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"Non erano battute", l'esordio teatrale di Immanuel Casto - Intervista

Sicuramente ricorderete chi sia Immanuel Casto, il Casto Divo, un personaggio ormai leggendario della mitologia musicale italiana che si è fatto spazio a suon di provocatorio porn groove ed oratoria da Treccani in un'Italia ancora a digiuno di questo livello di promiscuità lessicale e melodica. Se così non fosse, lasciate che vi rinfreschi la memoria.



Dal suo album d'esordio nel 2011 con "Adult Music" ad oggi, Immanuel si è dedicato ad una miriade di lavori e passioni diverse: è stato presidente del Mensa Italia, si è prestato alla divulgazione scientifica (con particolare attenzione alla logica del linguaggio, bias cognitivi e alle neurodivergenze, partendo proprio dalla sua esperienza), all'attivismo LGBTQ+, al cantautorato ed al game design. In ultimo, a partire da un anno circa, ha riscoperto il teatro con il suo primo spettacolo "Non erano battute", monologo metacomico dai contorni leggeri ed al contempo introspettivi sulla sua vita, i suoi successi musicali e le sue neurodivergenze.



Con la sua presenza scenica decisa e il suo umorismo collaterale, le circa due ore di spettacolo sono un tuffo in una vita fatta di traguardi importanti, una moltitudine di talenti e la giusta dose di difficoltà e rinunce, il tutto scandito da una eloquenza in pieno stile Immanuel Casto pronta a premiare chi si sforzi di seguirla fino in fondo con una sana dose di riflessioni profonde e prospettive inedite in un copione che, sebbene ne sembri zeppo, non sempre contiene solo battute. Attingendo dal cinema, dai classici musicali italiani, dalla sua biografia personale e familiare, dall'attualità e dalla politica, sono convinto che l'esordio a cura del poco più che quarantenne bresciano saprà conquistarvi e insegnarvi qualcosa di nuovo e prezioso su di voi, sul modo in cui vi esprimete e sul mondo che distrattamente ogni giorno vi lasciate scorrere addosso.


Vi invito perciò a leggere l'intervista che segue e a lasciarvi convincere, in caso ce ne fosse bisogno, a prenotare il vostro biglietto qui per una delle prossime date in programma questa estate. Buona lettura!


 

Ciao Immanuel! "Non erano battute", che ho seguito con molto interesse a Milano, mi è sembrata una sintesi perfetta del tuo estro creativo e divulgativo, tra umorismo, attivismo, riflessioni e sfoghi, quindi inizio chiedendoti: questo spettacolo è stato più una necessità o un'opportunità (o addirittura un azzardo)?


