Di Edoardo Previti e Iris Chindamo
Già dall'annuncio di un nuovo disco sapevamo che Filippo Uttinacci, in arte Fulminacci, ci avrebbe in qualche modo stupiti ancora una volta. Perchè in fin dei conti se c'è una cosa che Fulminacci sa fare bene nei suoi dischi e nei suoi singoli è proprio quella di stupire, unendo la sua vena critica all'ironia e alla sensibilità delle sue parole. Il suo incredibile talento e la sua versatilità musicale e quella testuale sono confermati infatti dal successo che, singolo dopo singolo, sta riscuotendo. Ci stupisce teneramente già dal titolo, che ci riporta a quando eravamo bambini e non ci capivamo molto dei sentimenti ma al "ti voglio bene infinito" rispondevamo comunque "io te ne voglio infinito + 1", avvicinandoci anni prima alla scena più tenera di Avengers Endgame tra Tony Stark e la figlia.
Infinito + 1, terzo disco in studio del cantautore romano, prodotto con okgiorgio, riconferma Fulminacci come artista generazionale, spiazzante, versatile e del tutto innovativo. Premiamo play e ci facciamo cullare dalle dieci tracce del disco, ritrovandoci tra un pezzo più pop da cantare forte e uno in cui lasciar andare la parte più nascosta di noi. Un album che segue una sua logica e un suo ritmo, che viene curato in ogni suo dettaglio e nota. Ripercorriamolo insieme traccia dopo traccia.
"Come me che sono un po' diverso, un po' sempre lo stesso, un pompelmo acerbo, un po' giovane vecchio, un po' troppo testo…" (da "Spacca")
"Spacca" è il brano che apre il terzo disco di Fulminacci ed è una vera bomba. Ritmo travolgente che ti fa venire voglia di ballare come se non ci fosse un domani, intervallato da parti più sognanti e per certi versi dolci, di quel romanticismo tipico di Fulminacci: delicato, non sdolcinato e legato molto a immagini cinematografiche.
Fulminacci apre il disco con un brano che esprime il manifesto della sua arte - con il suo inconfondibile stile sia ironico che cinematografico che esprime concerti seri - e di quello che ci aspetterà nelle tracce seguenti. Una canzone che sembra criticare coloro che lo etichettavano come "giovane vecchio" e mostra come al cantautore piaccia sperimentare, utilizzare suoni, armonie sempre nuove e sorprendenti, ma con una naturalezza che fa sì che le canzoni, per quanto diverse tra di loro, abbiano sempre il timbro caratteristico del suo riconoscibile stile. Il pezzo racchiude dunque una forte auto-consapevolezza accompagnata da tocchi di critica e auto-critica che emergono in alcuni versi come: “La vuoi la verità? Gli assoli di chitarra non li vuole mai nessuno, solamente chi li fa”.
"E metto un pezzo che non parla più di noi lo so, mi odierai però col senno di poi" (da "Puoi")
In "Puoi" è presente il primo featuring di "Infinito+1". Gli ospiti di questa canzone sono i Pinguini Tattici Nucleari, come si capisce dalle prime note che, subito, riportano le nostri menti il periodo "Fuori dall'Hype". Da questo mix Pinguini-Fulminacci nasce un'ottima canzone, caratterizzata da alcuni giochi di parole tipici di entrambe le discografie degli artisti, che urlano a gran voce che si può sempre trovare la strada per andare avanti e uscire da un momento che ci fa sentire male. Una volta superato, si riesce poi a vedere il tutto da un'altra prospettiva, traendone una lezione e dandole un nuovo significato. Oltre al lato più profondo della canzone, nel ritornello emerge un ritmo spinto che introduce una strana ironia che ci confonde e ci fa domandare cosa abbia fatto di male il povero DJ in questione per essere ammazzato…forse potremmo chiederlo ai Green Day?
"Ragù" è il terzo singolo estratto dall’album. Altra canzone manifesto della poetica di Fulminacci che sembra descrivere la scena culturale italiana dei giorni nostri, una scena dove molti artisti puntano a raggiungere il successo numerico creando delle "canzoni-ragù", non vere o volute, ma costruite a tavolino solo per spopolare, diventare hit momentanee che "non piacciono a nessuno | ma le sanno tutti quanti". Al giorno d'oggi, probabilmente, diversi artisti si trovano davanti ad un bivio: fare "scelte importanti che non fanno la storia", come ad esempio cercare sempre una propria strada musicale e non abbassarsi a diventare un semplice hitmaker; oppure sfornare le solite e ripetitive hit. Questa idea di canzone-hit sembra aver toccato anche il mondo del cantautorato, un mondo che per certi versi non ha mai avuto l'obiettivo di scalare le classifiche, ma solo di mettere in musica storie di vita quotidiana, che vanno dalla critica sociale alle storie d'amore. Sempre in “Ragù” si nota bene il lato cantautorale dell’artista romano nel passaggio di denuncia sociale: “Ma non lo vedi che ho fame? | Duemila euro tre storie”, che potrebbe riferirsi al fatto che ultimamente costa tutto troppo. Per "risolvere" questo problema Fulminacci ci propone quello che sa fare meglio: la musica. Le canzoni non possono placare la fame nel mondo però, se fatte senza la volontà di essere un vuoto concentrato, hanno decisamente la possibilità di saziare la nostra fame di vita, che si riempie e prende significato con i piccoli momenti essenziali, le vere amicizie e la buona musica a fare da sottofondo.
