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La vera rivoluzione è quella contro se stessi: intervista a Wepro

Immagine del redattore: IndieVisionIndieVision

di Daniele Saracino


Chiedendosi che genere avrebbe suonato una band nei sobborghi di una città post apocalittica, Wepro ha ideato un sound variegato e futuristico. Marco Castelluzzo, questo il suo vero nome, classe ’93, è un appassionato di musica a 360 gradi: cresciuto a punk, rock e techno, la sua idea di musica è priva di etichette. Nel suo album di esordio omonimo, uscito il 26 maggio, si possono ascoltare influenze musicali che vanno dal cantautorato di Tenco alle sonorità sporche ed elettroniche dei Nine Inch Nails. Gli piace immaginare la sua musica come stanze diverse della stessa casa, perché la vera trasgressione del rock oggi è saper mettere mano a più generi senza limiti.


Originario della provincia di Lecce, vola negli Stati Uniti per studiare scrittura e composizione musicale. È però Roma la città che più di tutte lo aveva accolto e dove, dopo un primo impatto caotico e snervante, decide di tornare. L’intervista con Marco è stata una chiacchierata amichevole tra due appassionati della stessa musica. Ha raccontato del suo percorso in questo mondo, dall’esperienza con la Disney, alla “sconfitta-vittoria” del concerto del Primo Maggio. Ha svelato per la prima volta cosa rappresentano le sei stelle nella copertina dell’album e ha parlato del suo approccio alla musica, in studio e sul palco. Tra aneddoti divertenti e momenti di intimità, Wepro ci ha rivelato le proprie paure e i valori che cerca di trasmettere attraverso la musica.

È uscito il primo album del progetto Wepro, ma tu non sei un novellino del mondo della musica, raccontaci del tuo percorso con la musica.

All’inizio avevo un approccio alla musica ludico, già a 13 anni suonavo in una band ed ero fomentassimo, ma come un ragazzino, non pensavo di poterne fare la mia vita. Però mi rendevo conto che non mi interessava andare bene a scuola né altre cose mi davano soddisfazione quanto la musica: l’unica cosa che mi rendeva felice era scrivere bene le canzoni. Scrivere e creare mi è sempre piaciuto tantissimo, ma con le distrazioni in età adolescenziale, non ho mai messo a fuoco questa dimensione. Però mi sono reso conto che venivo inserito in questi contesti in maniera naturale: ero molto fan di Disney Channel e un giorno vedendo uno spot di contest per ragazzi di MyCampRock pensai “se lo faccio io magari mi prendono”, ho mandato un video e mi hanno chiamato davvero! Da quel momento inizia il periodo di lavoro con la Disney, a 17 anni ho cantato la colonna sonora di Rapunzel.

Poi c’è stato il periodo di lavoro con Amici, ma in quel periodo provavo una bruttissima sensazione perché percepivo tanti soldi per non fare niente di che, a fine giornata mi restava un enorme peso addosso. Così ho deciso voler diventare davvero forte e andai a Boston a studiare scrittura composizione musicale. Lì nasce il progetto Wepro, ma non riuscivo ad immaginare la mia vita in America perciò sono tornato a Roma.


Cosa rappresentano le stelle della copertina dell’album?

Intanto la parte grafica delle copertine dei singoli e dell’album l’ho curata io, perché mi piace mettere le mani anche sulla parte visiva.

È la prima volta che parlo delle sei stelle della copertina in un’intervista: essendo molto appassionato di universo ho voluto inserire questa componente stellare nella grafica. Le sei stelle rappresentano le lettere della parola “futuro”: Concetto che mi ha guidato molto nella composizione dell’album. Il Rock oggi è un genere complesso e non volevo cadere in stereotipi. Mi lascio guidare molto dalla componente visiva, prima immagino poi scrivo. Per questo ho cercato di capire come potesse suonare una rock band nel futuro, chiedendomi se ci fosse stata un’apocalisse, che genere avrebbe suonato una band nei sobborghi di una città post-apocalittica. Questa immagine ha dato un tocco futuristico al concept dell’album, con il lato organico suonato molto sporco ma con una componente digitale estremizzata.


Quali sono i tuoi ascolti e i tuoi gusti musicali, e in che modo hanno influenzato l’album?

Le influenze in quest’album vanno da cantautori come Luigi Tenco all’industrial dei Nine Inch Nails. Io sono amante del rock, una delle band che mi hanno formato sono i Rage Against The Machine, ma ultimamente sono in fissa con la musica elettronica e uno dei miei artisti preferiti è John Hopkins. Una cosa che ha contribuito alla mia scrittura è stato proprio il voler diversificare l’album. Se adesso dovessi ascoltare un vecchio album rock probabilmente mi stuferei dopo poche tracce. Il rock oggi è saper mettere mano a più cose senza limiti: questa è la vera trasgressione.

A me piace tutta la musica, non voglio fare un genere etichettato ma mi piace mantenere un’attitudine rock. Mi piace immaginare le tracce dell’album come stanze diverse della stessa casa.


Scrivi e produci tutto da solo?