Accidenti, tutte e tre le cose. Veramente mi hai imboccato la risposta, ma perché hai inquadrato bene la situazione: potrei riformulare quello che hai detto dicendo che questa è in assoluto la cosa, sino a questo momento della mia vita, in cui sento di più di essere me stesso. È ovvio che c'è un po’ di personaggio anche lì, eh, ci mancherebbe. Nel momento in cui si è in scena di fronte ad un pubblico credo che nessuno possa essere realmente se stesso, però è la cosa più vicina a me stesso che abbia fatto di fronte al pubblico. Perché sì, ho raccontato cose mie, ma ho fatto convergere proprio tanti miei interessi. E il fatto che sia molto io in questo spettacolo secondo me lo posso ritrovare anche nella facilità con cui l'ho scritto. È proprio una cosa che mi è venuta naturale fare, che non significa che non ci sia dietro tantissimo lavoro, ovviamente, però sai, quando una cosa ti viene naturale anche l'impegno e il lavoro che ci metti in qualche modo è più semplice, tutto è più organico. È stato un enorme azzardo per tante ragioni: primo, io non sapevo se fossi in grado di fare una cosa di questo tipo e tuttora non lo so appieno. Nel senso che non è proprio una stand-up comedy, io quello non lo saprei fare: quella è giocata molto sui tempi comici, sul dialogare con il pubblico, sul sentire il pubblico. E queste sono cose in cui proprio non eccello. Insomma, mettiamola così, è più un canonico monologo comico, come era più comune vederne un tempo. C'è poi questa strana commistione di registri dove passo appunto dal divulgativo al dire cose che penso – perché nello spettacolo dico tutte cose che penso – ma anche a dire cose piuttosto grevi, pesanti. Non avevo idea se questo mix potesse piacere ma c'è stata una grandissima soddisfazione e voglio dire che generalmente piace. Quindi sì, è stato un azzardo e poi guarda, ti dico proprio con trasparenza, una necessità umana, ma anche lavorativa, per provare ad interpretare le trasformazioni del mercato artistico, dell'intrattenimento e soprattutto musicale. Il music business sta cambiando radicalmente, per tutta una serie di ragioni: per la quantità di pezzi che vengono pubblicati ogni giorno e quindi anche per la cura che ci viene messa e l'attenzione che il pubblico vi rivolge. Come dice il mio socio produttore, la musica si sta trasformando da opera a servizio: la gente ne fruisce come un servizio e viene prodotta come un servizio. Si continua a produrre musica mettendoci meno impegno, pensiamo anche all'utilizzo massivo dell'intelligenza artificiale nella scrittura delle musiche, delle melodie – e attenzione, non è assolutamente una roba che condanno. Non condannerò mai il progresso tecnologico, dipende ovviamente dall'uso che ne fai, e spesso non è interessante. Perché sta contribuendo proprio a un appiattimento generale in cui si cerca semplicemente di produrre delle hit che durino qualche settimana e poi basta, molto diversa dalla visione che avevo in testa. Quindi cercare di continuare a lavorare in questo settore, alla luce di questi enormi cambiamenti che neanche noi riusciamo a interpretare (ma neanche le major) perché è troppo veloce l'evoluzione tecnologica, è veramente una grossa sfida. Però il lato positivo che sto vedendo di questo appiattamento dato da certe innovazioni tecnologiche è che mi sembra che ci sia un grosso ritorno all'intrattenimento dal vivo, cioè al vedere una persona che fa qualcosa dal vivo perché lì sai che lo sta producendo in quel momento. Magari non è razionalizzata questa cosa, ma mi sembra che ci sia proprio un ritorno a questa ricerca e quindi proporre uno spettacolo andando in questa direzione è vantaggioso. Insomma, per me è una bella esperienza che porterò avanti fino alla fine di quest'anno, anche con altre date e poi non vedo l'ora di scrivere il prossimo, anche se presumibilmente prima farò un po' di musica.


Possiamo dire che iniziava anche a starti un po' stretto il mondo musicale e le sue dinamiche?


Ma mi è sempre stato po' stretto, è duplice la cosa: da un lato non sono mai stato pienamente accolto da quell'ambiente, cioè non sono mai riuscito a diventare mainstream, pur avendo in certe fasce demografiche una certa popolarità perché è difficile che non mi abbiano mai sentito. Però comunque non ho mai hai raggiunto quel livello mainstream e non voglio assolutamente fare come la volpe con l'uva, perché io avrei voluto anche arrivare a quello. Quindi da un lato c'è il fatto che non riuscivo a ottenere a pieno quello che volevo, ma dall'altro io non avrei mai voluto solo quello: non c'è mai stato un momento della mia vita in cui ho detto ok, la mia priorità è fare quello. Ho sempre fatto altre cose perché ho bisogno di fare anche altre cose. Mi è sempre stato stretto e io probabilmente stavo anche stretto a lui, mettiamola così. Poi ci continuerò a lavorare perché mi piace ed è parte di me, però mi rendo conto che il mio percorso è proprio fatto di intersezioni.


Cosa ti ha lasciato il mondo della musica di inaspettatamente bello o inaspettatamente brutto?


