Abbiamo conosciuto gli España Circo Este nel 2013 con il loro primo ep autoprodotto "Il Bucatesta". Solo due anni dopo ci siamo fatti trasportare nel loro disordine travolgente con il primo lp "La Revolucion del Amor", che li ha portati a farsi conoscere e apprezzare in tanti paesi diversi, con un tour di 120 date in giro per bar, locali, festival, strade e natura di tutta Europa. Dopo il periodo in tour con il loro furgone sono tornati in grande stile con "Scienze Della Maleducazione", pubblicato con Garrincha Dischi, lavoro col quale sprigionano del tutto la loro carica ed energia, la stessa che fanno esplodere con dinamismo e felicità su ogni palco. A marzo 2018 li troviamo negli Stati Uniti, e a giugno dello stesso anno pubblicano per il mercato Sud Americano l'ep "Bau Bau Ciudad", giusto per non farci mancare qualche altro continente da far esplodere.
Gli España Circo Este non sono solo ufficialmente la band più cosmopolita e "on the road" degli ultimi anni, ma sono anche quel lato rivoluzionario e romantico di cui ognuno di noi ha bisogno per sentirsi vivo, ma vivo davvero.
In attesa del loro nuovo lavoro discografico "Machu Picchu", che è stato anticipato da ben quattro singoli,di cui l'ultimo "Nati Storti", abbiamo avuto il piacere di farci raccontare direttamente da Marcelo (voce della band), delle loro esperienze, della loro visione della musica e dell'arte, dell'importanza di viaggiare, del progresso, del futuro, e sì forse anche dell'amore.
Se prima li apprezzavate già come band, dopo questa intervista li stimerete ancora di più sotto ogni punto di vista, garantito.
Più che una buona lettura, questa volta vi auguro una Buona rivoluzione!
Ciao Marcelo! Iniziamo con una curiosità: come mai la scelta del nome “España Circo Este”?
C’è qualche curiosità legata?
Il nome non è altro che una sigla che rappresenta il viaggio compiuto dalla band. L’idea del gruppo è nata in Argentina, poi si è sviluppata in Spagna per poi trasferirsi definitivamente in Italia. Un nome in movimento.
Musicalmente i vostri pezzi sono allegri, spensierati, quasi ottimisti ma spesso raccontano in modo critico molti aspetti della nostra società. Come nasce questa contrapposizione?
Io sono un appassionato di musica popolare latina, i suoi semplici versi hanno una capacità incredibile nel raccontare e sciogliere i nodi di questo mondo. Questa musica, ma in teoria anche l’arte in generale, penso abbia o debba avere il compito di tradurre la realtà in qualcosa di più digeribile a noi. Tramite le note e le loro parole, molte canzoni ci hanno sempre aiutato ad esorcizzare la tragicità degli eventi del mondo. Più in generale la letteratura, la pittura e nel nostro caso la musica in qualche modo ci aiutano fare esperienza prima che le cose ci accadano veramente. In questo modo saremo più pronti ad affrontare la realtà e forse anche un po’ più forti ad affrontarne le difficoltà. E’ qualcosa di incredibile per me, ogni volta che mi fermo a pensare questo concetto mi emoziono sempre. E’ come quando con la mano sentiamo se l’acqua della doccia è troppo fredda o troppo calda prima di buttarci sotto il suo getto. In questo caso le canzoni sono la nostra mano e il getto d’acqua da tastare è la vita. La musica, l’arte ci possono dare questo primo approccio alle cose importanti della vita. Ecco il nostro ottimismo critico… le canzoni del gruppo affrontano a volte temi complessi semplificandoli con il sorriso, in modo tale che coloro che se ne avvicinino per la prima volta ne escano con un po’ di forza in più.
In “Nati storti”, il vostro ultimo singolo, cantate: “la musica è scadente; C'è un cantante indipendente che racconta di te e tu neanche lo sai”. Cosa ne pensate della musica del momento? In che modo potrebbe essere meno “scadente”?
Non lo so. Sinceramente il benessere occidentale sta rendendo un po’ tutto debole di gusto, per citare Brunori il benessere “toglie il sapore pure al cioccolato”. Abbiamo tutto, non dobbiamo faticare per averlo. E’ tutto qui, pronto all’uso, pronto a esserci utile e pronto anche ad essere buttato via una volta usato. Anche la musica è diventata così, un po’ usa e getta. I pezzi difficilmente rimangono, hanno una così breve durata che dopo poche settimane o pochi mesi ci dimentichiamo quasi di averli ascoltati. Penso che questa situazione occidentale indebolisca qualsiasi cosa, anzi, forse siamo proprio il popolo più debole del mondo. Ovviamente questo benessere sfrenato e la conseguente nostra debolezza si riflette sui temi trattati nelle canzoni. Quindi forse nel testo di Nati Storti avremmo dovuto mettere la parola “musica debole”, non “musica scadente”.
