Tra le etichette italiane più interessanti dei giorni nostri c'è sicuramente Four Flies Records, label nata nel 2015 da un'idea di Pierpaolo De Sanctis, il quale vedendo un ritorno del vinile e una continua ristampa, da parte di etichette straniere, di lavori, colonne sonore e library music di compositori italiani decise, quasi inconsciamente, di aprire una propria label discografica specializzata nel recupero e nella riscoperta di questo patrimonio musicale italiano, spesso non noto ma dal livello qualitativo assolutamente alto.
In vista del decimo anniversario dell'etichetta, ho avuto il piacere di intervistare, all'interno della rubrica Il Sabato del Vinile, Pierpaolo per parlare di com'è nata la sua passione per la musica, del suo rapporto con la musica e il cinema, di come funziona un'etichetta "settoriale" come la sua, di quanto è difficile portare a galla gemme nascoste di compositori del passato e dell'impegno che Four Flies Records mette nella ricerca e nel supporto di artisti contemporanei di alto livello culturale e qualitativo.
Ciao Pierpaolo, benvenuto su IndieVision! Come stai e vorresti presentarti in poche parole al nostro pubblico?
Ciao Edoardo, tutto bene dai, un pochino impegnato come sempre! Io sono Pierpaolo De Sanctis, il fondatore di Four Flies Records. Vengo da studi di cinema, dottorato di ricerca, insegnamento, ect… e fondamentalmente poi ho cercato di condensare le mie due più grandi passioni, il cinema e la musica, in un unico progetto, che è quello di Four Flies Records, che l'anno prossimo festeggerà i suoi primi 10 anni di vita.
Ormai sento che questa etichetta è diventata la mia casa, non è più lavoro, anzi forse non è mai stato un lavoro, anche se poi coincide con esso. Tutto è talmente naturale, conseguenziale a tutto quello che sono, che io vivo l’essere il fondatore dell’etichetta come semplicemente la mia stessa vita. Insomma, diciamo che non ho più barriere tra il privato e quello che Four Flies rappresenta.
Quindi in poche parole, sei riuscito a conciliare le tue grandi passioni con il tuo lavoro. Come ci si sente ad essere riuscito ad avere questa possibilità?
Ma sicuramente privilegiato, perché mi rendo conto che non è semplice ed è una cosa che ho inseguito per tanti anni. Mi ricordo che appena laureato in cinema al Dams, vagavo nel limbo dell’ora che faccio, che lavoro farò? ma nel frattempo facevo di tutto, campavo di lavoretti intorno al cinema, alla critica, come tanti miei coetanei all'epoca. In quel periodo, mi bastava anche quello, cioè mi bastava semplicemente respirare, non dico campare, delle mie due passioni e stavo bene così. Four Flies è stata un'evoluzione anche un po’ incosciente, inizialmente, perché è stato un salto nel buio, ma, se quasi dieci anni dopo sono ancora qui a raccontarlo, vuol dire che la cosa si è tenuta in piedi e sono molto felice di questo.
Tu sei il fondatore della Four Flies Records, etichetta nata nel 2015 a Roma e specializzata nella pubblicazione di colonne sonore e Library Music di compositori italiani del passato. Volevo chiederti come è nata l'etichetta? Quale è stata la scintilla che ti ha spinto ad aprire una label, così, se si può dire, di nicchia?
Verso la fine del liceo, compiuti più o meno diciott'anni alla fine degli anni ‘90, ho vissuto il periodo della prima riscoperta della, cosiddetta, "cocktail generation", cioè la musica, uso un aggettivo brutto che non mi piace per niente, la musica lounge.
Io venivo da esperienze diverse, ad esempio suonavo la chitarra in un gruppo noise, ascoltavo musica rock, andavo ai concerti post rock, visto che a Roma, in quel momento, venivano tutti, come i Sonic Youth, Thurston Moore. Insomma, venivo da tutta un’altra serie di ascolti, però amavo il cinema, in particolare il cinema italiano.