"Per non pensare che tra un anno già mi dimenticheranno (è una promessa)" (da "Filippo Leroy")
Ed eccoci a "Filippo Leroy", la canzone più artistica fino ad oggi della carriera di Fulminacci. Tra immagini legate al mondo dell'arte, da Van Gogh, a Da Vinci, passando per Magritte fino a Lucio Fontana, l’artista sembra chiedersi: “Se tutto ormai è già stato fatto, cosa posso portare di nuovo io nella scena musicale?”. Questa presa di coscienza si incarna nella figura di Filippo Leroy, ready made duchampiano tra il nome del cantautorato romano e il cognome dell'attore francese Philippe Leroy, noto al pubblico soprattutto per aver interpretato Leonardo Da Vinci nel film biografico Rai del 1971 "La vita di Leonardo Da Vinci". Oltre ad indagare sul cosa potrebbe portare di nuovo al mondo musicale, Fulminacci si pone anche un'altra domanda più personale: il suo modo di essere e relazionarsi artisticamente e non è il suo atteggiamento naturale o sta solo imitando l'idea il pubblico si è fatto di lui? Questa "crisi d’identità" viene sottolineata in maniera originale dai cori del ritornello che insinuano il dubbio: “Ma chi è questo qua?”. Non so cosa ne pensiate voi ma Filippo Uttinacci, Fulminacci, Filippo Leroy o qualunque sia il modo giusto di chiamarlo, è decisamente un artista innovativo e poliedrico che non ha paura di esprimersi mostrando sia i suoi punti di forza che quelli di debolezza.
"E ci ritroveremo in altre vite o no? Ma che ne so, però è una bella idea" (da "Simile")
Fin dal primo ascolto "Simile" ci ha cullati, era da tempo che non sentivamo una sorta di ballad romantica così bella, profonda, non sdolcinata e sorprendente dalla prima fino all'ultima nota. Questa canzone, che sembra ancorata a "La donna cannone" di De Gregori, mostra al 100% il lato cantautorale di Fulminacci ma pur sempre aggiornato ai giorni d'oggi nelle sonorità. "Simile" è un susseguirsi di meravigliose immagini notturne ed oniriche che sembrano voler dire allo spettatore di non preoccuparsi dei propri pensieri, perché ogni persona è diversa e non è uguale a nessun’altra, ma proprio questa diversità è la cosa più simile a tutti che ha. Le canzoni che ci fanno scappare un piantino all’interno di questo disco sono poche ma buone, e questa è posizionata in una maniera decisamente tattica nella tracklist del disco, perchè ci prepara con gli occhi già lucidi ad affrontare la prossima traccia.
"Vorrei sentire la tua voce ma ho perso l’udito come uno dopo un concerto" (da "Occhi Grigi")
"Occhi grigi" insieme a Giovanni Truppi, secondo ed ultimo ospite del disco, è infatti una canzone drammaticamente struggente. La tagliente e cruda voce di Truppi si mischia alla perfezione con quella di Fulminacci per dare vita ad una triste storia, un amore finito cantato da colui che ha il cuore a pezzi. La malinconia trasuda sia nella musica che nel testo, un testo che letto fa venire un nodo alla gola ma che, nel profondo, manda dei messaggi spesso sottovalutati o non tenuti in considerazione. Un primo messaggio sta nell’essere capaci di godersi appieno ogni momento di felicità che durano solo pochi minuti. Le sensazioni che si provano in quegli istanti significativi, come il primo sorriso in cui perdersi, la prima uscita o il primo bacio, col senno di poi non sono più le stesse, non hanno la stessa intensità. Questa malinconica canzone vuol fare capire all'ascoltatore il fatto che, nonostante la tristezza, la sofferenza che la fine di una storia d'amore può causare, il bene e le esperienze vissute all'interno di quella relazione ormai terminata, sono fondamentali per la propria crescita personale. Alle volte ci si innamora di chi ci fa riscoprire cos'è veramente l'amore e ci fa capire cosa vuol dire star bene veramente e se ne traggono così lezioni di vita.