Sui vostri social avete annunciato la posticipazione dell’uscita del vostro album “Machu Picchu” dicendo: “questa band è stata, è e sarà sempre una band live. Noi SUONIAMO! Ci chiudiamo dentro ad un vecchio Ford Transit ammaccato, facciamo tanti km, arriviamo in posti che non conosciamo e... suoniamo!”, e in effetti le vostre canzoni rispecchiano molto questa vostra vena “on the road”: vanno saltate urlate e sudate sotto palco. Come nascono i vostri pezzi? La forza con cui li portate nei live è voluta o è un bellissimo effetto collaterale?
I nostri pezzi sono nati fino adesso in due maniere. Nei due dischi precedenti siamo stati sempre in giro, componendo le canzoni in furgone, nei soundcheck dei festival, non conoscevamo molto la dimensione dello studio di registrazione, anzi, quasi lo detestavamo. Poi, con il passare del tempo ci siamo affidati a delle figure più grandi di noi, personalità che ci hanno aiutato a capire che a volte bisogna fermarsi per raccogliere le idee. E così abbiamo sperimentato una nuova maniera di scrivere. Questa nuovo approccio alla scrittura lo dobbiamo a tre persone: la prima è stata Matteo Romagnoli di Garrincha dischi che c’ha obbligato a stare fermi in Italia per tre anni con i live e a scrivere, scrivere, scrivere. La seconda è stata Francesco “Ponz” Pontillo, bassista degli ECE, lui ha curato le pre produzioni del disco, cosa che per la prima volta facevamo (per i dischi precedenti affittavamo uno studio per due settimane arrivando senza provini, con canzoni appena accennate alle prove e con i miei testi scritti su fogli volanti). La terza figura fondamentale di questo disco è stato Fabio Gargiulo, il nostro primo produttore. Queste tre figure hanno obbligato la band a scrivere i pezzi in un modo diverso dai precedenti dischi. Comunque, anche se sono stati scritti in maniera diversa, penso che quel bellissimo effetto collaterale live di cui parlavi non si sia perso neanche un po’... anzi.
Siete appunto una band “on the road” e tra le più cosmopolite che conosca. Dopo il vostro primo LP, “La Revolucion del Amor”, avete organizzato 120 date in giro per l’Europa e avete aperto anche i tour di Manu Chao e Gogol Bordello nelle loro date italiane. Com’è cantare in giro per il mondo? C’è qualche differenza nel modo in cui il pubblico ascolta la vostra musica?
Cantare in giro per il mondo penso sia la cosa più bella del mondo: meglio di fare l'astronauta, meglio di fare il pirata, meglio di fare il bibliotecario, meglio di fare l'enologo, meglio di fare il porno attore.. Si, penso sia il mestiere più bello del mondo.
Per quanto riguarda il suonare fuori dallo stivale possiamo dire che il live ha una potenza ancora molto forte, più forte di quella che c'è in Italia. La gente ha ancora tantissima fame di live, li frequenta molto più volentieri. Si può dire che il concerto è ancora una grande tradizione sociale... Almeno in paesi come Francia, Olanda, Germania, Austria, Belgio, Repubblica Ceca.
“E quindi la vera questione è che le strofe d'amore porteranno a lottar”, ma anche “Mentre la gente si ammazza io e te facciamo l'amore...” domanda stile Marzullo: è l’amore che implica la rivoluzione o la rivoluzione che non esiste senza l’amore? Che poi… cos’è per voi la vera rivoluzione?
Stando a quello che dicevamo nel 2015 “la revolucion es amor”. Con questa canzone concludevamo il disco in cui ci domandavamo appunto questa cosa… ma ormai è passato tanto tempo, dovremmo rianalizzare tutto il discorso con la testa che abbiamo oggi. Non lo so, forse fondamentalmente non c’ho mai capito un cazzo e tento di fare tutte e due le cose, rivoluzione e amore, in egual misura. Così almeno siamo sicuri di non sbagliare.
Un proverbio indiano recita: “Viaggiando alla scoperta dei paesi troverai il continente in te stesso”, qual è l’importanza del viaggio per voi?
