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Brucherò nei Pascoli: L'EP 'Nolotov' e la musica come riflesso di vita - Intervista

"Nolotov" è l'ultimo capitolo pubblicato dei Brucherò nei Pascoli, un'opera che affronta in modo diretto e provocatorio il tema della gentrificazione. Una denuncia dell'impatto negativo della "riqualificazione culturale" che, sebbene presentata come un miglioramento, ha in realtà portato a un'esclusione sociale e a un aumento vertiginoso degli affitti. "Nolotov" è il loro grido di resistenza contro una Milano che sembra dimenticare i suoi abitanti più vulnerabili, trasformando la musica in un potente strumento di consapevolezza e lotta sociale. Il loro impegno musicale, influenzato direttamente da queste dinamiche sociali, si esprime in brani come "Gesù Bambino", caratterizzato da un tono provocatorio e politicamente esplicito di cui ci hanno parlato nell'intervista.



Ciao e bentornati su IndieVision! Da poco è uscito “Nolotov”, un ep in cui affrontate il tema della gentrificazione. Come avete vissuto personalmente l’impatto della gentrificazione nel quartiere di Nolo e come questo ha influenzato la vostra musica?

 

Siamo cresciuti tutti e tre in questo quartiere, che a noi non piace chiamare Nolo ma via Padova, viale Monza, Piazzale Morbegno… Nolo è solo un nome che è stato creato da alcune persone che abitano il quartiere da poco e che pensano sia più cool etichettarlo con un nome di stampo internazionale (starebbe per North of Loreto, la piazza principale da cui si snodano le vie che collegano il centro con la periferia). Nel nome della “riqualificazione culturale” sono stati semplicemente aperti un mare di locali e di bar, alla fine sembra che noi giovani ci ritroviamo solo per fare questo, il mito della Milano da bere non è mai finito. Le conseguenze reali sono che gli affitti si sono alzati a dismisura (secondo alcune statistiche dell’80% negli ultimi sei anni) e la maggior parte degli abitanti più poveri, soprattutto gli stranieri che abitano da anni il quartiere, sono stati costretti ad andarsene, letteralmente espulsi dalla città. Uno dei membri della band ha dovuto abbandonare il quartiere in cui è cresciuto a causa di Nolo. Se pensi che la musica è la diretta conseguenza delle nostre vite, si fa presto a capire quanto abbia influenzato il nostro lavoro.

 

"Gesu' Bambino" parla di una parata notturna in via Padova. Potete raccontarci di più su come questa traccia è nata e cosa rappresenta per voi questa strada?

 

Via Padova è la nostra casa da anni: la viviamo, conosciamo i suoi abitanti e la gente di strada… “Bar Adriana”, il nome del nostro primo EP, è il nome di un bar in cui passavamo la maggior parte delle nostre giornate quando staccavamo da lavoro.  Quel disco, di soli due anni fa, restituisce l’immagine di un quartiere che sicuramente stava già attraversando la sua corruzione, ma forse noi eravamo un po’ più euforici e ingenui, ci pareva di respirare un’aria più leggera. “Gesù Bambino” è un pezzo più duro, sia dal punto di vista del sound che dei contenuti. L’abbiamo prodotta insieme a Crookers scegliendo come sempre di utilizzare la provocazione, anche se questa volta in chiave più esplicitamente politica, inneggiando contro la polizia e mettendo tutti sullo stesso piano: “medio borghesi, rumeni al bar dei cinesi, gli sbirri e gli immigrati”. Volevamo enfatizzare la livella con cui Nolo sta appiattendo le diversità del quartiere, facendo emergere paradossalmente le differenze sociali. É un pezzo che ci piacerebbe sentir suonare dai camion dei cortei.

 

Qual è il messaggio più importante che sperate il pubblico riceva ascoltando "Nolotov"?

 

Un po’ di tempo fa lo spazio autogestito Leoncavallo faceva circolare degli adesivi con su scritto “Nolo ovvero: la stupidità dei poveri che, fingendosi ricchi, si sono alzati i prezzi da soli”. Per noi non si tratta semplicemente di un messaggio, ma di una presa di consapevolezza dell’ascoltatore. Quel che sta succedendo nel nostro quartiere sta capitando in tutto l’Occidente, dall’America all’Europa. Per fortuna sembra che in alcune grandi capitali come Barcellona gli abitanti si stiano imponendo per cambiare le norme sulla speculazione edilizia. In Italia esiste la possibilità di stabilire il canone concordato col comune, favorendo un legame fondamentale fra pubblico e cittadino. Crediamo che molte battaglie siano ancora possibili e necessarie, come quella per la casa. Ognuno deve fare il suo, noi lo facciamo attraverso la musica.

 

Avete dichiarato di fare canzoni senza preoccuparvi del genere. Come riuscite a mantenere questa libertà creativa in un'industria musicale che tende a etichettare e categorizzare?

