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Immagine del redattoreEdoardo Previti

"Gli anni di Cristo", il liberatorio ed intimo ritorno sulla scena di Mobrici - Recensione

di Edoardo Previti e Ludovica Petrilli


A tre anni di distanza dallo scioglimento dei Canova e due anni dopo l'ottimo esordio come solista con "Anche le scimmie cadono dagli alberi", Mobrici è tornato sulle scene musicali con "Gli anni di Cristo", album uscito lo scorso 31 marzo per Maciste Dischi e Virgin Records. L'artista ha scritto interamente questo nuovo progetto discografico a 33 anni e si fa portavoce di un'intera generazione che non fa altro che porsi delle domande senza però mai arrivare a delle risposte definitive, soddisfacenti. Con questo album l'artista ci aiuta sia a farci guardare al passato, sia a farci osservare un futuro sempre più incerto con una visione più coraggiosa e non ostacolata dalla paura.


Il disco inizia subito col botto con "Sexe", una traccia caratterizzata da una strumentale memore del synth-pop anni ’80, New Order su tutti, che si sposa alla perfezione, grazie anche al suo ritmo ansimante, lento e violento… no, scusate veloce, con il testo più diretto e senza filtri mai scritto, fino ad ora, da Mobrici. "Sexe" è la canzone che ci farà scatenare ai live con il suo ritmo incalzante, con la sua schiettezza che ti entra nelle ossa. Fin dal primo ascolto non possiamo fare altro che saltare e cantare a squarciagola “Vuoi venire con me?”


A seguire c'è "Piccola", ultimo atto della mobriciana saga iniziata con “Santamaria”, proseguita poi con “Per te”, “20100” e “Anna meraviglia”. “Piccola” è una vera e propria carezza. Una carezza malinconica che ci porta indietro nel tempo, ai 20 anni, quando si vuole spaccare il mondo ma allo stesso tempo non si capisce fino in fondo cos’è l’amore. Questo primo e giovane innamoramento, però, ha un finale già scritto, ossia la rottura, la quale inizialmente viene vista come la fine di un sogno, soprattutto dalla persona lasciata. Questo sentimento coinvolgente, ma breve, con il passare del tempo rimane lì, nelle menti dei due protagonisti, solo come un ricordo dolce amaro.


"Noi due insieme Due anime perse Avevi solo vent'anni E non sapevi cosa fosse l'amore" (da "Piccola")

“Figli del futuro” pone il quesito del secolo: “Fare o non fare figli?”. Il cantautore, tramite un testo apparentemente scanzonato ed una musica coinvolgente ed allegra, ci butta in faccia la situazione attuale della nostra società destinata, per uno dei due scrittori della recensione, a collassare politicamente, economicamente e, soprattutto, dal punto di vista ambientale. Infatti, siamo in un periodo storico in cui è difficile addirittura avere una propria stabilità economica, quindi da un lato pensare di fare una famiglia è una vera e propria utopia, mentre dall’altro ci si domanda, vale proprio la pena di fare un figlio e lasciarlo in balia dell’incertezze? (Non esiste una risposta giusta o sbagliata, anzi è un bene che non ci sia) Il cantautore, non esprimendo la sua opinione su questo tema, ci vuole far capire che siamo noi i padroni della nostra vita, ossia i "figli del futuro" e quindi tocca a noi provare a cambiare le carte di questa società malata e a scegliere, senza pressioni esterne, se mettere o meno al mondo nuovi figli.


Con “Amore mio dove sei (con Vasco Brondi)” prende vita non un duetto ma il duetto. Le voci dei due interpreti si uniscono in totale armonia e ci cullano a tempo di musica. Questa traccia è una sorta di lettera per un amore che non c'è ancora stato, ma che prima o poi arriverà e quando arriverà sarà come ad assistere ad un’eruzione vulcanica, spaventosa, coinvolgente ed emozionante. Infatti, per i due protagonisti, questo sentimento non ancora nato ma già scritto nelle stelle, sarà il culmine di un percorso, un percorso diverso fatto di cuori infranti, momenti di solitudine, voglia di vivere la propria vita al 100%, insomma di alti e bassi. Questa non è una semplice traccia, è La canzone d’amore per un amore che verrà, così intensa che ad un certo punto ti fa chiedere se possa esistere un amore così puro per delle parole così profonde e semplici allo stesso tempo.



