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Immagine del redattoreLucia Tamburello

Il racconto del nuovo album di Santachiara: un cantautore casa - strada / Intervista

Dopo aver tanto girovagato, fisicamente e metaforicamente, Santachiara trova paradossalmente “La strada più breve per tornare a casa” nel muoversi tra generi e atmosfere diverse. Il nuovo disco, anticipato dai tre singoli “Le cose che non dici mai”, “Colpa dei no” e “Nina”, pubblicato per Carosello Records e SuoniVisioni, infatti, nasce dall’esigenza di Luigi Picone di portare i suoi ascoltatori con sé in un percorso emotivo che, accompagnato dalle sonorità che maggiormente l’hanno influenzato e spinto ad intraprendere il suo percorso artistico, attraversa la sua vita e le sue esperienze. La storia artistica e umana del cantautore cosmopolita, nonostante il suo dinamismo, diventa così un ambiente accogliente per chi ha vissuto come lui determinate situazioni.


Partiamo con il concept e con il titolo dell'album: per te la musica è più un viaggio, qualcosa di dinamico e in movimento, oppure è una casa sicura e statica?

Un po' tutti e due. La musica è il luogo metaforico dove mi rifugio quando ho bisogno di pensare, di stare tra me e me, da solo, di sfogare tutti quelli che sono i miei dubbi e le mie necessità: una casa che mi rasserena e mi tranquillizza. Però, allo stesso tempo, per me è un viaggio sia per la natura delle cose che è in costante mutamento, sia, in generale, per le caratteristiche della mia musica che cambia spesso, non sta mai ferma, muta, attraversa diversi mondi, diverse emozioni, diverse esperienze. Se devo rispondere alla domanda, direi tutti e due: sia una casa che un viaggio.


Durante la tua vita hai viaggiato molto, ma ti ricordi il posto esatto in cui hai deciso di fare musica?

Ho iniziato a fare musica con mio fratello al liceo a Spoleto, in Umbria. Da quando sono venuto qui a Napoli ed ho lavorato al mio primo EP, alle mie prime canzoni, ho trovato questo nome d'arte ed ho iniziato questo percorso, ho capito che Napoli era il luogo in cui avrei voluto iniziare a lavorare alla mia musica.


Il brano "L'ultimo giorno" mi è apparso come una sorta di lettera, a chi è indirizzato?

A me stesso in un certo senso. Anche nel ritornello dico: "E poi mi dico scusami per tutte le notti che ti ho fatto dannare". È come se fosse una lettera che io dedico a me stesso nonostante tutti i dubbi e le esperienze, gli errori che ognuno può fare, come dico nelle strofe. C'è questo desiderio spassionato di dire: "Va bene, ok, ci siamo divertiti però ora metti la testa a posto", ma non è un "metti la testa a posto adesso", ma è un "prima o poi lo farai, sono convinto che lo farai". È una sorta di inno allo sbagliare, al sentirsi bene con se stessi nonostante tutti i difetti e gli errori che uno può fare. Alla fine, c'è sempre il tempo per recuperare, per diventare persone con la testa sulle spalle.


C'è un rapporto tra il tuo percorso di studi in psicologia e i tuoi testi, ti ha aiutato a fare una certa introspezione?

Tutte le esperienze della vita mi influenzano in qualche modo. Possiamo dire sicuramente di sì, c'è tanto dell'introspezione, del riflettere sui propri errori e trovare il modo e il metodo giusto per dirli e per tirarli fuori: quella è una cosa che la psicologia mi ha insegnato molto. Tutta la mia musica si ispira alla mia vita, quindi attingo un po' da tutto, sia dai miei studi di psicologia che dalle cose un po' più umane, un po' più terra terra come un'uscita con gli amici.



Uno dei singoli che ha anticipato l'uscita dell'album, "Nina", è una semplice descrizione di una persona esistente oppure racconta una condizione generale, universale?

È la seconda ovviamente. Questa persona in realtà non esiste. Sono un po' io, un po' persone che conosco, un po' di gente con cui sono entrato in contatto. Ho cercato di fare una descrizione di quella che è una persona eternamente romantica e che, paradossalmente, anche nei suoi sbagli riesce a vivere fino alla fine godendosi tutto. Non è una ragazza in sé, potrebbe essere benissimo un "Nino". Volevo cercare di dare una definizione di una persona della mia generazione che vorrei essere: un po' più spassionato, casinaro, vorrei vivere la mia vita per come è senza tutti i pensieri che mi faccio. Volevo cercare di fare un quadro, una descrizione, di quella che è una generazione cioè la mia. Tutte le persone che ascoltano il brano, in qualche modo, spero abbiano modo o di identificarsi con questa Nina, o almeno pensare di averla conosciuta, di averla amata o di averla persa.


Al giorno d'oggi c'è ancora spazio per il romanticismo nella musica pop?

