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Calcutta: abituare i propri fan a non abituarsi mai, è il caso di "Relax" - Recensione

Immagine del redattore: Edoardo PrevitiEdoardo Previti

di Edoardo Previti e Ludovica Petrilli


E' passato ormai un mese dal grande ritorno sulla scena di Calcutta con il suo nuovo disco "Relax", un album che è stato argomento di discussioni e che ha diviso un po' la critica, tra chi urla al gran ritorno di Edoardo sulla scena e chi si aspettava qualcosina in più, tra chi è tornindietro nel tempo a cinque anni fa nello stile tra il cantautorato e l'assurdo alla Calcutta degli anni passati e chi non vede soddisfatte le proprie aspettative coltivate per più di cinque anni di assenza. Ci siamo presi un po' di tempo per riascoltarlo bene e per guardarci l’enormità di Tik-Tok e video pubblicati con in sottofondo "Tutti" o "2 minuti", tra i singoli più citati del disco, per essere pronti a dire la nostra su questo attesissimo ritorno in scena. Sedetevi comodi e iniziamo.


Che a Calcutta non piacciano le entrate in scena tradizionali era ormai ben chiaro, a partire dal suo ritorno sui social lanciando un tour andato sold-out ancor prima di annunciare il nuovo disco, ai live sul tetto della Rai a Roma, alla performance artistica con Nico Vascellari. Sicuramente parliamo di un cantautore che negli anni ha saputo abituare i suoi ascoltatori al non abituarsi mai. Sarà anche questo il motivo per cui "Relax", così come era stato per "Evergreen" e "Mainstream", risulta uno di quei dischi da ascoltare più volte e attentamente per immergersi a pieno nel mood che ci prospetta.


Una cosa è certa: da un punto di vista musicale per questo lavoro Calcutta, con l'aiuto sia di suoi collaboratori storici come Giorgio Poi, Andrea Suriani e Giovanni De Sanctis e inaspettati come i francesi Laurent Brancowitz dei Phoenix e Myd, ha alzato l’asticella degli arrangiamenti e delle basi prodotte, curando nei dettagli la parte musicale del disco. In “Relax” si ha la sensazione che ci sia una perfetta coesione tra musiche e parole: il ritmo e il significato dei testi evocano infatti immagini ed emozioni forti e ben precise. In un sound nato per essere fortemente anni ’70 rispolverato in chiave moderna, si può cogliere sempre una sfumatura diversa di qualche strumento: una chitarrina che sembra quasi far eco alle parole, delle incursioni di violini, ottoni che sembrano andare per una propria strada e dei synth e delle pianole che sbucano quasi all’improvviso. Una cura nei particolari ma anche un cambio di rotta rispetto al precedente disco, che fa si che per cogliere tutti i dettagli presenti ci sia bisogno di un ascolto in più per focalizzarli a pieno.


Il disco si apre con "Coro" brano realizzato e coprodotto con Laurent Brancowitz, membro dei Phoenix. Questo è il pezzo che non ti aspetti e che al primo ascolto ti fa sorridere. In antitesi con il sound cullante e delicato, le voci del coro trasmettono un senso di disorientamento, ancor più evidenziato da un testo diretto e malinconico. Se Calcutta ha voluto scombussolare gli animi dei suoi ascoltatori già alla prima traccia, ci è riuscito perfettamente, accogliendoci all’interno del suo quarto lavoro con una convincente contrapposizione tra un’armonia celestiale (degna dei migliori canti degli alpini) ed un testo immediato dal sapore agrodolce e disilluso.


A seguire "Giro con te": una canzone dai fortissimi echi battistiani - provate a chiudere gli occhi ascoltando il cantato nei versi immediatamente precedenti al ritornello - che sembra raccontare, sempre alla Battisti - Mogol, una storia d'amore finita lasciando l’amaro in bocca. In realtà il brano narra un momento malinconico dell'artista durante il lockdown. Ai microfoni di radio deejay, l'artista considera questa canzone "lockdownosa" perché esprime il pensiero infranto di fare questo giro con la persona amata, in un periodo storico che purtroppo limitava i contatti umani.

