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In lista per entrare nel Club Andromeda con Maltus - Intervista

Dopo aver esordito con il disco "Flash" e aver portato in giro per l'Europa la sua musica, Emanuele Delli Cicchi, in arte Maltus, fa una sosta al "Club Andromeda": il luogo fantastico che dà il nome al nuovo album scritto interamente in italiano e prodotto insieme Valerio Bulla, Alessandro Donadei e Jesse Germanò. Muovendosi tra cantautorato e pop alternativo, l'artista romano ci racconta le tappe di un viaggio che sembra non finire mai.



Hai descritto “Club Andromeda” come un concept album sul viaggio; come mai hai deciso di accostarlo a qualcosa di statico come il club? Si tratta di due sensazioni contrastanti o parallele?

Il club, per come l’ho inteso io dando questo nome, non ha nulla di statico. Ho chiamato il disco “Club Andromeda” perché ho immaginato un club che si chiamasse così e che stesse quasi fuori dall’orbita, in cui suonasse questa musica particolare, quasi “cassa dritta”, elettronica, ma anche con un songwriting classico e romantico.


Il club non lo vedo come una cosa statica, lo vedo più come una cosa dinamica in cui c’è ritmo, c’è beat che cambia nel tempo perché cambiano le persone che ci stanno dentro, cambia la musica, cambia il mood.


Chi sono le persone all’interno di questo club?

Questo album parla di varie sensazioni, varie storie, varie persone incontrate. C’è un aspetto autobiografico, però è un club in cui ci sono anche dei totali sconosciuti. La cosa che mi soddisfa di più da quando faccio musica è di arrivare a qualcuno che magari non conosco per niente. La faccio assolutamente per persone sconosciute e lontane da me, dal mio stile di vita, dalle mie abitudini. Per me la gente che non conosco è la più interessante.


Hai un target di ascoltatori ben preciso o non ti prefissi questa cosa quando scrivi un album?

Quest’album, rispetto al precedente, è molto più trasversale. Ci sono delle cose che piacciono ai ragazzi un po’ più piccoli e ci sono delle cose abbastanza classiche che possono piacere a persone più grandi di me. In questo caso il range dell’ascoltatore forse è un po’ più ampio.

Ti direi che non ho un target di età prestabilito e neanche l’ho cercato mentre scrivevo. Non mi sono mai posto questo obiettivo.


In “Mercurio” canti: “Ho più ricordi di quanti vogli ammettere”; qual è il tuo rapporto con il tuo passato artistico? A distanza di un paio d’anni dalla sua uscita come lo senti “Flash”, il tuo disco d’esordio?

Mi sembra che ne siano passati tantissimi. “Flash” ha avuto una storia un po’ travagliata perché è uscito in un periodo ancora influenzato da restrizioni. Lo guardo sicuramente con affetto. È un album che mi ha sbloccato molto, però mi rendo conto che è l’inizio di un percorso che adesso è molto più chiaro e definito. Questo album è molto più evoluto rispetto a “Flash”.




Se dovessi necessariamente scegliere tra i live club esteri (magari quelli londinesi in cui hai mosso i primi passi) e quelli italiani per presentare il tuo album, quali sceglieresti?

Sceglierei quelli più belli indipendentemente da dove si trovino. Ci sono posti di Roma che sono molto più belli di quelli di Londra e viceversa. Dipende sempre dal posto. È un falso mito il fatto che ci sia una maggiore qualità estetica, acustica fuori. Forse c’è un po’ più di gente che suona a livello professionale, quello sì. Il pubblico è altrettanto interessato e interessabile sia qui che a Londra, a New York o a Tokyo. Suonare dal vivo è bello qui, come è bello farlo a Londra. L’unica differenza che mi viene da dirti è che a Londra si comincia prima a livello d’orario, però, per il resto, in realtà ci sono molte meno differenze di quanto si voglia mitizzare. L’ho visto di persona e lo posso confermare: la mitologia dell’estero è sopravvalutata.


All’estero presenti/presentavi anche i pezzi in italiano o solo quelli in inglese?

A me piace fare tutte e due. Prima di pubblicare le canzoni, ho sempre guardato con un po’ di antipatia i progetti mischiati. Uno stesso disco con canzoni in italiano e canzoni in inglese non mi piace perché mi sembra una compilation messa così un po’ “con la colla”. Per me un album deve essere o in italiano o in inglese. In realtà, però, quando ho iniziato a scrivere, mi sono reso conto che alcune cose le scrivevo automaticamente in inglese, mentre altre mi venivano automatiche in italiano. Quindi devi semplicemente assecondare l’ispirazione e poi raffinarla.

Se dovessi suonare all’estero farei sicuramente qualche pezzo in inglese e qualcun altro in italiano. Non è che canterei una “Mercurio” in inglese, “Mercurio” è così e la canterei così.


In “Limbo” dici: “Non c’è tregua per quelli come me e te”; chi sono quelli come me e te?

In quella canzone faccio riferimento ad un periodo un po’ tormentato in cui non c’era molta serenità: stare sempre in viaggio, a lavoro, non dormire la notte, fare le ore piccole, scoprire città nuove, perdersi. Può piacere, ma può essere anche un po’ stancante. “Non c’è tregua per quelli come me e te, buon week end!” per dire: “Forse ci dobbiamo rilassare un attimo”.


Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

In futuro ho in programma di collaborare con altri artisti, cosa che ho già iniziato a fare, ma non c’è ancora nulla di pronto. Poi ho in programma di fare un altro album che ho già iniziato a scrivere, che è già praticamente scritto. Sarà molto diverso da “Club Andromeda”, sarà un po’ più ambiziosa come idea. Avrei molta voglia di portare in giro, per un po’ di date selezionate, in alcuni club specifici, “Club Andromeda” e sto preparando la formazione che lo farà.


Non sei uno di quegli artisti che suonerebbe anche nel paesino più sperduto d’Italia solo per il gusto di suonare? Hai un’idea ben precisa di come debba essere un tuo live e vorresti un pubblico ben preciso?

Non sono molto selettivo. Ci può essere un festival in un posto che ha dieci abitanti, ma se l’idea è figa ci vado. In passato ho suonato per altri gruppi, sono andato un po’ ovunque e ci sono state date interessanti anche in posti molto lontani e piccoli. Però, visto che quest’album ha un’estetica un po’ particolare, mi piacerebbe non fare tantissimi live, mi piacerebbe farne pochi, ma in cui riesco a portare sul palco il significato di quest'album.



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