Questa domenica vi portiamo un pochino indietro nel tempo, più precisamente al 2013 anno d’uscita di “Disordine” album d’esordio da solista di Cosmo.
In quell’anno infatti, dopo 3 dischi come voce e synth dei Drink to Me, Marco Jacopo Bianchi (in arte Cosmo) decide di intraprendere una nuova strada, alla ricerca, in solitaria, di una nuova forma di musica e di espressione; un percorso che lui stesso in una vecchia intervista definisce un “po’ traumatico all’inizio”, ma che lo porterà ad essere uno dei principali protagonisti della scena musicale italiana attuale.
Filo conduttore della musica di Cosmo è il caos: è una musica ricca di sperimentazione e di ricerca sonora, passione e psichedelia, si passa dal cantautorato strumentale più libero al pop elettronico, spesso frutto di improvvisazione totale. Attenzione però: improvvisazione, caos creativo e varietà stilistica non sono sinonimi di leggerezza di contenuti, ma anzi, fanno da cornice a dei messaggi intrinsechi e spesso molto profondi.
“Le cose più rare” ne è un chiaro esempio. In questo brano Cosmo affronta il tema della morte, del funerale e di come sopravviverne, in modo molto singolare. Cosmo riesce a tessere una trama in continua evoluzione: abbandona lo schema classico strofa/ritornello e si lascia guidare dai suoi pensieri, in quello che Joyce definirebbe il metodo dello “Stream of consciousness”. Anche la musica sembra farsi da parte per lasciare spazio ad un testo importante, creando una sorta di eterea atmosfera elettronica che lascia scivolare il testo fino alla fine.
Questo flusso di coscienza parte da una domanda, una preoccupazione: “Ci ho provato, lo giuro, ma non riesco a capire: cosa cazzo è successo? Mi sembra di affogare” ,che lascia spazio ad un sensazione di panico e di malessere che viene alla luce ancora di più con la citazione di “Teorema”, film del 1968 di Pier Paolo Pasolini, in cui il protagonista dopo l’incontro con “l’ospite”, personaggio che sconvolgerà la sua vita e quella della sua famiglia, si lancia in una fuga senza meta correndo e urlando nudo in un deserto. (“Ora ho voglia di urlare come Paolo in Teorema, nello stomaco ho il fuoco mentre la terra trema”).
Nella seconda parte del brano, questa sofferenza e questo malessere lasciano spazio ad una visione più oggettiva e distaccata, c’è la consapevolezza della temporaneità della vita e la crisi sembra quasi essere accettata.
“Gli spazi, la pelle, le linee dei nostri volti, gli odori, le voci, le nostre stupende parole si disperderanno nel tempo, nel vento, nei tuoni, nei lampi. E resterà il silenzio”
Nonostante questo però, Cosmo sottolinea come ogni vita, ogni corpo e ogni singolo istante confluirà in un qualcosa di più grande, oltre la morte, in una fusione totale con la natura, (“Saremo orizzonti e ci potremo ammirare, ci nasconderemo nel profumo del mare”), e con ciò che ci circonda, fino a ritrovarsi nelle cose più rare, e non serve neanche farsi prevalere dalla paura, perché non lo potremo capire finché ciò non avverrà, bisogna solo lasciarsi cullare fino al tramonto. (“E sarà superfluo non saperlo spiegare: al tramonto di tutto potremo capire”).
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