Ti posso rispondere facilmente se mi collego al mio vissuto, cioè cosa mi ha fatto stare bene e cosa mi ha fatto stare male. La cosa che mi è piaciuta tanto è stata la parte dei live, cioè quando ho iniziato a fare live ho subito avuto un'ottima risposta. È vero, non ho mai fatto stadi, però music club anche grandi sì, e la risposta è sempre stata bella. I miei concerti sono una messa pop, mi piace dire, con una bellissima energia, e quella parte mi è sempre piaciuta veramente tanto. Quella è stata la cosa più bella insieme anche al vedere a quante persone sono arrivato. La cosa più brutta, per come sono fatto io, è che non ci sono certezze, poi una volta capita questa cosa si sta un po' meglio. Però niente dura, nessuna idea che tu possa avere dura e ora sempre meno. Questa cosa è un po' angosciante: uno pensa di aver trovato una cosa che funziona e di farla per anni e invece no, magari. È un continuo saliscendi, ma questo vale per me come per nomi che fanno solo quello, cioè che lavorano nell'ambito musicale a livello mainstream, nessuno è sempre sopra. Però capito questo, vivi meglio anche gli “scendi”, la vivi bene, però è impegnativo. Sarebbe bello avere un po' di stabilità ma non c'è, in questo settore è tutto un allontanarsi e riavvicinarsi, ecco. È molto pesante da vivere.


E tra l'altro la tua vita artistica è iniziata proprio come Immanuel Casto, con la musica: cosa ti ha portato ad avvicinarti a questo mondo? Avevi già bazzicato un po' l’ambiente?


No, mai, mi interessava proprio a livello di espressione creativa. Io scrivevo canzoni, mi piaceva farlo, mi piaceva il valore di immagine e mi attraeva. Mi attraeva proprio l'aspetto pop, patinato, vivendolo poi anche come un grande gioco. Io non ho studiato musica, non nasco come un musicista, era più intrattenimento musicale. Ho studiato teatro, c'è stato un momento in cui all'inizio pensavo di fare l'attore, però ho ricevuto dei feedback sia positivi che negativi, e quelli positivi – in riferimento a un certo carisma e saper tenere la scena – mi hanno anche indirizzato in quello che faccio. Per quelli negativi ti riporto proprio le parole che mi disse l’insegnate, quando mi promosse nell’Accademia dell'arte drammatica, dicendo: tu non riesci ad essere altro da te, dalle caratteristiche – anche nel modo in cui mi muovo, per dire – che metto in qualsiasi cosa io faccia. Che, se si tratta di un altro tipo di performance va benissimo, anzi ci rende riconoscibili. Invece un attore puro chiaramente deve essere versatile. Che poi scrupoli i miei eh, la maggior parte degli attori italiani interpreta un personaggio a cui cambiano di nome e fine. Però se lo vuoi far bene invece sì, devi avere una versatilità che effettivamente non ho.


Il teatro, di tutti i mondi che hai esplorato, è quello che finora ti ha dato più soddisfazioni?


Beh, soddisfazioni ha iniziato a darmene da un anno, prima c'è stata la musica, ma non direi che è ciò che mi ha dato più soddisfazioni. È stata la mia recente riscoperta, mettiamola così. Il mondo del gioco mi ha dato delle soddisfazioni veramente enormi, anche solo a livello economico, con titoli che sono andati molto bene.


Tornando allo spettacolo, c’è stato un episodio tra quelli della tua vita che hai raccontato in maniera comica che è stato particolarmente difficile da vivere originariamente?


Molte delle cose che ho raccontato in realtà. Poi credo si possa intuire che le cose che mi hanno fatto più soffrire in vita mia, le cose più intime, non le trovi nello spettacolo, ovviamente. Quindi sono cose che comunque mi sono sentito di raccontare. Però tipo il finale, quando parlo del confronto con mio fratello e cosa ho sentito durante quel litigio, quello è tutto vero, ha comportato dalla sofferenza. Ci sono diversi aspetti o anche cose legate proprio all'emarginazione, all'infanzia, al non rendermi conto che gli altri notassero, diciamo in maniera piuttosto ovvia, certe caratteristiche ascrivibili al mio funzionamento autistico: quello mi ha fatto molto soffrire.


