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Immagine del redattoreEdoardo Previti

La cosa più importante per fare musica è metterci il cuore: intervista ad Arssalendo

Dopo aver pubblicato nel 2020 l’album d’esordio “Litania” ed essersi confermato nel 2022 con “Tutti ammassati senza affetto”, l’interessantissimo cantante e produttore Arssalendo è ritornato sulla scena musicale indipendente, con l’obiettivo di conquistarla, con il suo nuovo Ep “Ma tu ci tieni a me?”, lavoro uscito lo scorso 25 gennaio.

Per l’occasione ed in vista della sua partecipazione al Mi Ami, nella giornata di domenica 28 maggio, abbiamo avuto l’occasione di fare due chiacchiere con Arssalendo parlando della sua carriera, di come nasce la sua musica e degli aneddoti dietro l’uscita di “Ma tu ci tieni a me?”

Ciao Arssalendo, benvenuto su IndieVision! Lo scorso 25 gennaio è uscito “Ma tu ci tiene a me?”, il tuo nuovo EP, com’è nato questo disco? Quando hai iniziato a lavorarci?

Ciao ragazz*, grazie mille. La genesi di “Ma tu ci tieni a me?” inizia tra aprile e maggio 2022, col tour di “Tutti Ammassati Senza Affetto”. Avendo girato quasi tutte le date da solo, mi interessava catturare e raccontare tutte le situazioni, sia interiori che non, che stavo vivendo in quel periodo. Fotografare un anno passato per lo più sui treni.



“Ma tu ci tieni a me?” si compone di quattro momenti che parlano di acido lattico, viaggi in treno, attacchi di panico in albergo e dialoghi superflui. C’è molto di te nella tua musica, la consideri una tua personale valvola di sfogo? Qual è il tuo rapporto con la scrittura?

Il mio rapporto con la scrittura è di amore e odio. Penso vada di pari passo col rapporto che ho con me stesso. Tendenzialmente mi annoto le emozioni che provo quando sono in giro e provo ad analizzarle in casa. Non saprei se definirla una valvola di sfogo, è molto di più: è l’unico momento in cui riesco a capire certe situazioni della mia vita, in cui parlo senza maschere di me stesso, con me stesso.


Il tuo immaginario sonoro è molto sperimentale, tra sonorità clubbing e momenti in cui esce di più la tua voce naturale, come ti sei approcciato alla musica? Qual è il tuo primo ricordo legato ad una canzone, un artista?

Non ricordo bene quando ho preso in mano il primo strumento, né come è successo onestamente. Il primo ricordo che ho con la musica risale a quando avevo sei anni, quando mio padre mi portò al concerto di mio cugino, che faceva parte della scena indie romana del tempo. Rimasi folgorato, decisi che sarei voluto stare anche io su un palco. Da lì ho avuto una serie di figure di riferimento nella mia vita, tutte collegate alla musica, che mi hanno fatto scoprire i generi che mi hanno formato e che ancora oggi ascolto.


La lontananza è un tema che ricorre in alcune tue canzoni. Penso alla stessa Ma tu ci tieni a me? con la richiesta “Manda un cuore se ci sei / Dimmi se è tutto okay” o alla voglia di combatterla in Quattro pareti “Togliamo pareti e accorciamo la distanza”; una lontananza non sempre fisica quindi nei confronti dell’altro. Qual è il tuo rapporto con questo tema e come cerchi di abbattere quelle pareti?

La lontananza è un tema delicato: se manca soffoco, se è troppa mi sento perso. È un argomento di cui scrivo molto perché è quello per cui soffro di più. Ovviamente intendo sia la lontananza fisica dalle persone a cui vuoi bene sia quella mentale: quando ti allontani da un pensiero perché senti di non essere pronto ad affrontarlo in quel momento.


Dal 2017 ad oggi hai prodotto tanti artisti, navigato diversi stili e sperimentato molto nelle tue pubblicazioni. Come pensi si stia evolvendo la tua musica negli anni?

Sul lato di produzione cerco di collaborare con persone con cui ho un buon rapporto, che solitamente hanno progetti distanti dal mio, ma che si sposano bene nel suono. Sul lato artistico la sento crescere e diventare sempre più personale. Sto cercando di eliminare quelle barriere che inevitabilmente una persona ha quando tratta determinate situazioni.

Mi sto anche accorgendo di star eliminando un po’ la frenesia che avevo in “Tutti Ammassati Senza Affetto”. È un processo comunque non ponderato, ma molto naturale.


Il tour del tuo EP ti sta portando ad esibirti dal vivo in giro per l’Italia; quanto conta per te e per le tue canzoni la dimensione live?

Essenziale, è l’unica parola che mi viene da dirti. Passo mesi a progettare il live prima di portarlo in giro: unisco tracce, le arrangio in modi diversi, ritaglio spazi per suonare con i miei controller e, soprattutto, programmo io stesso la parte di luci sul palco. Tutto questo fa in modo che esca quel che voglio rappresentare: un mix tra una performance d’arte contemporanea e un concerto emocore. Nell’ultimo tour ho preso anche più consapevolezza nel cantato, mi vergogno di meno e spingo di più. Faccio uscire molto la mia voce non processata ultimamente.


Per concludere, parafrasando un po’ il titolo dell’ep, Arssalendo a cosa tiene davvero?

È un momento particolare quello che sto vivendo. Ad oggi ti direi che la cosa più importante è non perdere le persone che so che tengono a me e che mi fanno stare bene, pur vedendole molto poco, per via del tour e dei vari impegni. Musicalmente, invece, ti direi che la cosa più importante è ricordarsi che la prima cosa è il cuore. Prima della produzione, prima della rec bella o del testo incredibile. Prima di tutto c’è il cuore che ci metto. A volte me ne dimentico, ma ad un certo punto mi riprendo sempre.



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