Scrivo e produco da solo, di base per cantare qualcosa cerco sempre riferimenti personali, per dare un tocco veritiero a ciò che voglio esprimere. Ma una componente importantissima è la supervisione di Marco Mantovani, produttore fortissimo a fare rock; è quell’orecchio esterno che ti aiuta a finalizzare le cose. Mantovani è in assoluto la persona con cui litigo di più, nemmeno con la mia ragazza litigo così tanto. Quando discutiamo la verità non sta mai né dalla mia parte né dalla sua, la via di mezzo tra la ragione di entrambi da vita al prodotto finale.


Nelle tracce dell’album parli di rivoluzione, verità, sogni, amore, futuro: è importante trasmettere i tuoi valori attraverso la musica?

Se dovessimo definire in generale la categoria degli artisti, direi che ha delle grandi responsabilità, perché l’arte può veicolare tantissime cose, tra cui i valori. La società e le istituzioni non sempre hanno in mano la “cosa giusta”. L’arte è anche l’espressione di una volontà di cambiare qualcosa e spero che resterà sempre così. Strumenti che abbiamo sono o manifestare in piazza o mettere i nostri messaggi dentro le canzoni per farli arrivare alle persone. Sfrutto quello che faccio per veicolare delle cose.

La vera rivoluzione è quella che fai contro te stesso, è così che si cambiano le cose. Le rivoluzioni che tu applichi come persona possono essere il volersi migliorare, cambiare delle cose che non ci piacciono di noi stessi, accettarsi. Il mondo migliora solo le persone migliorano.


Qualche domande sulle tracce dell’album: parlaci di “Amore Punk”

È una traccia che ho scritto per non essere troppo serio. Io sono così, mi piace divertirmi e scherzare ma i pezzi erano quasi tutti molto seri e dopo un po’ “mi accollo da solo”, perciò ho voluto creare qualcosa che mi facesse sentire come adolescente.


Hai scritto una traccia che si chiama come una discoteca di Roma nota per la musica techno: “Cieloterra”. Cosa ti ha ispirato questa canzone?

Vado spesso al Cieloterra, perciò ho voluto raccontare una finestra di cose che vivo realmente. Mi sono fatto ispirare da quello che sento e vedo quando vado a ballare nei club. È figlia anche un po’ del singolo “Blu Cristallo”, che ha queste sonorità rock suonate unite ad un’elettronica pesante.


La traccia “C.N.G.R.” è la più sporca dell’album, com’è venuto fuori un pezzo del genere?

Dall’improvvisazione! È stata improvvisata l’ultima mattina in cui avevamo disponibile lo studio. L’abbiamo registrata con soli due take, infatti è venuta molto sporca e grezza, io avevo la voce di uno che si è appena svegliato e addirittura sbaglio alcune parole; ma alla fine era perfetta e ci piaceva così.


Parlaci dell’ultima traccia dell’album, “La Rivoluzione”

Sono io da solo, piano e voce, a cui è stato aggiunto successivamente il violoncello. Sono completamente scoperto, senza chitarre, batteria o synth. Mi sono aperto molto e mi fa piacere sentirmi così scoperto in quella canzone così come mi piace che sia la traccia conclusiva dell’album.


Scrivi le tue canzoni pensando già al palco?

Alcune volte sì. Certe canzoni vengono concepite pensando al live, le scrivo e provo in studio con le casse a palla e cerco di immaginarle già suonate in concerto. Altre invece nascono per una dimensione più intima e poi vengono riadattate e portate in live, è più difficile ma si fa.

Tengo molto alla dimensione live, credo che il termine “live show” sia molto significativo: l’unico motivo per andare ad un live è che ci sia lo spettacolo.


Hai partecipato al contest del concerto del Primo Maggio a Roma, non hai vinto, ma ti hanno fatto comunque esibire. Raccontaci questa esperienza, cosa è successo?

Mi ha chiamato una delle persone del contest “1M Next”, mi dice che erano usciti i risultati e che avevo perso. Lì per lì mi stavo alternando, ho pensato che mi ci avevo pure chiamato per dirmi che avevo perso. Invece mi dice che a parità di punti avevano voluto diversificare i generi dei vincitori, ma io ero piaciuto così tanto che volevano farmi suonare comunque. Morale della favola abbiamo suonato anche più pezzi dei vincitori del contest. Assurdo!


Qual era la tua più grande paura da adolescente?

Il futuro. Oggi faccio solo prospettive a breve termine. È impossibile quanto inutile porsi obiettivi troppo distanti nel tempo, la società in cui viviamo non lo permette. Meglio vivere i momenti un passo alla volta.


Parafrasando il titolo della ballad dell’album: quali sono le “piccole cose” che per te “sono grandi”?

Quelle semplici. Con la vita ce ne dimentichiamo, siamo sempre alla ricerca della cosa più figa e diversa, anche se quelle semplici ci bastano ma ce ne dimentichiamo. Bisognerebbe tornare ad apprezzare le cose semplici, perché di quello si campa bene, delle cose difficili non ci campa nessuno.



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