Marco Cannas, in arte Zeep, e il produttore Kaizèn danno vita “Mare Mosso, Maremoto”: il nuovo EP pubblicato il 16 marzo per Kmusic e distribuito da Ada Music Italy che riporta lo tsunami di emozioni che travolge la “classe” ‘93, la generazione dell’artista a cavallo tra la Y e la Z. Un lavoro che fa da autoanalisi, quasi da terapia, per lasciarsi andare. Nelle sette tracce che uniscono indie-pop e cantautorato si alternano amore e abbandono. Il secondo spesso sfonda il confine con l’odio, ma in musica riesce a ritornare alla sua natura fragile e amorevole. È un EP che riesce a prendere il buono dalle situazioni negative segnando un’ulteriore svolta per il percorso artistico di Zeep, partito dal rap e dalla collaborazione con Cvlto music group come autore.
Abbiamo navigato attraverso ogni brano di “Mare Mosso, Maremoto” ponendo una domanda per ognuno di essi all’artista, buona lettura!
Ciao Zeep! L’intro “Mare Mosso” spiega le intenzioni dell’EP che racconta gli amori e i maggiori dubbi della tua generazione. Ultimamente sono molti i tuoi coetanei che espongono varie tematiche da quest’ottica; secondo te, da dove nasce questo bisogno “collettivo” di raccontarsi?
Credo che finalmente ci sia una vera presa di coscienza da parte della mia generazione; abbiamo capito che è importante stare bene e che conoscerci a fondo è il primo passo verso l’obiettivo. Raccontarsi serve a conoscersi meglio, o anche solo a sfogarsi. Quando è uscito l’EP ho letto tanti messaggi e ho capito che toccare certi argomenti può servire anche a chi ascolta, e forse questa è la cosa che mi rende più orgoglioso.
“Gli altri” parla di un distacco, di quella che dovrebbe essere una mancanza. Quel “ti giuro non mi manchi” è reale o è cantato per esorcizzare il dolore della perdita di quella persona?
Quando ho pensato quella frase non ci credevo granché, ma appena l’ho scritta è diventata reale. Scrivo per egoismo, perché mi aiuta a metabolizzare le cose. I distacchi sono i più difficili da superare, ma anche se può sembrare una frase fatta sono sicuro che le canzoni aiutino molto. Nelle strofe inizio le frasi con “ti vorrei odiare”, perché l’odio, come l’amore, è un sentimento forte; quando finiscono sia l’amore che l’odio allora l’hai superata davvero.
“Cagliari Cose Belle” è un pezzo molto ottimista; quanto è difficile scrivere un brano positivo nel 2023, in un periodo storico in cui gran parte delle discografie parlano di sofferenza e problemi sociali?
Le cose belle sono ovunque, anche nei momenti di sofferenza, e se impari a vederle hai vinto. Questa canzone per me è un po’ una dedica, un bacio sulla fronte prima di addormentarsi, ed è venuta fuori nel modo più naturale possibile. Niente di difficile. Ora la fanno ascoltare allo stadio prima delle partite del Cagliari; quando l’ho sentita per la prima volta in mezzo a tutta quella gente ho provato a fare il video, ma mi tremavano le mani. Lì ho avuto la conferma che se sei positivo le cose belle arrivano.
“Seconda nuvola a destra”, anche questo è un pezzo che parla di una relazione. Ricollegandomi alla prima domanda ti chiedo: qual è il rapporto della tua generazione con l’amore?
È inutile negarlo: l’amore ci piace un sacco. Ci piace l’amore che dura un attimo alla fermata del bus, ci piace quello che dura una sera e ci piace cercare quello che duri una vita. Siamo la generazione che tratta l’amore con più leggerezza, ma anche quella che ha imparato a vederlo nelle piccole cose. È per questo che le canzoni d’amore non bastano mai e non ci stanchiamo di ascoltarle e di scriverle.
“Strade” è l’unico brano dell’EP scritto con altri artisti, tra cui Alex Vella; com’è nata questa collaborazione?
Ero a Torino, per la prima volta in studio coi ragazzi di Cvlto. Volevamo scrivere una bella canzone, senza sapere chi l’avrebbe cantata, ed è nata “Strade”. Sono un fan di Alex da tempo, prima come artista (Raige) e poi come autore, e prima di parlare con lui non avrei mai pensato di scrivere canzoni per altri artisti. Quando abbiamo finito di scrivere il pezzo ho registrato un provino e ho pensato: “Ok, questa la devo cantare io”.
Quanto è importante essere affetti dalla “Sindrome di Peter Pan” per fare il musicista?
È fondamentale, almeno per me. Solo un adulto che riesce a vedere il mondo con gli occhi di un bambino può raccontarlo davvero. “Sindrome di Peter Pan” è nata proprio dopo un live: una notte bellissima, di quelle in cui il pubblico accende le luci dei telefoni all’ultima canzone, ma anche una giornata super stressante, in cui mi sono chiesto più volte chi me lo facesse fare. Ecco perché “maledetti sogni, benedette notti”. Alla fine ne vale sempre la pena.
Ho notato un’assonanza tra “Maremoto” e “Ogni volta” di Vasco Rossi; è un effetto voluto?
Ho scritto “Maremoto” pensando a mio nonno, una notte passata da solo dopo tanto tempo. Durante la giornata avevo ascoltato un po’ di vinili: Dalla, De Gregori, Vasco. Avevo quella melodia in testa mentre scrivevo e mi sono accorto della somiglianza al primo ascolto del provino. Avrei potuto cambiare qualcosa, aggiustare il tiro, ma mi piace che un pezzo per me così importante prenda spunto da un grande classico. È nato in modo troppo spontaneo per modificarlo.
Domanda bonus per salutarci: hai dei live in programma?
Assolutamente sì! Sto aspettando il momento giusto per spoilerare sui social le date già confermate e non vedo l’ora di portare sul palco le nuove canzoni.
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