A me è piaciuto molto l'episodio raccontato relativo a tuo fratello – che immagino sia stato scelto per la chiusura anche per via del climax emotivo intrinseco – e mi aveva molto colpito la tua risposta alla sua domanda su cosa volessi essere da grande, alla quale tu hai risposto “importante, famoso” cosa che in qualche modo sei diventato, perché sicuramente sei una persona di rilievo, in vetrina. Questa cosa ha avuto dei risvolti negativi, dei compromessi a cui poi sei dovuto scendere nella vita, magari controvoglia?


Effettivamente sono sempre testato determinatissimo e lo spettacolo, per farla breve, la racconta così, ma mi ricordo che eravamo in macchina e gli ho risposto “una star” o una roba del genere. Poi lui mi ha detto “non è un lavoro” e ha aggiunto “quello, semmai, è un effetto di una cosa fatta molto bene e per cui hai passione”. Questo chiaramente è la cosa più interessante e sì, certo, io ho sempre fatto cose perché avevo passione, ma ero molto determinato a ottenere quella cosa e in buona misura l'ho ottenuta. Dicendoti una cosa molto personale, per la maggior parte della mia vita a me è interessato essere più ammirato che amato e ho ottenuto esattamente questo. Ora, per quanto riguarda i danni dall'aver ottenuto questo: io la visibilità la definisco una risorsa perché ti dà potere contrattuale se vuoi fare le cose, c'è poco girarci intorno, difficile sostenere il contrario. Le uniche implicazioni negative sono legate alla socialità, ma io già socializzo molto poco: vengo spesso riconosciuto per strada – non che venga fermato ogni passo, insomma, però vengo spesso riconosciuto – ma quella è una cosa che mi fa generalmente piacere, a parte magari quando sono totalmente sfatto marcio, lì venir fissato non mi fa piacere. Di più, però, le avverto in ambito relazionale/affettivo, perché ogni volta che si conosce una persona nuova è un po' un nuovo capitolo, no? Si impara dalle relazioni passate e si prova a fare le cose diversamente come da una pagina bianca. Però l'altra persona invece, se vuole, ha decenni di interviste da andare a leggere, video da vedere. Questo nessuna persona che fa questo lavoro ti dirà che è piacevole perché vorresti ogni volta iniziare da zero, è questa l’implicazione negativa. Però nel perseguire la visibilità e il lavoro con il pubblico, le cose positive che ho ottenuto sono molte più di quelle negative. Quindi non è un problema che io abbia fatto questo. Il grosso problema è che per fare questo ho tralasciato l'autoaccettazione, ed è stato un grosso problema. Quindi più che quello che ho fatto, il problema è quello che io non ho fatto, per fare quello.


Autoaccettazione intesa come tempo dedicato a te stesso?


Tempo a me stesso l'ho sempre dedicato. Intendo a cercare di guardare in faccia certe caratteristiche che per me erano bruttissime, cioè erano cose proprio di cui non riuscivo neanche a parlare. E invece riuscire a farlo mi ha fatto vivere meglio tantissime altre cose, rimpiango di non aver iniziato prima. Questo ovviamente ha a che fare con la psicoterapia, informarmi su certe mie caratteristiche, però per lungo tempo non solo non ero interessato ma proprio rifiutavo di guardare in faccia certe cose, e rimpiango di non averlo fatto.


