è una forma d’amore, La forza del volo contro la gravità Per me resterai qui fra versi e parole Nella vita segreta che c’è in ogni città”
“Grande Città”, su un beat di Dj Fastcut, viaggia per più di quattro minuti su una metrica ripetuta quasi come un mantra, sulla quale Mariani si muove agilmente ricordandoci musicalmente così come nelle tematiche, penso a “Scirocco”, alcuni dei suoi migliori episodi precedenti.
“Come un amante dell’arte dentro a un museo in fiamme Afferravo con gli occhi tutti i luoghi e i ricordi Riempivo la valle che ho dietro le palpebre Di mille memorie per portarmele via”
Le sonorità si riaprono per la splendida “Minuscola”, che racconta la triste storia dei giovani Yaguine Koita e Fodè Tounkara, ritrovati assiderati nella stiva dell’aereo su cui si imbarcarono tentando di scappare dalla loro Guinea verso l’Europa. Insieme a loro fu ritrovata una toccante lettera (“E adesso al freddo e nel buio, su a diecimila metri / Hanno una lettera chiusa da portare all'UE”).
“Domani pensaci bene, noi saremo là insieme mentre voliamo via E arriveremo davvero in quella parte di cielo che sembrava utopia E noi vedremo la terra allontanarsi in un lampo e diventare minuscola In volo sopra a un pensiero che non ha un suo emisfero, né colore, né etnia”
Tra qualche riferimento più o meno letterario, Balzac e Queneau, il primo singolo “Flaneur” sarebbe facilmente collocabile a Parigi anche senza la bella strofa in francese cantata da Ivana LCX che lo chiude, lasciando spazio ad un super solo di tromba di Gabriele Polimeni.
“Camminavo senza meta si ma come per istinto A ogni bivio giro intorno sembro un carillon Leggo tutte queste strade come un manoscritto Parlo fitto ad un soffitto in stile art nouveau Vagavo distratto lungo i boulevards Studiando i sorrisi nei bar e i caffè Un ballo in città come dentro un Renoir Vago da Montmartre fino ai Lafayette”
Una delle maggiori sorprese dell’album è senza dubbio “Megalopoli”: difficilmente mi sarei immaginato di imbattermi nella combo Alborosie - Murubutu, posso tranquillamente dire che non poteva esserci miglior modo per dedicare un brano alle città più grandi del mondo e a tutto quello, contraddizioni comprese, che le concerne.
“La megacity ha tanti grooves, solo un blues che sale in alto E ogni luce qua al suo buio che produce per contrasto”
“Nora e James”, come spoilerato già dal titolo, racconta la storia di Nora Barnacle e James Joyce, partendo dal loro primo incontro: il nostro si conferma uno storyteller davvero maiuscolo accompagnato da Elisa Aramonte, anch’essa in un’ottima interpretazione, sia qui che nelle altre tracce in cui compare (“La città degli angeli”, “Minuscola”, “Ultima Città”).
“Se uno sguardo ti accende si erge un ponte sospeso È una promessa e una gemma incerta sopra a uno stelo Ed è una vecchia leggenda e accenna un nuovo mistero Ed uno sguardo sfuggendo incendia il cuore in segreto”
Ci si sposta da Dublino a New York: “Il deserto a NYC” ci riporta con le sonorità all’old school a cui siamo stati abituati nella discografia di Murubutu, e nel finale scratchato ci fa davvero piacere risentire le voci de La Kattiveria.
“Ed ora vago fra i districts distrutti dai missili Viaggio dentro nel Queens fino alle strade del Greenwich Cerco droga nel Village, la trovo nell’East-street Sciolta nella siringa per fuggire da qui, come un deep trip”
La seconda metà dell’album è aperta da “Vicoli”, in collaborazione con Davide Shorty, che tra le altre cose ha appena droppato un bellissimo disco che abbiamo recensito qui. Il rapper siciliano si dimostra in splendida forma nel portare la sua Palermo in questa bella storia di rinascita: funziona tutto molto bene.