Fin da bambino, ho sempre cercato di vedere i film che passavano in Televisione e quella era l'epoca delle tv private che sparavano film a rotazione a qualsiasi ora, di tutti i tipi, senza filtri. Grazie a questo sono riuscito a vedere un sacco di film e ad assimilare, inconsciamente, tantissima musica, tantissime colonne sonore che mi sono sempre rimaste impresse, insieme ad altri elementi. Poi, non appena mi è stato possibile, ho iniziato a cercare dischi usati nei mercatini, ho iniziato a collezionare e quando mi sono trovato, ormai appena maggiorenne, con l'esplosione della cocktail generation, sono impazzito perché sono iniziate a uscire delle ristampe, delle compilation di piccole etichette che mettevano insieme e davano dei nomi, per la prima volta, a qualche cosa che io avevo sempre inseguito, ma non avevo mai saputo catalogare perché era un qualcosa di indefinibile che non rientrava nei miei ascolti e da lì è partito tutto.
Successivamente, ho iniziato a fare il dj costruendo anche delle feste con questo tipo di tematiche musicali, ossia facendo ballare le persone con gli shake di Trovajoli, Cipriani, etc.. cose assurde che in quel momento funzionavano.
Ad un certo punto, intorno al 2013 e 2014, c'è stata una nuova fiammata del vinile e vedevo che molte etichette americane iniziavano a ristampare colonne sonore di Nico Fidenco, Fabio Frizzi, la saga di Emanuelle, certi horror di culto per gli americani. In quel momento, io mi sono detto: “aspetta un attimo, io sono immerso totalmente in questa roba qui, ma perché non farla noi qui a Roma, invece di farla fare agli americani malati di colonne sonore italiane?” Io sapevo già che avevamo dei tesori in casa che non erano conosciuti e questa è stata una molla per iniziare a progettare qualche cosa e, in questo modo, è arrivata Four Flies.
Come ti ho già detto, all’inizio è nato tutto in maniera incosciente perché non sapevo nulla di che cosa fosse un'etichetta. Ho chiesto consiglio ad alcuni amici che avevano già la loro piccola label indipendente che mi hanno dato qualche consiglio iniziale, come il dove si stampa, come si chiedono le licenze, che cosa sono i diritti, ossia l’ABC. Ben presto, però, ho capito che se volevo andare avanti dovevo farmi una preparazione e non soltanto improvvisare, quindi ho ampliato la cosa e ho creato una piccola squadra.
Adesso siamo in sei a lavorare nell’etichetta e c’è chi è esperto di questioni legali, c'è un grafico che ci segue, io sono quello che fa le ricerche, c'è una persona che si occupa solo di promo, insomma, ci siamo dati una struttura e questo ci ha permesso di consolidare il progetto e di andare avanti.
Tutto sembra star funzionando perché la percezione che si ha della nostra etichetta anche all'estero è abbastanza solida, da quello che vedo. Ad esempio, ci arrivano proposte continuamente da band dagli Stati Uniti, dall'Inghilterra, dalla Francia, dalla Germania e il mercato dei nostri dischi è più diffuso all'estero che qui da noi.
Quanto è importante per te far sì che queste pubblicazioni, spesso legate alle colonne sonore e alla Library Music italiana di non facile, se non impossibile, reperibilità, possano essere pubblicate nel formato fisico del vinile?
All'inizio pensavo che fosse l'unica condizione possibile ma ora, facendo questo lavoro e anche andando alla ricerca di cataloghi di piccole etichette dimenticate, certe volte mi viene da dire che non si può stampare tutto in vinile, non ha senso.
Ci sono delle cose che è stato bello avere in vinile quando sono uscite negli anni ’70, negli anni '80, ossia avevano un senso, una logica, un nuovo mercato ma, al giorno d’oggi, non ha senso fare la ristampa di tutto.
Secondo me ha molto più valore fare una prima stampa di un disco che magari è stato registrato tra il '74 e il '76, come "Africa Oscura" di Giuliano Sorgini, che però non è mai uscito. Infatti, ben poche colonne sonore uscivano all'epoca perché il loro scopo era essere sincronizzate nel film, fare da collante per quelle immagini, per quel progetto lì e dopodiché ciao, il compositore passava al film successivo.
C’è una domanda da cui è partita Four Flies, sorta dopo qualche pubblicazione, quando mi sono chiesto: “Dov'è finita tutta quella musica composta per il cinema, registrata per il cinema nel corso di quei venti e trent’anni?” La cosa più divertente, gratificante, è quella di trovare e stampare per la prima volta quella musica in un formato fisico.
