La Maremma è una regione geografica che si estende su buona parte della Toscana e nell'alto Lazio. Storicamente una terra difficile che solo in tempi recenti è stata scoperta nelle sue meraviglie e nel suo spirito selvatico. Oggi, in Top of The Shots, vi proponiamo 4 canzoni che parlano di Maremma scritte da cantautori maremmani.
Siete in coda all'orto frutta, al vecchio signore davanti a voi cadono delle monete dal portafogli e, mentre si china per raccoglierle, lo sentite esclamare tra sé e sé "Maremma maiala...".
Questa curiosa e diffusa usanza linguistica affonda le radici in un passato non troppo remoto: storicamente, la Maremma è stata una terra difficile da vivere. Per gran parte ricoperta da paludi ed una macchia di fitti arbusti, è sempre stata avversa agli agricoltori, i quali dovevano fare i conti sia con i briganti che con la malaria. Per questo, fino alla metà del '900, i territori maremmani sono stati vastamente disabitati. Chi ci si avventurava spesso non faceva ritorno, come testimoniato dal più celebre dei canti popolari della zona, "Maremma Amara". Il primo pezzo che vi proponiamo è proprio un'interpretazione di questo canto di Gianna Nannini, originaria di Siena. Il canto, lento ed angosciato, ricorda un po' le acque stagnanti e l'immobilità del tempo nelle vaste pianure tipiche della zona
In seguito alle bonifiche la zona maremmana è stata progressivamente popolata fino a diventare, ad oggi, una delle mete turistiche più ambite in Italia ed una terra ospite di una cultura immensa. Le vaste campagne dell'entroterra, che ospitano piccoli centri abitati e città, si dimostrano ad oggi terre ben difficili da domare: lo si capisce dagli stormi di insetti, dalla violenza delle spine degli arbusti, dal caratteristico odore di palude che esce dai canali. Il fascino di una terra che oppone resistenza al tentativo di creare ecosistemi costruiti attorno all'uomo persiste ancora in ogni testimonianza di chi vive la campagna maremmana. In un'eterna lotta tra il voler fuggire e il non voler mollare delle radici così profonde si colloca "Migrazione generale dalle campagne alla città" di Lucio Corsi, cantautore di origini Grossetane.
E quindi chi vorrebbe mai vivere in condizioni simili? Chi vorrebbe mai stare in una guerra perenne con zanzare e pappataci, pronti a morderti via l'anima ad ogni giornata afosa o ad ogni alito di vento di terra? Forse la risposta si trova proprio in questo sentirsi a disagio, sentirsi fuori posto.
Le città rispondono alle nostre necessità plasmando i loro ambienti per accomodarci la vita, ma questa comodità va a braccetto con un vago senso di nausea ed apatia, come una lunga storia senza climax ed una lunga vita senza avventure. L'apparente inospitalità di queste pinete spinose cela tra i propri angoli oscuri delle meraviglie ed un fascino che restituiscono una soddisfazione non altrimenti raggiungibile. Alla fine del sentiero, con le caviglie arrossate e le mani impolverate, si apre una vasta spiaggia ed un mare che ci invita a tuffarci per lavarci di dosso il peso della traversata. Il terzo pezzo che vi proponiamo è alimentato proprio dalla nostalgia per quel mare. "Portami a pescare", dei Gatti Mézzi parla di quella vita che si abbandona perché è la scelta logica, ma il cui peso emotivo torna a bussare la porta ad ogni nostro pensiero.
Quando ci si abbandona alla corrente, lasciandosi alle spalle la paura di finire chissà dove, la Maremma rivela il suo lato morbido. Per farlo è necessario comprendere che quella che stiamo vivendo non è un'occupazione di terreno ma una convivenza: questa terra non sarà mai come la vogliamo noi. Dopo aver trovato i giusti compromessi ed aver mollato la presa, quella che ci si presenta è una vita che non manca di essere dolce. "Prendo il Largo", canzone dei Dupe', è un racconto che testimonia quanto sia bello trovarsi in alto mare, in balia delle correnti della Maremma impeshtata.
La Maremma è una terra che si è guadagnata ogni sorta di imprecazione, che cela dietro ai petali degli oleandri dei fossi profondi e brulicanti di insetti devoti solo alle punture. È una lunga camminata da fare scalzi su una strada sterrata che fa bestemmiare ad ogni sassolino appuntito che si calpesta, è il sapore salmastro di quel respiro che facciamo quando siamo convinti di essere riemersi ed ecco che un onda ci sovrasta la bocca. Ma, mentre siamo seduti su un tronco che si improvvisa panchina e ci togliamo le spine dal piede, ci investe con un vento lieve e profumato di resina, e risvegliati dal torpore ci è chiaro che non vorremo più tornare a dormire.
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