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Marracash, l'album 'Persona' - Recensione



Finalmente abbiamo tra le mani “Persona”, l’attesissimo nuovo album quasi-solista di Marracash dopo la parentesi “Santeria” in collaborazione con Gue Pequeno.


Dico “quasi-solista” per via dei numerosi pezzi (8 su 15) in featuring con altri artisti ma che, a detta dello stesso Marracash sul suo profilo Instagram, sono stati accuratamente scelti perché “Possono aggiungere qualcosa alla traccia in cui sono ospiti, o che hanno talenti che io non ho”. Devo ammettere che di fronte a una tale quantità di featuring ho avuto il dubbio che avrebbero diluito la qualità dell’album “In un mare di marketing” (come cantava in “Purdi”), e spesso, ahimè, così è stato. Malgrado ciò, la qualità della narrazione dei pezzi solisti mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo.


Questo è l’album che sancisce la fine di un periodo piuttosto complesso per Marra, durante il quale si è dovuto confrontare con la mancanza di stimoli e la sensazione di spaesamento data dai numerosi mostri cresciuti nella sua mente in questi ultimi anni.

Il Marra sfrontato e combattivo di “Status” si è oggi trasformato in un Fabio più consapevole dei propri limiti, della propria condizione di essere umano fragile e vulnerabile. Quando un certo lato di noi stessi, che ci aveva abituato a sicurezze accomodanti, perde credibilità, le certezze e il benessere fino ad allora ben ancorati alla nostra quotidianità ne escono frantumati e reagire in modo costruttivo non è affatto semplice, specie se si decide di farlo da soli.


Tra le origini di questi squilibri letali c’è stata per Marra una sua precedente relazione, alla quale è dedicata la traccia “Crudelia” metaforicamente associata ai nervi del corpo umano (“i nervi tesi e lesi da una stronza”). Una relazione disfunzionale e distruttiva per lui dalla quale ha impiegato molto tempo a distaccarsene, continuando nel contempo ad “amare il suo nemico“, subirne gli influssi più negativi.





“Mi colse l'idea improvvisa che ero vuoto, senza scopo” un’idea che lo ha costretto in una gabbia mentale e anni di crisi personale post “Santeria”, segnati da un silenzio assordante sui social e un’assenza generale dalla scena hip - hop che durante l’outro del primo pezzo dell’album, BODY PART, scopriamo provenire da una diffidenza verso la realtà che lo circondava, a “Un senso di vertigine per la paura di essere scoperto, messo a nudo, smascherato, poichè ogni parola è menzogna, ogni sorriso, smorfia e ogni gesto, falsità”, bugie in cui “La gente non ci crede, ci casca”.


In balia delle relazioni tossiche costruite negli anni precedenti quel silenzio serviva a riordinare le priorità della sua vita e trovare una risposta alle tante domande che si poneva, tra le quali probabilmente spiccava l’interrogativo su chi, tra Fabio e Marracash, dovesse divenire il suo nuovo punto fermo.


Il tenore di “Persona” è meno pomposo che negli album passati, merito di un ego volutamente tenuto a bada per lasciar trasparire il Fabio fin ora messo da parte dal suo alter ego immaginario, Marracash, costruito dal giorno zero per catalizzare quella sete di attenzioni che caratterizza l’essere umano. Attenzioni che costruiscono castelli in aria i quali, tuttavia, inevitabilmente prima o poi mostrano la loro natura effimera, rivelandoci a quanto poco servisse “Tutto questo niente”. È qui che giunge a compimento il percorso durato un album, una realizzazione tanto illuminante quanto avvilente: “Il successo, fra', è come se metti una lente d'ingrandimento su un insetto ti fa sembrare gigante, ma allo stesso tempo rivela sempre il vero aspetto”, un altro modo di dire che “Le cose care sono solo cose care, raramente diventano care cose”.


Nell’ultima traccia l’analisi introspettiva si rivolge tra il serio e il faceto (“Si è estinto il koala prima che io ne assaggiassi uno, tu ti estinguerai prima di aver estinto il mutuo”) all’umanità intera, in una sorta di pessimismo storico provocatorio sullo stato di salute terminale del pianeta terra e della spirale autodistruttiva e praticamente inarrestabile cui siamo destinati (“Ho idea che per l'inquinamento fare la differenziata non sia abbastanza, tentano. È come se per l'invecchiamento bevi la centrifugata con l’avocado e zenzero”).


In definitiva, questo non è esattamente l’album che ci stavamo aspettando da Marracash ma per una serie di motivi, è l’album che serviva sia a lui che a noi, a ricordarci di fare sempre i conti con noi stessi senza diventarne schiavi, schiavi di manie di protagonismo insensate e costruite ad arte per distrarci dalle domande che non abbiamo il coraggio di porci.


Il meglio di sé quest’album lo dà quindi nei pezzi solisti. Purtroppo la qualità degli interventi esterni non è stata quasi mai all’altezza delle promesse, eccetto forse per il duetto con Massimo Pericolo, la cui cifra stilistica risulta in linea col mood generale del disco. Rasentano infatti il limite dell’inutilità le strofe di Coez e Sfera Ebbasta, di una pochezza disarmante e che spiccano negativamente per la mediocrità che dimostrano rispetto allo stile del padrone di casa. Forse un degno contributo riescono a darlo Gue Pequeno e Madame, che riescono a incarnare il senso più ampio dell’album. Non pervenuti meriti degni di nota neanche per Luchè e Mahmood, incapaci di interpretare le corde più delicate di un album che richiedeva forse più attenzione nella ricerca lessicale. Molto fruttuosa invece la collaborazione con Tha Supreme e Cosmo, in grado di aprire parentesi nuove e interessanti nelle sonorità di Marra.


Non un album sensazionale, insomma, e che richiede più ascolti per essere apprezzato in fondo e coglierne le sfumature più tenui e sofferte. Un lavoro volutamente pacato, in continuità con la neo assunta consapevolezza di effimero equilibrio a cui convergono le risposte esistenziali del riconfermato King del rap. Una lezione di umiltà e di talento, strettamente collegati, in contrasto con le tante voci urlanti che affollano inutilmente i nostri Spotify.


Per cui mi chiedo: come fa a costare come gli altri?

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