Detto questo, tornando a quello che dicevo prima, non tutto può uscire in vinile. Per sfortuna o fortuna, devo ancora capirlo, il digitale ci offre la possibilità di pubblicare, far conoscere con uno sforzo pratico ed economico molto basso, ci permette di pubblicare album e titoli che un'etichetta come la mia non avrebbe mai potuto pubblicare. Quindi, il digitale, permette di ampliare il raggio della conoscenza di tutto quello che riguarda colonne sonore, library, canzoni del passato e anche di colonne sonore contemporanee, realizzate da artisti contemporanei, anche perché è chiaro che in vinile, certi progetti, hanno meno appeal.
Secondo me, il vinile rimane una grandissima risorsa, ma un oggetto, come dire, da collezionare, cioè un qualcosa che è legato anche a un culto, a una base di fan, a una nicchia di persone che seguono un certo genere e vivono in un certo mondo.
Quello delle colonne sonore, in realtà, è un mondo strano perché è una nicchia non ben determinata che oltre alla musica ha tutto un immaginario enorme dietro un'estetica, un mondo che sorregge la musica stessa e a volte gli dà una forza. Se io penso alle colonne sonore, penso agli horror di Dario Argento, penso alle Commedie di e con Vittorio Gassman degli anni ‘60, penso ai Poliziotteschi, penso agli erotici, ma penso alle immagini, anche all'estetica, non soltanto alla musica, anche se la colonna sonora spesso è la componente migliore di tutto questo, fa da traino a tutto questo immaginario qui.
Riprendendo il tuo discorso, sfogliando il catalogo della Four Flies Records si può vedere come nel corso degli anni avete pubblicato colonne sonore poco note o addirittura mai pubblicate, di grandi compositori italiani del passato come Reverberi, Umiliani, Ortolani, Alessandro, etc… Volevo chiederti, quanto è importante per te e per la tua etichetta offrire al pubblico la possibilità di riscoprire queste gemme nascoste?
È tutto, ossia tutto quello che esce su Four Flies è il riflesso di di una percezione di gusto, è una scelta di gusto fondamentalmente. In altre parole, è quello che io da utente e fruitore vorrei comprare, trovare, vorrei poter comprare se non avessi un'etichetta. Molto banalmente, è una serie di giocattoli che il bambino nerd mette a disposizione degli altri bambini nerd come lui. Vorrei dirti che c'è un business plan (questo, alla fine c’è, viene costruito perché devi far quadrare i conti) ma per prima cosa viene la scelta, viene il gusto personale, viene l’intuizione di una determinata colonna sonora che può funzionare. Spesso anche questo gusto cambia. Mi sono reso conto che in dieci anni alcune delle scelte fatte all’inizio non le rifarei ma ne farei altre. Questa cosa è molto bella, anche perché la musica che è stata registrata cinquant'anni fa non è statica, ma cambia a seconda del tempo in cui la ascolti.
Molte di queste opere sono timeless, come dicono i critici inglesi, immortali valgono sempre, mentre alcune hanno dei picchi, risuonano di più in un certo tempo rispetto ad un altro. Ad esempio, il disco di Sorgini "Africa Oscura" o "Afro Discoteca" di Alessandro Alessandroni erano perfetti quando li abbiamo fatti uscire per la prima volta, perché erano completamente inediti; infatti, forse era la prima volta che venivano ascoltati, al di là del documentario Rai sconosciuto per cui vennero registrati. Secondo me, hanno funzionato meglio nel 2017 e 2018, quando le abbiamo pubblicate, rispetto al 1974 e al 1978, l’epoca della loro registrazione. In altre parole, il loro pubblico l'hanno trovato molto di più oggi che allora e, probabilmente, se fossero usciti allora sarebbero state considerate minori.
Parlando più da appassionato e collezionista, che da intervistatore, è capitato più volte che un disco pubblicato in vinile in Italia, ad esempio negli anni '70, con delle sonorità che nella penisola non c’erano o erano sperimentate da pochi, fosse recepito molto poco dal pubblico del periodo. Questo insuccesso, successivamente, ha fatto così diventare, nel corso del tempo, una rarità assoluta questo lavoro proprio perché, non coincidendo con il gusto dell'epoca, quest’opera finiva quasi subito nel dimenticatoio, veniva snobbata, per poi essere riscoperta solo in seguito
Sì, sì, concordo però, ancora più dei dischi, sono state snobbate proprio le colonne sonore in sé. Mi è capitato più volte di parlare con personaggi che mi hanno detto guarda che la colonna sonora che registrava mio padre, registravo io o mio zio, serviva per quel film, dopodiché l'editore, per risparmiare sul prossimo film, visto i costi dei nastri, prendeva lo stesso nastro e ci registrava sopra. Quindi, spesso se il compositore non si salvava una copia o un nastro, la copia originale svaniva, veniva cancellata perché ci si registrava sopra.