Con "Controtempo" si balla, grazie al suo sound funkeggiante e dal forte sapore anni ’70, un misto tra Alan Sorrenti e il Battisti di prima. Questo brano parla di un amore in "controtempo", una relazione dal finale già scritto tra due persone diametralmente diverse, come simboleggia l’iconico verso "guerra persa non ero mai finito a letto con una di destra". I due opposti sembrano essere consapevoli del fatto che si attraggono, ma che non potranno mai funzionare insieme, a causa delle loro non colmabili differenze. Nonostante questo c'è una nostalgia nel ricordo dell'altra persona, un delicato ricordo riportato alla mente.


2 minuti” è il brano più radiofonico dell’intero disco nel quale Calcutta già dai primi versi sembra volerci dire che, a volte, bisogna prendersi due minuti prima di dire o fare qualcosa, fermarsi un attimo per pensare prima di agire. Nel ritornello, da cantare rigorosamente a squarciagola, ci descrive anche quell’ansia che ci assale quando si vede o si intravede da lontano la persona di cui si è follemente innamorati. Davanti a questa apparizione, reale o solo immaginaria, il protagonista del pezzo diventa una sorta di Casper tachicardico che non vede l’ora di scomparire, ma non in un abbraccio. Questa canzone, a parer mio meravigliosa, è resa ancor più strepitosa dall’eco che le chitarre fanno alla voce mischiandosi ai synth durante il ritornello, un vero e proprio colpo di genio.


Scritto insieme al cantautore Davide Petrella, in arte Tropico, "Tutti" è il brano più vicino ai precedenti lavori dell'intero disco, ritroviamo a pieno la comfort zone di Calcutta. Canzone tristemente disillusa che potremmo inserire nella schiera degli inni generazionale di noi giovani spaesati e falliti di fronte ad una società che non garantisce molte sicurezze e fiducia lavorativa e sociale. La progressione armonica, così come le immagini che il testo evoca, evidenzia ancor di più questo senso di frustrazione verso tante di quelle realtà che vediamo sulla stampa, da guerre a crisi economiche e cambiamenti climatici, che non ci lasciano assaporare a pieno l'idea di futuro che meritavamo.


Poteva non esserci un brano strumentale in "Relax"? Certo che no ed ecco "Intermezzo3", musica sperimentale nata durante un viaggio in treno di Edoardo che ha dato vita a questa apoteosi di drum machine, synth e suoni campionati, bella seppur così breve.


Il pezzo più triste e tagliente del disco è assolutamente "SSD" come è già chiaro dall’incipit "Se questo è il mondo, allora lo rifiuto". L’aria di smarrimento è la protagonista di questa canzone. Una sofferenza che deriva dalle tristi emozioni che si provano quando si è colpiti da un lutto. In “SSD” si sente tutto il dolore che il cantautore di Latina ha provato di fronte alla perdita di una persona cara, un dolore profondo e lancinante che all’inizio causa un così forte spaesamento che “sembra di non esserci”, ossia si è presenti fisicamente ma non mentalmente, come distanti dalla realtà. Degna di nota quella che potrebbe essere una frecciatina neanche troppo velata a certi festival estivi in spiaggia al centro di polemiche per via della loro non così trasparente ecosostenibilità:“Non giocare col mio cuore che poi devasto una spiaggia, che ci organizzo un bel festival e poi mi lavo la faccia”.


Un brano che si discosta dai precedenti è "Loneliness": se pensavamo infatti di aver capito ed essere entrati nel mood di Relax, cambiamo di nuovo direzione con questo brano. Sentendo per la prima volta la frase "Ma che ne so, ma che no so di te? Della tua loneliness" in pochi secondi mi si è palesato davanti quel "Love mio, dove sei?" dei Thegiornalisti che mi fece rabbrividire la prima volta che lo sentii. Ascoltando il brano però più che dal testo si viene rapiti e affascinati dal sound trascinante e pieno di sorprese, come i diversi synth, le pianole vintage sparse qua e là, le chitarrine funkeggianti e dei violini dal ritmo ballerino. Loneliness sta per solitudine e infatti, come sosteneva anche Contessa in "Storia di un Artista", Milano e il nord in questo brano rappresentano sia il posto dove riuscire a fare e produrre musica più velocemente che nel resto d'Italia, sia il pretesto per parlare della solitudine nei rapporti umani "Ma che ne so perché sembriamo tutti più soli qui al nord?".


