La prima cosa che ci racconta Nicolaj Serjotti al telefono è che il nome Milano 7 sia stato attribuito alla sua zona un po' a tavolino dopo l'introduzione del nuovo sistema tariffario dell'ATM, l'azienda che gestisce i trasporti pubblici di Milano ed hinterland.
Dall'ascolto del suo album (in uscita oggi per Virgin / La Tempesta) capisco un po' di cose del suo mondo, sintetizzato geograficamente "Milano 7" . Un'attenzione ai particolari, uno stile sciolto e libero come pochi, un'attitudine rap contaminata da influenze urban, pop, elettroniche.
La storia che vi racconto oggi è fatta dai sogni e dalle paure di un 22enne nato e cresciuto ai confini della metropoli più ricca d'Italia che vive come tutti noi le sfide quotidiane della vita, ma riesce a trasformare in poesia metricamente sublime tutto ciò che pensa. Non è da tutti riuscire a interpolare una potenza espressiva così diretta e lucida già nell'anima del primo album. La conversazione che ne segue da un'idea precisa della sua interessante personalità e della sua sfegatata passione per Donald Glover, oltrechè di tutta la vita che ha messo nelle nove tracce che compongono il suo primo splendido lavoro in studio.
Ciao Nicolaj, vorrei iniziare questa intervista chiedendoti una cosa tanto banale quanto essenziale per capire chi ho di fronte: perché fai musica?
Ho trovato da subito nella scrittura un modo di sfogarmi che, unito alla ricerca sonora, mi permetteva di approfondire modi diversi di comunicare ciò che provavo. È stata una abitudine nata in modo naturale, già da quando ai primi anni di liceo ho sentito per la prima volta il rap, sia italiano che americano, e avendomi stregato mi sono detto: “devo farlo anch’io”. Da lì ho iniziato a cimentarmi con la scrittura ed ho notato che riuscivo a sintetizzare dei concetti in modo efficace, che a me piaceva. Non ho mai smesso.
A Milano 7 ci sei nato e cresciuto, e in “Scarabocchi” canti “Attento a non perdere l’ispirazione”: secondo te è più facile trovare ispirazione in provincia o in una metropoli?
Si, cresciuto da sempre qui con delle contaminazioni. Anche wuf è di Milano 7, un paese vicino al mio. Poi dopo l’uscita di “Oversized thoughts” abbiamo conosciuto anche Fight Pausa, dalla provincia di Varese ora trasferito a Milano. La mia scrittura è sicuramente influenzata dalla provincia, dal buio, dalla noia. Parlando di ispirazione, è difficile trovarla in generale quando la si cerca. Secondo me esistono vari tipi di ispirazione, in provincia io ho trovato la mia. Credo sia una ispirazione mista tra quella provinciale e quella di metropoli: a metà tra la frenesia di Milano e la tranquillità della mia zona, dove si passeggia tra palazzi con le luci spente. Il contrasto tra frenesia e calma ha creato una ispirazione particolare.
In “Mitra” canti "Duro come da programma non come mi ha fatto mamma": come si fugge dal copione, dal programma che ci vuole in un certo modo?
In realtà con quei versi, a cui pensavo prima casualmente, mi riferisco al programma che ho scritto io stesso: duro quanto mi voglio duro e non come sarei di natura. Il programma di cui parlo è ciò che decidiamo di essere. Credo ci sia un certo periodo nella vita di ognuno di noi in cui non tanto fingiamo quanto cerchiamo di essere in un certo modo. Cercando quel tipo di espressività alla fine ci autoinfluenziamo nel diventare ciò che vorremmo.
"Voglio solo diventare il donald glover italiano" e poi "a volte sembro un bambino, gambino", cosa cerchi in Donald che a te manca?
Mi fa molto ridere riascoltare il disco e notare che lo cito due volte. Mi fa pensare a quel periodo in cui mi piaceva tanto il fatto che avesse diverse sfaccettature artistiche, a partire da Atlanta, la sua serie tv. Il fatto che riuscisse ad esprimersi attraverso diverse modalità mi affascina tuttora e forse è questo un obiettivo per il futuro. Nella barra "a volte sembro un bambino, gambino" mi diverte perché lui si fa chiamare Childish Gambino che in italiano rima con bambino, appunto “child”.
Nell’album ci ho ritrovato un’attitudine da Giovane Holden, sincero e crudo, un flusso di coscienza che si focalizza sui dettagli, molto evocativi nell’album: i silenzi, dei posti, un certo album, parole, sguardi. Secondo te sono i piccoli dettagli a fare la differenza o quelli grandi?
Nel bene o nel male sono molto attento ai dettagli, mi ritengo a volte esageratamente perfezionista: mi focalizzo troppo sul dettaglio senza inquadrare il generale. L’attenzione al dettaglio che hai riscontrato nel disco non è voluta ma spontanea. Nella scrittura cerco sempre di equilibrare concetti ed immagini così come metrica e linguaggio. Certi pomeriggio li passo anche solo a togliere una sola sillaba da una frase, ma se riascoltandola suona meglio sono lo stesso soddisfatto. La ricerca del dettaglio per me è molto importante per comporre un quadro generale coerente ed efficace.
"Chissà se lo sto facendo come Dio comanda o sono solamente negli standard" cosa significa per te fare musica come Dio comanda e cosa invece negli standard?
Non ho ancora trovato una risposta a questa domanda, me lo chiedo spesso. È una questione di soggettività: lo standard per qualcuno può essere eccezionale per qualcun altro. Cerco sempre di scrivere in un modo che mi avvicini a un ascoltatore simile a me. “Come Dio comanda” è strettamente personale.
La musica negli standard serve al mondo della musica?
Non riesco ad identificarla bene perché entra in gioco una soggettività che forse può essere quantificata coi numeri su Spotify ma probabilmente c’è altro dietro. Non riesco poi a elevare il mio gusto come unico possibile, non ho quella pretesa. La sfida è trovare chi ha un gusto simile al tuo e riuscire a comunicare con loro sopra gli standard.
L’unico featuring nell’album è con Generic Animal: è stata una collaborazione nata per caso o è stata volutamente cercata?
In generale cerco di collaborare solo con persone a me vicine. La collaborazione con lui è nata perché Fight Pausa ha prodotto sia il suo che il mio disco. Inoltre questi anni ci siamo avvicinati fino a diventare amici, oltre ad essere uno dei pochi artisti in Italia di cui conosco la discografia a memoria. Mi sembrava giusto avere pochi feat nel mio disco di presentazione per mettermi allo scoperto il più possibile. Faccio le cose solo con chi apprezzo davvero per creare qualcosa di genuino e coerente col mio stile.
Se ti dessi la possibilità di vivere dentro il mondo di un film, quale sceglieresti?
Bella domanda! Sono un po’ triste tra l’altro perché per la pandemia ha chiuso nel paese vicino al mio il cineforum che frequentavo sempre con piacere, ci trasmettevano film d’autore. Mi piacerebbe vivere dentro “Synecdoche, New York” di Kaufman perché mi piace che il protagonista cerchi di raccontare se stesso creando una matrioska di altri protagonisti che cercano a loro volta se stessi.
PS: "Synecdoche, New York" l'ho visto la sera stessa e mi ha svoltato la serata mandandomi in un trip esistenziale non indifferente. Grazie Nicolaj, ti devo un consiglio cinematografico all'altezza.
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