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Dodicianni, il nuovo ep "Il meglio di" e la musica che si insinua nella vita di tutti i giorni - Intervista

Dodicianni torna a far parlare di sé con "Il meglio di", un EP che, già dal titolo ironico e provocatorio, racchiude l’essenza del suo approccio artistico: esplorare storie intime con un linguaggio diretto e uno stile che mescola il familiare all’inatteso.


Dalla riflessione sull’hype nell’industria musicale alla scelta di frasi tratte dall’EP esposte anonimamente per le strade di Milano, il cantautore dimostra che la sua arte non si accontenta di rimanere confinata nei canali tradizionali. Al contrario, la sua visione è quella di un’arte che si insinua nella vita di tutti i giorni, sorprendendo, emozionando e interrogando chiunque vi si imbatta.



In questa intervista Dodicianni ci porta a scoprire le sfumature di un progetto che è molto più di un disco. È un’esperienza che unisce musica, arte visiva e narrazione, come dimostrato dall’evento di lancio: un tour guidato immersivo in un museo, dove Dodicianni ha trasformato i visitatori in spettatori di un racconto unico.


 

Ciao Dodicianni e bentornato su IndieVision! Hai descritto questo tuo nuovo EP “Il meglio di” come un viaggio tra relazioni e frammenti di vita quotidiana. In che modo la musica per te riesce a rendere universali queste esperienze personali?

Ciao ragazzi, in verità non so se la musica (la mia almeno) ci riesca davvero, o almeno, non è una mia priorità quello di renderle universali. Il mio è più un rapporto empirico con le storie, le raccolgo e le provo a raccontare, tutto quello che succede dopo esula dal mio potere.


L’evento di presentazione dell’EP prevedeva un’esperienza immersiva in un museo, con un “finto tour guidato”. Come ti è venuta l’idea di unire il pre-ascolto delle tracce con un contesto così artistico? Qual è il messaggio che vorresti lanciare con questa iniziativa?

Io adoro le cose finte, adoro le luci, i neon, Las Vegas e quel brividino infantile che ti da fare le cose di nascosto. Mi sembrava un buon modo per raccontare tutto questo infilarsi in un museo e, all’insaputa di guardiani e curatori, creare una nuova narrazione che unisse musica e opere. Chiaramente è sempre difficile riuscire ad interagire con queste grandi istituzioni, perciò abbiamo deciso di non farglielo sapere. Eravamo come una piccola comitiva in gita, tutti con le proprie cuffiette e io con un microfono. E’ stato divertente.


La scelta del museo come luogo di debutto sottolinea una forte contaminazione tra musica e arte visiva. Come questi due mondi si influenzano nel tuo processo creativo? Quanto ti piace osare?

Personalmente sì, sono due mondi che devono necessariamente unirsi. Fatico a dirti un disco che ho apprezzato negli ultimi anni che non fosse legato da un immaginario caratteristico. Può sembrare brutto da dire, ma la musica solo musica un po’ mi annoia. Per i miei pezzi stessi molto spesso immagino prima un mondo dove declinarli prima ancora di scriverli.

Osare? Seguo molto la F1, tifo Williams da quando sono bambino, è stata perennemente ultima o penultima negli ultimi 10 campionati, direi che osare (e perdere) sia nelle mie corde.


La title track riflette in modo critico sull’industria musicale e sull’ossessione per l’hype. Quanto è importante per te mantenere l’autenticità in un contesto così competitivo?

Io credo ci sia spazio per tutti, Milano in particolare è molto legata al concetto di Hype, ma credo si possa fare musica anche senza subirne il fascino adulatore. “Il meglio di” è una traccia che parla proprio di convivere col fatto che la musica è un’attività totalizzante, chi se ne occupa ha la testa solamente lì, costantemente immerso, tralasciando altre cose altrettanto importanti della vita. Questo pezzo è un po’ una promessa che faccio a me stesso e alle persone che mi sono vicine. C’è anche altro. E poi sì, mi faceva abbastanza ridere che il titolo sembrasse una sorta di fake best of di quelli che si trovano negli autogrill a 12,90.


I manifesti anonimi con frasi tratte dall’EP che hai usato per annunciare questo tuo nuovo lavoro sono un’idea molto potente. Cosa speri che le persone provino leggendo quelle frasi per strada, senza sapere subito che provengono dalla tua musica? Da dove deriva la decisione di mantenere l’anonimato per così tanto tempo?

Come ti dicevo prima adoro le sorprese, desideravo proprio che uscendo dalla metro o facendo il solito percorso casa-lavoro, una persona potesse imbattersi in una frase totalmente fuori contesto che potesse però parlare a lui. O magari suscitare un ricordo, un’immagine. Non era importante che la cosa fosse direttamente riconducibile alla mia musica. Non è sempre marketing, QR code, spotify, la gente merita di più.


Molti artisti stanno esplorando modi alternativi di comunicare con il pubblico. Pensi che queste installazioni urbane possano essere una nuova forma di “galleria d’arte contemporanea”? Rompendo i canonici schemi di comunicazione ai quali siamo stati abituati.

Penso che il bello di questo settore sia che vale tutto. Chiunque può avere un’idea, esprimerla, più è fuori dagli schemi e meglio è secondo me. Ultimamente molti artisti stanno cercando di uscire dalla dinamica solo digital e tornare ad un supporto “fisico” e questo credo sia stimolante.


“Milano” è un simbolo ricorrente in questo EP. Qual è il tuo legame con la città e come ispira la tua arte? La odi o la ami?

Abito a Milano da poco più di un anno, per ora è un grande parco giochi perciò mi sentirei di dirti che la amo. E’ molto finta come città, questo gioca a suo favore nella mia visione. E poi adoro che, almeno tra le persone che frequento, nessuno sia di Milano, è una piccola Los Angeles senza i tramonti. E’ terribile e cinica, ma proprio per questo le cose belle si notano di più. Metti Venezia per esempio, lì è tutto troppo bello, troppo poetico, come puoi pensare di esprimere qualcosa che competa con questi canoni.


Cosa ci dobbiamo aspettare dalle tue future iniziative artistiche? Hai in mente altri esperimenti che uniscano arte e musica?

Purtroppo non ho una timeline così chiara riguardo nuovi progetti, sicuramente l’obiettivo principale è suonare questo disco un po’ in giro nei prossimi mesi. Di certo c’è che sono super disorganizzato con la programmazione, pensa che Filippo (il manager, Nevada Production) mi ha costretto ad installare Asana per provare a dare un’inquadrata alla mia vita. Magari per le prossime cose parto da lì :)

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