Per fortuna, non tutti hanno snobbato così il valore di quella musica e hanno conservato nei loro archivi qualche cosa, anche se spesso l'incuria, la disattenzione, l'improvvisazione di personaggi interessati soltanto ai soldi e non al valore dell'opera, della cultura, ha prodotto la perdita di centinaia e centinaia di titoli spettacolari di autori come Piero Umiliani, Ennio Morricone. Questi sono due nomi di cui mancano ancora dei titoli spettacolari perché non sono stati mai considerati o conservati da chi, in quel momento, aveva il nastro fisico in mano da utilizzare per il missaggio del film. L'incuria e tutto questo ha provocato la perdita di capolavori, per me, assoluti. Ho la mia wanted list mentale di titoli da riscoprire e, per fortuna, ogni tanto qualche titolo lo depenno, ma è veramente dura.
Su due piedi, quale sarebbe un titolo di questa wanted list che ti viene in mente?
Allora quello che per anni ha ossessionato tutti, sia me, che quelli che sono venuti prima di me e che hanno fatto o continuano a fare questo lavoro, è il "Diabolik" di Ennio Morricone. Nel 1968, periodo in cui iniziò a suonare con il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, Morricone fece la colonna sonora di questo film di Mario Bava dove c'è dentro tutto, rock psichedelico, esotismo, sperimentazione, il maestro che suona una tromba. Negli anni sul Diabolik di Morricone sono usciti un sacco di rielaborazioni di dj, produttori, gruppi che hanno rifatto i brani come cover, sono usciti bootleg su bootleg ripuliti con la musica estratta dal dvd, ma la colonna sonora originale di Morricone non è mai uscita. Ho parlato con tutti quelli con cui poteva parlare (risata) ma a un certo punto ho perso le speranze.
Oltre a Diabolik di Morricone, ce ne sono tante altre come "Baba Yaga" di Piero Umiliani, il film di Corrado Farina che per la prima volta traspone la figura di Valentina di Guido Crepax al cinema. Di questa colonna sonora, a parte un brano che noi abbiamo ri-pubblicato, è una colonna sono la perduta. Un altro esempio che mi viene in mente è tutta la filmografia di Ubaldo Continiello, quasi trecento film, tutti di genere, dagli horror alle commedie con Franco e Ciccio, dove le musiche erano sempre buone, sempre di livello di cui, però, non è quasi mai uscito nulla. Di altri compositori come Marcello Giombini, è uscito pochissimo, ci sono dei capolavori che non si trovano.
Spostandoci dalle colonne sonore, concentriamoci un attimo sulle altre pubblicazioni che escono per Four Flies Records. Tra le più interessanti uscite del catalogo della tua etichetta ci sono anche delle raccolte “settoriali” dove vengono inseriti e riscoperti brani di diversi artisti italiani, non solo compositori, tutti appartenenti ad un genere o ad uno stile musicale ben preciso, come nel caso di "Paisà Got Soul" o "Africamore". Come nascono queste raccolte e quanto lavoro sta dietro alla loro realizzazione?
Dietro a queste pubblicazioni c’è tantissimo lavoro, sono le cose che portano via più tempo perché, a parte lo scavo per trovare i brani, bisogna anche trovare tutti i diritti. Ogni brano ha dei diritti diversi, non sono tutti brani appartenenti allo stesso diritto e quindi spesso si impazzisce nella ricerca e nella richiesta delle licenze.
"Africaamore" è nata da un fatto casuale. In un certo momento mi sono accorto che nella mia borsa di dischi che mi portavo dietro qualche anno fa, c'erano più o meno sempre degli stessi dischi italiani, 45 giri soprattutto, che avevano questo tipo di sonorità Afro-funk. Da questo, mi son chiesto perché gli italiani si sono messi a fare l'afro-funk improvvisamente negli anni ‘70, anche se non c'è mai stata una scena identificabile a differenza del punk o delle colonne sonore. Partendo da questa mia domanda mi sono divertito tanto a cercare di mettere insieme alcuni brani che avevano quel tipo di sonorità, in chiave volutamente dancefloor.
Lavorare ad Africamore è stato molto divertente e, inoltre, l’aver coinvolto per il progetto grafico Kathrine Remest, la grafica che fa quasi tutte le copertine di Analog Africa, una delle etichette più belle, a parer mio, al mondo, per questa raccolta è stata una specie di ciliegina sulla torta.