"Alla fine se siamo felici è per sbaglio mentre passano i giorni, che freddo e che caldo fa" (da "Baciami Baciami")
In "Baciami Baciami" Fulminacci parla della parte razionale che c'è in ognuno di noi, che spesso sembra andar contro sentimenti ed emozioni, come fossero l'uno l'alter ego dell'altro ma che in realtà fanno entrambi parte della stessa sfera, di noi. Il protagonista del brano è l'anima sentimentale, quella parte che, nonostante la noia e la volontà di compiere solo rischi calcolati, ogni tanto fuoriesce, ci fa battere il cuore così forte che sembra di essere sugli spalti della Bombonera durante Boca-River. È proprio questo lato sentimentale, soprattutto per quanto riguarda le relazioni, che ci spinge a buttarci, poiché sovrasta la paura razionale della delusione, e ci spinge a provare a prendere anche un solo minuto di quel cuore che costa come un appartamento a Milano. Con “Baciami Baciami” il cantautore ci esorta ad aprirci all’amore e a combattere la noia e la monotonia di tutti i giorni con il gesto più romantico in assoluto: il bacio, il “carpe diem” delle relazioni umane. Quindi condividiamo il pensiero di Fulminacci: "Vaffanculo, a chi non dice ti amo”, dichiariamoci alle persone che ci piacciono, proviamoci, mettiamo da parte il raziocinio e vediamo se quel bacio dato ci fa scordare chi siamo e dove siamo.
"Se ci guardassimo da lontano sarebbe tutto un po’ più piccolo un po’ più facile" (da "Tutto Inutile")
La canzone che ha aperto la nuova era di Fulminacci è stata "Tutto inutile", il pezzo che ha dato il via alle danze, dandoci il primo assaggio di “Infinito +1”. Il ritmo e il tono allegro del brano sembrano contrapporsi ai messaggi contenuti nel testo, che risultano riflessivi, pessimisti come nelle frasi: “Che senso ha questa maledetta felicità?” e “Da quando mi hanno messo in testa che devo essere felice”. In realtà, come abbiamo visto nelle altre canzoni e come è tipico dello stile del cantautore, spesso le frasi che sembrano inizialmente “negative” si rivelano invece ironiche, una critica a questa società che ci fa credere che i nostri sforzi siano inutili, che bisogna a tutti i costi essere felici e prestanti senza tener conto di cosa succede nel nostro piccolo.
"Non siamo neanche a metà ma, in fondo, chi lo sa" (da "Così Cosà")
Con "Così cosà" torna un Fulminacci molto minimal nell'arrangiamento che ci canta di quanto possa essere normale sia il non voler scendere a patti, sia voler trovare dei compromessi. L'importante, alla fine, è fare sempre scelte che ci facciano star bene con noi stessi, visto che in ogni caso ci saranno degli alti e dei bassi, l'importante è fare ciò che ci si sente veramente di fare, senza sentirsi obbligati dagli altri. Ascoltando questa canzone attraverso la semplicità delle filastrocche cantate, utilizzata alla Gianni Rodari, viene trasmesso il messaggio positivo e profondo per cui cambiare idea, a volte, non rende l’individuo incoerente ma lo aiuta a crescere.
"Ora vuoi spiegarmi cosa cerchi nella testa ogni volta che non parli?" (da "La Siepe")
Se il disco si apriva con il ritmo travolgente di "Spacca", "La Siepe" chiude alla perfezione il cerchio di "Infinito + 1". Brano acustico, registrato quasi fosse una versione dal vivo cantata al parco, come si può sentire dal sottofondo pieno di rumori come voci di bambini, il canto degli uccellini o il rumore del vento. Forse è proprio il fatto che sia una canzone con un suono così naturale che ci ha fatto sentire subito l'aria di casa, come se l'avessimo già ascoltata per via della sua commovente immediatezza.
Il cantautore in questa canzone sembra chiedersi cosa vuol dire la verità e se “è dentro o fuori di me?” e dà all’ascoltatore il tempo di riflettere su questo dubbio, grazie alla splendida coda strumentale in chiusura, rendendola così la canzone "gemma nascosta" del disco.
Ripercorrere le canzoni dell'album track-by-track è la giusta modalità per un album che andrebbe proprio ascoltato tutto d'un fiato dall'inizio alla fine per fare un viaggio coerente nei pensieri e nell’autoconsapevolezza artistica di Fulminacci. Ogni pezzo è speciale a modo suo e Fulminacci non ha deluso le (altissime) aspettative che avevamo nei suoi confronti.
Infinito + 1 è la prova di come si possa fare musica liberamente, spaziando tra generi musicali e temi trattati senza mai toccare la ripetitività o la banalità. Il livello di interesse dal primo all'ultimo minuto di ascolto è tenuto alto da ogni singola parola e dettaglio stilistico mai casuale. Segna alla perfezione un nuovo passo avanti del suo percorso graduale artistico che, arrivato sulla scena come un fulmine a ciel sereno è riuscito in poco tempo a conquistare pubblico e critica con la sua musica e con il suo animo gentile che si ritrova a pieno nelle sue canzoni.
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