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"La miseria" è il ritratto di una società arrogante e superficiale arrivata alla deriva - Intervista a Luca Romagnoli

"La Miseria" è il primo progetto solista di Luca Romagnoli, frontman dei Management, pubblicato il 6 dicembre del 2024 per La tempesta Dischi. La scelta di agire in solitaria in questo nuovo percorso artistico, nasce dalla volontà di distaccarsi dalle proprie sicurezze musicali e per mettere al centro l’errore, utilizzato per esprimere la sua interiorità più profonda.


Fondamentale ne “La miseria” è stato il connubio artistico tra il cantautore e il musicista Fabrizio Cesare, che nonostante la diversa formazione artistica, sono riusciti  a  sintonizzarsi sulla stessa frequenza emotiva, sviluppando di getto un lavoro che mostra gli istinti più profondi.


Luca Romagnoli intervista
Luca Romagnoli

Proprio da questo incontro è nata la convinzione dell’artista nel dedicarsi all’idea della miseria, ricevendo in regalo da Fabrizio il libro la “La Malora” di Fenoglio.

Il fil rouge di questo disco è il fastidio che si prova nei confronti della distanza sempre più evidente tra l’essenza delle cose e la loro apparenza arrogante, creando una vera e propria fotografia di una società ormai arrivata alla deriva.


 

Ciao Luca, benvenuto su IndieVision! “La miseria” è il tuo primo album da solista. Come mai hai scelto di percorrere in solitaria la creazione di questo nuovo progetto musicale?

Forse per rallentare il metronomo della mia emotività. Per compensare la propensione all’invettiva con un atteggiamento introspettivo. Per rinunciare anche alle poche sicurezze musicali su cui mi appoggiavo e saltare completamente altrove, cercare l’errore come vettore emotivo per andare interiormente ancora più a fondo, truccare tutte le carte da gioco per fare perdere tutti e far vincere nessuno. Per scrivere davanti al Tirreno, dove il sole muore, io che ho sempre scritto davanti al sole nascente dell’ Adriatico.

 

Come nasce l’idea di sviluppare un intero progetto sulla miseria umana? C’è stato un evento che ha scaturito questa necessità di affrontare questa tematica?

È stata una condizione emotiva abbastanza costante che ha attraversato e legato tutti i brani che, nelle loro singolarità, presentano un legame profondo. La distanza sempre più accentuata che c’è tra l’essenza delle cose e la loro apparenza arrogante, mi risulta ormai così fastidiosa che ho sentito il bisogno di dire come la penso.

 

Il processo creativo de “La miseria” è avvenuto nella casa in campagna di Fabrizio Cesare a Velletri, in sole due settimane. Quanto è stato d’aiuto rifugiarsi fuori dalle grandi città per sviluppare al meglio ciò che volevate dire in questo disco?

La cosa più importante è stato creare un connubio artistico fra due persone, io e Fabrizio, molto lontane nella propria formazione musicale, ma magicamente e perfettamente sintonizzati sulla stessa frequenza emotiva, lavorando di getto senza pensare e posticipando il giudizio sulle cose fatte al dopo. Ci siamo stimolati reciprocamente nel tirare fuori i nostri istinti più profondi. Abbiamo usato molta tecnologica, ma l’immediatezza dell’ approccio agli strumenti è stata la stessa di una improvvisazione con strumenti acustici. La campagna ha aiutato tutti e due, infatti viviamo entrambi lontano dal centro e dalle metropoli.

 

Negli ultimi anni la discografia italiana sta subendo una vera e propria crisi, con canzoni superficiali che strizzano l’occhio alle radio. C’è stato un momento nella produzione del disco in cui involontariamente stavate per seguire quella strada?

Assolutamente no, non è successo, semplicemente perché questo progetto è partito proprio dal presupposto di andare a sperimentare senza badare alla forma, alla confezione. Forma e sostanza dovevano coincidere.

 

In “Perdere” canti: “Sai cosa ho scoperto diventando grande? Ho scoperto che si può anche perdere”. Perché secondo te in età giovanile è sempre più difficile accettare questa condizione?

Difficilmente ho visto l’ età giovanile priva di arroganza, sembra sia strutturale di quella fase della vita. Credo sia dovuto ad una naturale sensazione di lontananza dalla morte. Non mi piace parlare di sopraggiunta saggezza, ma gli anni cambiano sicuramente la prospettiva di osservazione delle cose e della realtà.

 

“Angelo Nero”, “Fatturare” e “Bi emme vù” sono brani che descrivono ciò che conta di più in questo periodo storico: la ricchezza. Persone che vivono solamente per guadagnare il più possibile facendo carte false e se alla fine se sei povero, è colpa tua. Questo modo di pensare solamente al guadagno che conseguenze avrà negli anni avvenire?

Le conseguenze già si vedono: viviamo una realtà in cui le differenze sociali si vanno sempre più estremizzando. Bisognerebbe ripartire da una “rifondazione emotiva”, da un rapporto che si sviluppa dalla relazione senza filtri tra persona e persona: voglio sapere chi sei, non me ne frega niente di quello che fai e quello che hai.

 

Nel brano “Il nulla” parli della condizione miserabile in cui l’uomo si trova, subito dopo aver lasciato il grembo materno. Nell’ultima parte del brano canti: “Manca il silenzio. Manca il rispetto. Manca qualcosa, una resistenza”. Pensi che nella società odierna possa esserci veramente una forma di resistenza che possa cambiare tutto?

Non credo. Siamo nel totale individualismo. Anche quando c’è il sentore di battaglia sociale, ho l’impressione che sia una battaglia griffata. Le persone sembrano i soldatini dei brand, l’esercito delle grandi marche. Lottano per la propria schiavitù come se stessero lottando per la propria libertà.

 

In “Sanguina” canti: “A volte la tristezza è una benedizione”. Cosa c’è di salvifico nella tristezza?

La tristezza è una zona emotiva fortissima, la tristezza fa riflettere, anche in maniera ossessiva, concentra tutte le amarezze in un’emozione consuntiva. Può anche essere irreversibile ma è sempre utile.

 

In “Mi sono perso” c’è una strofa che mi ha particolarmente colpito: “Scusami mamma, quando dicevi “Diventa ciò che vuoi” c’era una cosa che non ti ho detto. Non voglio diventare niente di tutto questo”. Invece cosa vorresti diventare in futuro?

Più che altro, guardandomi intorno, vedo tutto quello che non voglio diventare. Potrei dire che “voglio divenire” nel senso del cambiare per non riconoscere neanche più il punto da cui sono partito.



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