Secondo me ci sarà sempre spazio. Gli artisti, la musica avrà sempre spazio per il romanticismo, non inteso in senso classico, della storia d'amore tra uomo e donna che, per quanto possa essere un tema immortale ed eterno, è stato già affrontato abbondantemente da tantissimi artisti della musica pop. Credo che ci sia una tendenza inversa: mentre qualche anno fa, il testo aveva un po' perso la sua importanza italiana classica necessaria, quella del testo bello importante, adesso la sta recuperando. Scrivere belle canzoni che parlano di qualcosa, che hanno un contenuto valido, interessante e che siano anche romantiche, è una cosa che ci sarà sempre perché la musica è un po' romanticismo, è per chi vuole sognare, per chi vuole viaggiare.


Al di là della tua tendenza a cambiare sempre di generi, è anche per questo che "non ti abbassi al mercato che ti vorrebbe più rap" come dici in uno dei tuoi testi?

Quella è una provocazione, in realtà io vengo dal rap. Rappavo, rappo, ho delle metriche che provengono da lì nonostante faccia pop. Era una provocazione per dire che oggi è come se ci fosse un'egemonia di quello che è il rap in Italia: praticamente è diventato il nuovo pop. Per dire "Io sono così, non posso farci niente, vengo dal rap, ma anche se potrebbe essere un'ottima mossa di mercato mettermi a fare il rapper, decido comunque di seguire la mia strada, quello che è il mio modo di essere semplicemente".


Il rap si fa ancora per strada? Suoni ancora per strada o quella parentesi si è un po' limitata negli ultimi anni?

Io ho iniziato in strada con gli amici a rappare, ma il busker, l'artista di strada in sé, non l'ho mai fatto, però mi piacerebbe fare questa esperienza. Più che altro erano i miei genitori che facevano spettacoli in giro ed io li seguivo, ma io quando ero piccolo facevo il mago, niente a che fare con la musica. Adeso che sono cresciuto, la musica è il mio modo di esprimermi e, visto che l'album si chiama "La strada più breve per tornare a casa", perché no, potrei portarlo in strada… ci sto pensando.


Tra l'uscita di "Sette pezzi" e quella de "La strada più breve per tornare a casa" hai pubblicato un po' di singoli che non sono contenuti nell'ultimo album; come mai? Non riguardano la linea che hai voluto seguire in quest'ultimo lavoro?

Sì, è esattamente questa la risposta. Oltre a questo disco abbiamo fatto anche altri pezzi e poi c'è stata una selezione lunga e faticosa dei brani che poi sono finiti nel disco. Ho deciso di mettere all'interno delle cose e tenerne fuori delle altre mio malgrado per dare più il senso di questo disco, questo concept. Ogni traccia è stata scelta perché ti dà un’emozione, e te la dà nel momento in cui te la deve dare. Anche l'ordine delle tracce è scelto apposta. Volevo fare in modo che venisse percepito come un passo in avanti rispetto a quello che era il mio stile, che sarà ancora il mio stile, ma che ha avuto dei grandi cambiamenti in termini di sonorità e di testo.


In un'intervista hai detto che vorresti che ogni tua canzone fosse adatta a momenti diversi, questa cosa si rispecchia anche nei vari generi che tratti; in quale dimensione ti trovi più a tuo agio?

Dipende dal momento. La mia necessita è quella di fare musica che vari in termini di emozioni, di generi e di suoni. È un'esigenza che parte proprio dal mio gusto musicale: io ascolto un po' di tutto, mi piace quando l'artista che mi piace (scusa le ripetizione) mi sorprende, tira fuori delle caratteristiche che da lui non mi aspettavo e mi fa capire non solo un altro aspetto della sua arte e della sua musica, ma mi permette anche di vedere e affrontare altre sfaccettature sia della musica in sé che dell'artista. Nel momento in cui mi metto a scrivere il brano ho o una melodia in testa, un concetto o un giro di accordi. In quel momento è la musica che mi parla, è la musica che mi dice che in quel momento quella cosa deve andare in una direzione un po' più introversa, un po' più triste oppure in una direzione molto allegra, divertente, "ballerina".


Hai dei live in programma o altri progetti per il futuro?

Sto lavorando un sacco ai live perché sono una parte molto importante secondo me della carriera artistica in generale di chiunque, ma soprattutto per me. Queste canzoni le ho fatte proprio in vista del live, le ho fatte cercando anche di costruire anche quello che sarebbe stato dopo un concerto pieno che sarebbe potuto essere anche uno show. Mi sto allenando, sto provando con dei ragazzi e la cosa che mi piace dello show che stiamo mettendo in piedi è che tutti suoniamo un po' di tutto, non stiamo mai fermi, si gira, si suonano nuove cose come se fosse una jam session che mi ricorda anche, tra l'altro, quello che è suonare in strada: ognuno porta uno strumento e ci mettiamo tutti quanti a suonare tutto per creare una musica bella e che dà emozioni… Tanti live in programma e soprattutto canzoni nuove perché sto lavorando già ad altro.



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