Questa è una cosa che mi ha sempre incuriosito seguendo la tua attività di divulgazione su Youtube, su Twitch, anche su Instagram: parli spesso con una grande consapevolezza delle tue neurodivergenze e dei tuoi tratti autistici. Mi sono sempre chiesto se parlarne in modo così preciso, conoscendo da vicino le conseguenze dei tratti autistici ad esempio, ti abbia aiutato a circoscriverne o a limitare gli effetti nella vita di tutti i giorni? Anche in relazione all’atto di mascherare di cui hai parlato su Youtube di recente.


No, ma questa non è una cosa propriamente possibile, cioè non è che si possa aver controllo sui tratti autistici o neurodivergenti. Però dato che hai citato il mascheramento, quello si è abbassato proprio perché prendere consapevolezza del fatto che non siano modificabili, che quindi non siano una colpa, una vergogna, mi ha aiutato ad abbassare il livello di mascheramento che gli altri vedono. Ma questa è una cosa che credo anche di aver detto fra l'altro in quel video: è una cosa che ho fatto anche per me, cioè è proprio parte del mio percorso di autoaccettazione, per molte persone è così.


Tra i vari aspetti della tua vita che hai affrontato in vari video e approfondimenti sparsi qua e là c'è stata anche la tua vita sentimentale e da quello che racconti, mi sembra che tu abbia raggiunto un equilibrio con il tuo partner attuale?


Mi piace pensare che sia così.


Mi chiedevo se ci sia stato un momento preciso che abbia sancito questo equilibrio nella tua crescita personale o se sia stata una crescita lineare nel tempo?


Non credo che ti dirò mai l'episodio specifico, è stato un percorso lunghissimo, lunghissimo. Ora sì, ho un modo molto più equilibrato di vivere le relazioni. Però è un percorso lungo che mi ha insegnato come descrivermi meglio, raccontarmi meglio affinché l'altro potesse interpretare correttamente ciò che vede; mi ha portato ad abbassare le aspettative nei confronti dei rapporti, che detta così sembra una cosa un po' triste, però in realtà è importante perché te li fa vivere molto meglio. Di fatto si parla di accettare se stessi e così facendo anche ad accettare di più gli altri, due cose che immagino siano legate, però non c'è un evento, il percorso di vita è lungo.


Di recente mi sono rivisto anche un po' di tue interviste qua e là e in quella di Breaking Italy ti definivi “radicalmente progressista”, questa qua è una cosa che poi mi sono sempre chiesto: hai mai pensato di entrare in politica?


Sì, è una cosa a cui penso, anche perché è una cosa che mi viene chiesta, ma il pensiero si ferma lì. È una cosa a cui fino a qualche anno fa non ho mai pensato, quindi faccio fatica a concepire una roba che non ho mai voluto, mentre io lavoro moltissimo per obiettivi (questo ti fa capire quanto poco ci abbia pensato in realtà). Ragiono in questo momento ad alta voce: mi respinge tantissimo lo stile di vita del politico, in fatto di relazioni io credo che starei veramente molto male. L'unica cosa che mi interesserebbe sarebbe la creazione del contenuto politico e la presentazione del contenuto politico e questo si fa nei confronti della popolazione nelle sedi istituzionali, però c'è anche tutto un mondo di relazioni, incontri e ci si muove tanto così. Io quella cosa non potrei mai farla, mai. Però può esistere anche il lavoro di squadra e poi comunque non è mai una roba che farei buttandola lì così. Dovrebbe essere un percorso organico, le discese in politica così, sbam, risultano tendenzialmente ridicole e non è una cosa che farei. Sarebbe un percorso organico che partirebbe probabilmente dalla creazione prima di un'associazione culturale in cui inizio già a promuovere le mie idee e i miei valori e con cui cerco già di dare un contributo fattivo. Potrebbe essere poi questa che ad un certo punto, magari crescendo, crea quel percorso fisiologico. Quindi attualmente potrei dirti che mi rendo conto che esiste questa possibilità, ogni tanto vedo tracciarsi questa strada ma sicuramente non è la mia priorità e la cosa strana è che sento che le cose vanno in quella direzione, ma non so dirti come, quando e se succederà.



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