Di seguito "Kaiserkeller", traccia caratterizzata da un sound volutamente sporco, diciamo dall’attitudine punk e alternative, che accompagna un testo ironico e pungente, sulla falsa riga di altre canzoni di Mobrici come "Expo" e "Canale 5". In “Kaiserkeller” si parla con cinismo di una storia passata, finita male. Questa canzone riesce a creare delle vere e proprie immagini, che scorrono veloci come in un vecchio film in bianco e nero, nella mente dell’ascoltatore.


Ecco il ritorno del Mobrici cantautorale con "Luna". Come si può vedere sia dal titolo che, per ovvi motivi, si associa a Gianni Togni, sia dal testo e dal sound che presenta fortissimi echi a Rino Gaetano, tra cui una semicit a “Gianna”. Mobrici ha dedicato questa canzone ad una fan da gli occhi tristi che dopo un concerto lo ha incontrato, lo ha abbracciato e se n'è andata nell'anonimato, così come era arrivata, ma lasciando, però, una traccia del suo passaggio, ossia l'ispirazione per questa canzone. Brano che entra facilmente entra in testa e dal testo in cui è facile immedesimarsi, poiché a tutti noi è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirci inadeguati, di non voler altro che scappare lontano dal casino che circonda, da una vita che sembra non voler seguire i nostri piani, le nostre passioni.


"Summer dolce vita" è un brano delicato che almeno una volta nella vita deve essere ascoltato in una spiaggia vuota, quando il sole se ne va via lentamente, lasciando spazio alla sera. Un amore che trova nell’estate il suo vero posto, un luogo in cui la spensieratezza, la semplicità e la verità vivono in armonia con gli sguardi innamorati e sognanti dei due protagonisti, ai quali non serve nient’altro. “Summer dolce vita” è il brano preferito di uno dei due recensori perché è l’esempio perfetto di ballad mobriciana, sound all'inizio essenziale, che pian piano cresce e diventa sempre più coinvolgente.


"Ma il tuo problema sono io Che non sapevo che per essere felici non basta altro" (da "Summer dolce vita")

Ma il biglietto di visita di questo nuovo progetto discografico è stato "Luci del Colosseo". Possiamo dirlo chiaramente, è la hit di questo album, la canzone che dopo pochi ascolti canterai all’infinito per mesi (storia realmente accaduta). Questo brano parla delle relazioni a distanza e delle difficoltà nel portarle avanti, e in particolare di quel momento in cui si sente la mancanza della persona lontana, si è consapevoli di volerle ancora bene, ma si è anche attanagliati da un dubbio: continuare nonostante le difficoltà, la paura e le paranoie derivanti dalla distanza o mettere la parola fine anzitempo, nonostante ci sia ancora qualcosa?



Di seguito è il turno di "Sophia". Questo brano ha un piccolo tesoro al suo interno, la coda strumentale finale. Le parole in questo caso si mettono da parte e lasciano alla musica il ruolo di descrivere con intensità e delicatezza un amore che non ha mai visto la luce, un qualcosa che poteva essere ma non è mai stato.


Il penultimo brano di questo album è "Revolver". Questa canzone ci porta indietro di qualche anno, è difficile non sentire al suo interno le sonorità dei Canova. Questa traccia, prima di essere compresa pienamente, necessità di più ascolti, ma una volta capita, riesce a toccarti le corde più nascoste dell’anima. Infatti, è un brano liberatorio in cui si chiede alla vita, e a tutti quegli pseudo-maestri di vita, di lasciarci vivere in piena libertà, invece di trascinarci in basso, facendoci entrar in contatto con la paura di rischiare ed infine con la morte.


"Vita mia, vuoi tu lasciarmi vivere, vivere O forse sei proprio tu a farmi morire, morire?" (da "Revolver")

A concludere "Stavo pensando a te (con Fulminacci)", servono descrizioni? capolavoro con la C maiuscola, non è da tutti riuscire a prendere un pezzo di Fabri Fibra, riarrangiarlo con elementi orchestrali, una batteria, un pianoforte e una chitarra e farlo proprio. Traccia dal fortissimo e travolgente coinvolgimento emotivo che ti fa uscire tutte le lacrime del corpo. Fin dalla versione del 2019 presente su yuotube, uno dei due autori sostiene fieramente che questa cover, targata Mobrici e Fulminacci, non può mancare nella sua colonna sonora di quelle tormentate notti, tipiche di chi ascolta certa musica indipendente, in cui non si vuole fare altro che stare sul letto, al buio, con la cuffiette.



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