 

Sinceramente? Non ci è mai fregato niente dell’industria musicale. Abbiamo la fortuna di lavorare con un’etichetta che ha scelto di seguire il nostro progetto proprio per la nostra poliedricità, che può essere considerata sia un pregio che un difetto. Il pregio sta nella possibilità di pensare con estrema libertà e sperimentare in ogni nuova canzone; il difetto, se vogliamo, è che oggi gli ascoltatori sono talmente bombardati che hanno bisogno di abituarsi sempre alla stessa roba, come un riflesso di autodifesa. E l’industria gliela dà, cosa dovrebbe fare scusa? Per lei la musica sono solo i soldi, sarebbe stupido proporre qualcosa di creativo e originale, forzare l’ascoltatore ad avvicinarsi a qualcosa di diverso. É la gentrificazione della musica se ci pensi.

 

Parlate spesso di personaggi sconfitti ma attaccati alla vita. Quali storie reali vi hanno colpito maggiormente e come le avete trasformate in musica?


Potrà sembrare una provocazione visto il nome di questo magazine, ma negli ultimi anni la musica indie ci ha abituato a una narrazione totalmente autoreferenziale. Tutti parlano dei loro problemi e in prima persona. Sicuramente si tratta di una reazione ai nostri tempi, ma è anche il risultato di uno sforzo minimo nei confronti della scrittura: se ci pensate, la storia della letteratura è basata sul racconto delle vite degli altri, non sono mica tutte autobiografie. La nostra ispirazione parte sempre dal racconto delle esistenze di chi ci circonda, e ci troviamo più a nostro agio nel raccontare le storie degli sconfitti perché, come diceva Paolo Conte, la vera sensualità sta nelle vite disperate.

 

Il concetto di "libertà utopica" emerge spesso nella vostra filosofia. Come definireste questa libertà e in che modo la vostra musica cerca di avvicinarsi a essa?

 

Forse perché nel viaggio conta più viaggiare che raggiungere la meta? L’utopia ha senso se ti spinge ad andare avanti e a trasformarti, è intrinseco nel concetto stesso di utopia il fatto di non compiersi mai. Per quanto riguarda la libertà non sappiamo di preciso: c’è la libertà espressiva certo, anche se pure a quella stanno mettendo il bavaglio e siamo tutti noi i primi a farlo con noi stessi. Sul concetto filosofico di libertà lasciamo parlare chi è più intelligente di noi…

 

La collaborazione con artisti visivi come Familia Povera e Murales Estremo aggiunge una componente visiva importante al vostro progetto. Quanto è importante per voi l’aspetto visivo nella musica e come scegliete i vostri collaboratori?

 

Abbiamo sempre sviluppato in prima persona la parte visiva del progetto, sia per quanto riguarda i videoclip che la comunicazione, coinvolgendo amici e persone che condividevano l’utopia dei Brucherò di cui si parlava prima. Per “NOLOTOV” avevamo voglia di stringere i legami coltivati negli ultimi anni, forse proprio per sottolineare l’esigenza di collaborazione che necessita ogni azione politica. Familia Povera è la colonna portante della grafica underground qui a Milano, con Jacopo (Fine Before You Came, Liquami) abbiamo parlato molto di cosa voler comunicare tramite i poster che sono stati attacchinati in quartiere: è stato lui a suggerirci delle immagini meno aggressive e più ironiche e aveva ragione. Murales Estremo ha aggiunto il suo tocco militante, visto che partecipa alle nostre stesse lotte di zona insieme al centro occupato T28. Ma l’altra collaborazione davvero importante è stata quella con il regista Marco Proserpio, con cui abbiamo realizzato il videoclip dell’EP. Per noi Marco è sempre stato il miglior street-filmmaker italiano e quando ci ha chiesto di lavorare insieme eravamo tutti “gasatoni”, come dice lui!

 

Per salutarci, immaginate di avere la possibilità di organizzare un evento musicale in un luogo simbolico qualsiasi di Milano. Dove si terrebbe, chi invitereste a esibirsi con voi, e quale sarebbe il tema centrale dell’evento?


Quando Luigi, il proprietario del Bar Rondò, ci ha chiesto di fare un concerto nel suo locale, siamo stati contenti di accettare. Così a fine maggio abbiamo fatto la release del disco da lui ed è stato bello andare contro Nolo proprio nel centro del suo cuore pulsante. Ma col senno di poi ti possiamo dire che forse non è stata una scelta giusta, perché alla fine abbiamo organizzato un evento che, anche se antagonista, fomentava gli stessi meccanismi contro cui ci scontriamo. Se potessimo scegliere ora un luogo ci piacerebbe suonare in uno spazio pubblico, che sia gratuito e accessibile a tutti. Un parco, al Lambro per esempio, come ai vecchi tempi del Festival del Re Nudo. Ne avete mai sentito parlare?



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