Invece, "Paisà Got Soul" nasce durante il Covid quando, cazzeggiando su Internet, vedo che il mio amico David Nerattini aveva caricato su soundcloud un mix dal titolo "Paisà Got Soul" con una foto di bambini, scugnizzi napolitani al mare, secondo me perfetta. In altre parole, era l’immaginario perfetto di come gli italiani avevano interpretato il soft rock americano, un po’ jazz, un po’ soul, un po’ funk, ma soprattutto molto pop italiano. Questa cosa, il mix e la copertina, mi hanno folgorato subito e quindi ho proposto a Davide di fare una compilation insieme e lui si è messo al lavoro; infatti, la selezione è quasi tutta sua, io gli ho dato una mano consigliandoli quattro o cinque brani. Da questa collaborazione è nata "Paisà Got Soul".
Dopodiché, per il progetto grafico, abbiamo pensato di coinvolgere Claude Nori, un fotografo francese che ha fatto nei primi anni ’80 dei libri fotografici sulle vacanze degli italiani. Nori aveva fotografato l'estate al mare in Italia con delle foto veramente iconiche e abbiamo scelto una di queste, ossia quella di una bambina che sta su un'altalena che sembra essere ambientata a Rio de Janeiro, ma in realtà è a Rimini o Cattolica.
Personalmente, apprezzo molto queste tipologie di raccolte, perché sono un lavoro utilissimo e fondamentale. Ad esempio, se una persona è interessata a quel genere lì, come la Black Music, il Funk, il Soul, avere a disposizione una raccolta di artisti italiani che seguono quel filo conduttore, diciamo così, dà la possibilità a questo individuo di approfondire la scena di quel periodo e di scoprire non solo i nomi grossi, ma anche nomi sconosciuti ma qualitativamente importanti.
Infatti, il non aver messo i nomi grossi in "Paisà Got Soul", come, ad esempio, Lucio Battisti che poteva essere il referente mainstream numero uno per quel tipo di sound, deriva dal fatto che volevamo scavare nella musica italiana del periodo. Il personaggio più famoso all’interno di quella selezione è Peppino di Capri, ma con un brano che non alla Peppino di Capri, ma pienamente soul.
Oltre a Peppino di Capri, se non erro, all’interno di "Paisà Got Soul" c’è anche una traccia di Enzo Carella, giusto?
Sì, all’interno della selezione c’è anche Enzo Carella ma con “Contatto”, un brano non scontato perché la scelta è sempre quella, ossia anche se mettiamo brani di artisti di cui si è già parlato, cerchiamo sempre di scavare nella discografia di quel determinato artista. Ad esempio, già da un po' di anni si stava riscoprendo Carella, ma noi per questa compilation abbiamo scelto una canzone non scontata presente in “Sfinge”.
Un'altra parte del vostro lavoro come etichetta, oltre a riscoprire gemme nascoste appartenenti alla musica italiana del secolo scorso, riguarda anche la pubblicazione di singoli o album di artisti/progetti italiani contemporanei come Chiaré, Battaglia, etc.. C'è un filo rosso che lega queste nuove uscite con il vostro lavoro di riscoperta?
Spesso non è così evidente il filo rosso, se non per un certo tipo di qualità della proposta. In altre parole, così come troviamo che quella musica italiana di cui abbiamo parlato fino ad ora abbia una qualità molto evidente, allo stesso tempo cerchiamo di scegliere progetti italiani contemporanei che abbiano davvero qualche cosa da dire. A volte hanno proprio una forte radice cinematografica, nascono per essere musica per immagini, come nel caso di Battaglia che è sostanzialmente la colonna sonora ideale di qualsiasi serie Netflix distopica, sci-fi che esce da cinque, sei anni a questa parte.
Mentre, altre volte è meno evidente, come nel caso di Chiaré, perché Chiara è una cantautrice, ma la musica che fa, il taglio che dà alle sue cose tra Jazz, Soul, Pop, è molto affine alla nostra sensibilità. Più che di qualità, farei un discorso di sensibilità perché allo stesso modo con cui abbiamo detto sì a Chiaré, abbiamo detto no a centinaia di robe che ci arrivano perché fuori dalla nostra sensibilità e dal nostro raggio d’azione, dalla nostra visione musicale. È veramente difficile dare una risposta esatta alle nostre scelte riguardanti il contemporaneo ma, posso dire che oltre alla visione c'è anche una sensibilità.