“Fa che un giorno questo sole mi dia pace Mi dia luce invece di scottarmi se la Santuzza vuole Con due sguardi non c’è età per diventare grandi”
“Saudade” ci teletrasporta a Lisbona, ma restiamo tra le accoppiate che funzionano: quello tra Murubutu e Dia è un sodalizio che da qualche anno li vede calcare i palchi di tutta Italia, inutile dire che questo brano in levare calzi a pennello per entrambi.
“Scalza, stupenda, stregava tutto il Portugal Cantando la terra dove la musica non manca mai E fra le corde custodiva una preghiera dolceamara Che si alzava per chi non c’è più”
Arriva il momento del brano con la tematica storica, il Mariani da tempo ne inserisce uno in ogni lavoro, se vogliamo unendo le sue due professioni. Dopo le guerre marcomanniche, la strage della Notte di San Bartolomeo, la Persia di Re Cambise e la Battaglia di Lepanto, in questo album viene raccontata “La caduta di Costantinopoli”. Correrò il rischio di cadere nella ripetitività, ma il valore didascalico di tutto ciò è qualcosa di inestimabile, premere play per credere.
“Oh mama, ora si scalda ogni lama È accampata già l’armata, porta vento e burrasca Contava ogni nave cristiana Nella baia assediata sente il tempo che cambia Ma lui voleva in ogni modo, il golfo, i punti e il nuovo trono Il colpo ai muri di Teodosio, fa tuonare ogni arma Ma una catena chiude il porto Là protegge il corno d’oro Dalle navi del sultano dentro il mare di Marmara”
Interpreto “451” (non a caso la temperatura espressa in gradi Fahrenheit di combustione della carta, almeno per l’autore del quasi omonimo celeberrimo romanzo) come un brano di denuncia sì per l’attuale status della cultura nel nostro paese, ma anche nei confronti dei testi della maggior parte della musica che viene prodotta: la canzone è un atto di resistenza con tantissime parole, ad opera di due delle penne migliori del nostro paese, dando per scontato che il Danno non abbia bisogno di presentazioni.
“Oggi brucio Thoreau, domani Poe e Faulkner Se ora brucio Rousseau, Leopardi poi Shaw e Tolkien Qui oggi brucio Foucault e domani George Orwell”
“Wanderlust”, sorretta da due chitarre che, tema contro tema, si intrecciano per tutti i tre minuti e mezzo, è la storia di una figlia che corona il sogno che il padre non è riuscito a realizzare.
“Ma a volte o spesso il destino sai è un cecchino meschino E un mattino Jo arranca e gli manca il respiro Sua figlia lo piange e dopo un anno ha deciso Viaggerà per suo padre e il suo sogno reciso”
L’ha detto l’autore stesso, l’intero album è raccontato dal punto di vista di un “flâneur”, un osservatore che si perde tra le vie delle città, ma forse “Paranormale” è il brano nel quale il protagonista è proprio chi sta vagando, che in questo caso ritrova in ogni dettaglio un qualcuno che non c’è più.
“Ti vedo ancora fra i vicoli, attraversi i cortili Ed io che qui giro a vuoto come rigiro il flow Io ti seguo da allora se attraverso i giardini Viaggio dentro altre vite come Virginia Woolf”
Il compito di chiudere questo immenso viaggio è di “Ultima città”, forse il brano più cantato dell’intero album, accompagnato da un piano che si appoggia su una cassa terzinata, per un’atmosfera quasi epica, nella quale il nostro non perde l’occasione per un extrabeat: il risultato del tutto, per la dinamicità, è un esperimento a mio avviso ben riuscito, un buon punto da cui partire per qualcosa di futuro.
“Sentire i treni, fra gli isolati, era il mio modo, starti vicino Su due pianeti e città lontane, io dormo ancora col tuo respiro”
“La vita segreta delle città” si rivela essere a tutti gli effetti un disco più che piacevole, consigliatissimo in cuffia mentre, come ha fatto Murubutu, ci si cala in prima persona nella parte di passante, osservando quello che succede attorno e lasciandosi trasportare qua e là per le storie e per i luoghi raccontati in queste quindici canzoni. Buon ascolto!
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