Avvicinandoci al termine dell’album c’è "Ghiaccioli" un brano che non sorprende molto neanche dopo un po' di ascolti, ma che rimane orecchiabile. Racconta con poco elemento di novità della nostalgia post rottura di quando ci si ritrova da soli e non si riesce a smettere di pensare alla persona che abbiamo perso. C'è un tentativo vano di ottimismo nel ritornello e nel volersi dedicare a "Tutto il resto che resta da vivere", ma senza grandi espedienti letterari alla Calcutta o passaggi significativi, anzi con quella che potrebbe essere un'autocitazione a "Sorriso (Milano Dateo)" nella prima strofa: "Ti prego, parliamo di te, che, se parlo di me, mi manca il respiro". Un brano che, insomma, scivola via come un ghiacciolo.


Ma se ghiaccioli non mi ha convinto, arriviamo subito alla miglior canzone dell’intero album: "Preoccuparmi". Con questo brano Calcutta prova ad esorcizzare le proprie paure creando così un vero e proprio capolavoro, non immediato ma emozionante ascolto dopo ascolto. In questa traccia è facilissimo immedesimarsi ritrovando tutti quei pensieri intrusivi che a volte ci attanagliano e non ci fanno dormire la notte. Ecco, quando ci si sente afflitti da queste preoccupazioni, non bisogna farsi trascinare in fondo dalla propria testa, ma bisogna trovare il coraggio e la forza di combattere, chiedendo aiuto, anche aggrappandosi alle persone di cui ci si fida, come canta lo stesso Calcutta nell’emozionante chiusura del pezzo, "stammi più accanto che dentro ho l’inferno, più ti sento e più ritorno lì con te".


Il disco si chiude con il brano "Allegria". Tra una citazione a Mike Buongiorno, con il suo iconico motto e il suo altrettanto iconico gioco "Gira la ruota", Calcutta ci racconta la sua disperata ricerca di felicità. Una felicità che purtroppo è talmente fugace, come quell'amore di De André, che ogni volta che lascia la nostra anima, non si fa altro che rincorrerla senza risultati.


Più che ad un ritorno sulla scena di Calcutta - che in realtà aveva continuato ad essere presente nella scena anche se non dal palcoscenico - siamo di fronte ad un album che non sembra aver aspettato cinque anni per venire alla luce. "Relax" si colloca infatti in continuo con i primi album del cantautore, non cerca l'elemento di novità a tutti i costi né rimanda chiaramente a uno dei due album precedenti. È un album che non nasce con l'aspettativa di stupire o con lo scopo di arrivare in cima alle classifiche, ma è semplicemente un disco che rappresenta al meglio la crescita artistica di un cantautore che con gli anni è diventato simbolo della scena romana italiana. Se "Coro" ad aprire al disco ci lasciava intendere una forte sperimentazione e distacco dal passato, in realtà andando avanti con l'ascolto ci ritroviamo, dal punto di vista lirico, il Calcutta che avevamo già conosciuto, magari meno tagliente che in passato, e musicalmente un nuovo Calcutta, più aperto alla realizzazione di armonie e melodie strutturate, dove più elementi si sposano tra loro. Il suo quarto lavoro fonde il classico stile a cui l'artista ci ha abituati ad una volontà di fare un passo in avanti tecnicamente, seguendo una propria strada, escludendo la ricerca spasmodica della hit e lasciando in secondo piano anche l'umorismo lirico che caratterizzava da sempre i suoi lavori, per testare invece nuovi orizzonti armonici che ci fanno scoprire una parte inedita del cantautore.


Forse la chiave per comprendere l'intento del disco è proprio nel titolo "Relax", che sa di pausa, una pausa, che ha in sé i primi vagiti di un'iniziale cambiamento, di rivoluzione, nello stile di Calcutta.

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