L'etichetta ha una serie dedicata a questo legame tra presente e passato, diciamo così, "Italian Library Songbook", dove artisti dei giorni nostri hanno la possibilità di dare nuova linfa a brani nascosti o mai pubblicati dei maestri del passato. Da dove nasce questa idea?
In realtà, su questo tema, le collane sono due "Italian Library Songbook" e la "Serie Reloved". La differenza sta nel fatto che in "Italian Library Songbook" c’è una trasformazione dei brani strumentali. In altre parole, queste tracce vengono affidate a un compositore, produttore, songwriter e diventano delle vere e proprie canzoni.
Mentre, nella Serie Reloved i brani strumentali vengono rielaborati remixati e non sempre danno luogo a canzoni, anche se poi è uscito un brano dove Illa-j rappa su una base di Library Music.
Quindi, possiamo dire che una è molto più dedicata ai progetti modello canzone, l'altra più a ritmiche dichiaratamente club.
Per quello che riguarda "Italian Library Songbook", la qualità che noi ricerchiamo nelle nostre pubblicazione, anche in queste dove un’artista nuovo si mette in gioco davanti a mostri scari della musica, si nota anche nelle copertine. Il progetto grafico di questa serie è impostato come fosse una collana di classici della letteratura, grazie alla calligrafia di Luca Barcellona che ci ha aiutato a immaginare questo artwork.
Dunque, dietro tutto questo, c'è una scelta, c'è un'estetica che segue una linea culturale, anche perché senza questo livello non nascerebbe neanche un progetto così.
Concludo questa intervista chiedendoti: il 2024 sta per finire ma il lavoro di riscoperta della Four Flies Records non è mai fermo, come dimostra l'annuncio di qualche settimana fa dell'arrivo di diverse pubblicazioni, anche inedite, del maestro Bruno Canfora, quindi, cosa ci riserverà Four Flies Records nel 2025?
Ti rispondo un po' in maniera generale, perché noi abbiamo già, in pratica, più o meno il calendario del 2025 e del 2026 chiuso (risata). Nel senso che, non si possono far uscire quattro dischi insieme, devi dare a ogni disco il tempo di essere recepito e quindi bisogna calendarizzare, programmare, dare la giusta cura, la giusta attenzione ad ogni progetto. Poi, però, succedono delle cose strane come l’arrivo della telefonata del figlio, della famiglia, del compositore che hai conosciuto e che ti dice: “Pierpaolo, abbiamo ritrovato alcune bobine durante i preparativi per il trasloco, che non sapevamo ci fossero. Vuoi venire a dare un’occhiata?” Questa cosa ti cambia, scombina tutti i piani e improvvisamente ti si apre uno squarcio dove, personalmente, mi ci butto a capofitto perché, anche se può far ridere come cosa, mi sento come Indiana Jones che va a cercare i tesori Maya nelle cripte.
Per me è una sorta di Archeologia musicale, analogica e quindi quando mi chiama qualcuno che ha trovato dei nastri io ci vado subito perché non sai mai cosa ci può essere.
Secondo me non si finirà mai di scavare, anche se purtroppo queste cose vengono sempre meno, perché col passare del tempo è sempre più difficile trovare materiali inediti.
Non sai quante volte sono arrivato tardi e mi sono sentito dire: “Guarda se venivi prima, due mesi fa, ho fatto liberare, svuotare la cantina o svuotare l’appartamento dove c'erano i nastri e ho buttato tutto.” Altre volte, mi è successo di sentire storie di allagamenti, incendi che hanno distrutto nastri o bobine. I nastri, i dischi, gli spartiti sono il nostro pane quotidiano perché con simili materiale noi possiamo lavorare anche per cinque o dieci anni. Quando veniamo a conoscenza di distruzioni di nastri o altro per noi è un peccato, perché spesso sono copie uniche, non sono come i dischi che, anche se fuori commercio, venivano stampati almeno in una centinaio di copie.
L’archeologia musicale, l’essere una sorta di Indiana Jones sulle tracce dei nastri perduti è la parte del lavoro che forse preferisco di più.
Quindi, da quello che posso capire, per il 2025 dobbiamo aspettarci un anno pieno di pubblicazioni?
Ci sono anche delle cose che non posso ancora annunciare, ma veramente, veramente toste, come se fossimo in un Giallo all’Italiana.
Comentários