Se contiamo tutti i paesi dove abbiamo suonato si può capire come il viaggio ormai sia un componente in carne ed ossa del gruppo. Le ore di furgone, dormire per terra negli aeroporti, parlare tante lingue, ormai sono cose entrate nel nostro profondo. Questa cosa ci ha cambiato per sempre la testa, oltre che a livello musicale anche a livello intimo. I miei anni vissuti in Latino America e nelle capitali europee prima di suonare nella band hanno segnato sicuramente la nostra narrazione. Poi il viaggio è la base della vita. In viaggio devi imparare a camminare, a fidarti del tuo istinto, a sopravvivere, a sbagliare strada, a perderti, a ritrovarti… il viaggio è la dimensione naturale dell’essere umano. La formazione del suo essere più profondo è un viaggio, la creazione del pensiero umano è un viaggio, la musica è un viaggio. Cazzo ora spero di non essere stato troppo banale, anzi, rileggendomi penso di esserlo proprio stato.
“Se la cantiamo ci passerà”, penultimo singolo uscito, è una chiamata al cambiamento, all’ «interrogarsi sul significato di progresso e sviluppo che erroneamente, come diceva Pasolini, si pensa siano sinonimi>>. Da dove parte il cambiamento, o meglio, da dove dovrebbe partire?
Beh, guardiamo la situazione attuale. Se noi avessimo investito sul progresso, oggi come oggi, il problema del Covid-19 non esisterebbe. Una società basata sul progresso terrebbe conto della natura, abolirebbe i disboscamenti, ridurrebbe il consumo massivo e nocivo al quale siamo abituati. Una società basata sul progresso rispetterebbe habitat naturali e così facendo, forse, un maledetto pipistrello sarebbe rimasto a volare nella sua foresta invece di infettare mezzo modo. Per la prima volta tutti coloro che c’hanno fatto credere che lo sviluppo camminasse parallelo al progresso stanno facendo i conti con questo madornale errore di calcolo, forse finalmente toccando interessi economici e assetti politici ci sveglieremo e cercheremo insieme di raddrizzare il tiro del nostro prossimo orizzonte.
“Il mondo non finirà per un virus, il mondo finisce se non ci sono più donne” questo il vostro bellissimo messaggio di auguri lo scorso 8 marzo. Spesso vedo e sento di donne definirsi “femministe” inneggiare alla superiorità femminile e non all’uguaglianza, progetti e campagne di marketing che sfruttano la parola femminismo per un “pinkwashing”, cioè l’uso dell’emancipazione femminile per fini puramente commerciali. Rita Levi Montalcini diceva “Credo nelle donne, ma non credo nei movimenti femministi.”
Secondo voi, si arriverà mai ad un'uguaglianza di genere continuando così? Pensate che la musica, e l’arte in generale, possano aiutare? Ma soprattutto, perchè è così difficile considerarci tutti uguali e liberi allo stesso modo?
Se ancora oggi dobbiamo parlare di diritti delle donne e di quote rosa forse la strada è ancora lunga purtroppo. Sinceramente penso che ancora ci sia un forte maschilismo nel nostro paese ed è veramente pesante. Io sfortunatamente non sono una donna, ma se lo fossi, non mi sentirei ancora rappresentata da questo mondo.
In “Gabriel” cantavate: "Oggi al futuro nessuno ci crede, ma lo si può raccontare". In un periodo così complicato che oscilla tra speranza e stanchezza, che futuro possiamo raccontarci?
Un futuro seduti nell’erba, a tuffarci nel mare, un futuro a vedere i tramonti e le albe insieme. Un futuro senza nessuno lasciato in mare. Un futuro plastic free, un futuro senza nucleare, un futuro senza auto, un futuro se non proprio vegetariano, almeno con un consumo di carne più ridotto. Un futuro senza Trump e Putin. Un futuro con meno messaggi scritti e più parole dette, un futuro di fatti e non di tweet. Un futuro dove le corde da chitarra costino poco. Un futuro senza Salvini. Un futuro con una la Libia in pace. Un futuro dove chi abita questo mondo abbia il diritto alla felicità, a decidere dove vivere, ad essere libero. Un futuro dove l’occidente riprenda in mano il suo pensiero e ricerchi nuovi valori di felicità. Un futuro dove la Siria venga ricostruita e la smetta di essere trattata come un campo di battaglia da 4 stronzi che fanno morire bambini mentre mandano i propri figli nelle scuole più costose del mondo. Un futuro così sarebbe meraviglioso. Noi lo continueremo a raccontare.
In questo periodo in cui sentiamo quasi tutti la mancanza di qualcuno, la musica di certo ci resta accanto per riscaldarci un pochino, ci consigliate un album da recuperare nell’attesa di tornare a dare besos?
Ve ne consiglio tre e tutti tre italiani: Costa Brava - I Camillas Sumo - Management Natura Viva - Eugenio in via di Gioia
Quasi dimenticavo...Domanda da un milione di dollari: Ma l’amore, quello vero, cos’è?
Questo lo diciamo solo ai concerti. Quando finirà il lockdown vieni a quello che avrai più vicino a casa e te lo diremo :)
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