Inizio questo live report con un’amara confessione: non mi sono appuntata la Scaletta. Non potendo fare affidamento soltanto sulla mia scarsa memoria, ho dovuto ricostruirla chiedendo aiuto a Internet e a mio fratello, che era insieme a me.
Sì, lo so, non è per niente professionale. Potrei proprio tenermelo per me e far beatamente finta di niente. Il codice deontologico delle giornaliste e dei giornalisti musicali, alla voce “Accortezze Per Scrivere Un Live-Report (Forme, requisiti, cose da evitare)” (per chi non fosse pratica/o del manuale, si trova proprio sotto alla sezione: “Essere Pagate/i? Ve Lo Potete Scordare. Passione Ce Vole, Passione!”), dà come prima indicazione il prendere appunti, con un lungo paragrafo interamente dedicato alla Scaletta.
Il motivo è semplice ma fondamentale: è l’ossatura del live. C’è chi si è sempre rifiutato di scriverla e ha preferito improvvisare ogni volta in modo diverso (i Pearl Jam per esempio sono grandi sostenitori di questo approccio), ma in generale la Scaletta può decretare da sola il successo o il flop di una serata, la soddisfazione del pubblico o la sua delusione. Perché sì, la bravura di un/a musicista e di una band, la presenza sul palco, sono fondamentali, ma le canzoni giuste lo saranno sempre un po’ di più.
A mia discolpa, c’è un motivo molto importante che mi ha portato a dimenticarmi di quel gesto ormai automatico, cioè prendere il telefono, aprire una nuova Nota e segnarmi le varie canzoni suonate, in ordine: me la stavo spassando e mi è proprio passato di mente. Ero troppo impegnata a cantare, ballare e godermela.
Tutta questa manfrina per dire una cosa riassumibile in davvero poche parole: Fulminacci sa come farti divertire. Nel suo live è tutto giusto: sono giuste le canzoni scelte, il loro posizionamento, la suddivisione precisa tra brani-da-sballo e brani-da-accendino, l’equilibrio tra i pezzi vecchi e nuovi, uscite nell’ultimo album “Infinito +1”. Sono giustissimi i balletti e le coreografie, ormai un marchio di fabbrica per Filippo Uttinacci e i musicisti che lo accompagnano sul palco, per l’occasione vestiti con tute blu da meccanici mentre lui sfoderava un completino argentato, gilet e pantaloncini, un po’ Willy, Il Principe di Bel Air, un po’ Space Jam, molto anni ’90.
Tutte/i cantavano tutto: dai brani più complicati da seguire parola per parola come “Borghese In Borghese”, nel suo simil-rap à la Silvestri, con cui ha aperto, o “Spacca” e “Ragù”; alle ballad come “Le Biciclette”, “Una sera” o la ben più recente “Occhi Grigi”, alle quali è stato riservato uno spazio speciale a metà concerto – giusto pure quello. Poi si è tornati a ballare con “La Vita Veramente”, “Aglio e olio”; una breve lacrimuccia con “+1” e via di nuovo a saltare con “Tattica”, “Baciami Baciami” e “Tommaso”. Le generazioni sotto palco sono le più diverse: c’è quella di Fulminacci, che è anche la mia (quella terra di mezzo che non è anni '90, né '00); ci sono ragazze e ragazzi ben più giovani di noi; fino ai bambini e alle bambine, alcune/i che battono le mani a tempo mentre si godono il concerto sulle spalle dei genitori. Le canzoni del cantautore romano sanno mettere d’accordo un po' tutte/i.
Il live si è concluso con “Santa Marinella” - “la canzone con cui ho perso Sanremo”, come ha detto l’artista sul palco; ma per l'Umbria Che Spacca è diventata una vittoria, con un na na na corale che né il pubblico né Filippo, dal palco, sembrava voler portare avanti per tutta la notte.
Perciò sì, lo ammetto. Non mi sono segnata la scaletta. Ho fatto un solo, pessimo video. Per quanto mi riguarda, però, non sono cose negative. Dimenticarsi di tutto e pensare solo a ballare? È la dimostrazione di aver assistito a un ottimo concerto.
Comments