Lo scorso 12 aprile è uscito per Pluggers, "Andare, tornare", l'EP d'esordio di Anna and Vulkan, un viaggio emotivo quanto artistico che, piuttosto che dettare una fine, marca un punto di partenza tra cantautorato, funk, nu-disco, indie-pop e psychedelic pop.
Originaria della provincia di Napoli, Anna fin da piccola cresce circondata da strumenti musicali per la professione del padre, musicista e compositore, ma, nonostante questo, si avvicina alla musica lentamente e in maniera piuttosto indipendente, incominciando a suonare la batteria, uno dei pochi strumenti assenti a casa sua. Dopo aver iniziato a scrivere le prime canzoni, intorno ai quindici anni, e aver fondato e fatto parte dei Sonder, gruppo in cui era voce e batterista e con cui ha prodotto un EP, "Come ti senti", Anna si è trasferita prima a Trieste, per studiare, e poi a Vienna dove, tutt'ora, vive e lavoro come brand designer. Proprio nella città austriaca, la cantautrice originaria della provincia di Napoli che mai aveva messo da parte il suo amore per la musica, si riavvicina alla musica italiana, presente e passata, senza rinunciare ad esplorare la scena internazionale, dal jazz, all'indie-pop e via dicendo.
In occasione dell'uscita di "Andare, tornare" ed in vista della tournée che terrà occupata Anna nel corso di questa lunga estate, noi di Indievision abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con la cantautrice e di parlare del suo EP d'esordio, del suo rapporto con Pluggers, l'etichetta che ha avuto fiducia in lei, e della voglia di riscatto che, negli ultimi anni, sta facendo diventare la scena napoletana, uno degli ambienti più vivaci ed attivi sul panorama musicale, e non solo, italiano.
Ciao Anna, benvenuta su Indievision! Come stai? Come ti senti ad un mese dalla pubblicazione del tuo primo Ep?
Ciao, grazie per avermi invitata a questa intervista. Allora, come mi sento, direi molto contenta, diciamo che credo stia andando meglio di come, inizialmente, mi aspettassi. Sono molto felice che queste canzoni siano finalmente uscite siccome, è sempre particolare vedere una cosa, a cui lavorato per un bel po' di tempo, uscire fuori nel mondo. Magari è molto diversa rispetto alle aspettative che avevi, da quello che era all'inizio. È stato un processo molto graduale e non una sorta di sorpresa nel vedere le canzoni trasformarsi, etc… perché è stato tutto molto lento. La produzione dell'EP, infatti, tra contatti, lavori, attese, etc… è durata un annetto. Detto ciò, sono molto contenta di aver finalizzato questo capitolo e del fatto che, per il momento, sia stato recepito abbastanza bene.
Leggendo la tua biografia mi hanno colpito diversi aspetti, tra cui due principalmente: grazie a tuo padre, compositore e musicista, fin dall'infanzia sei cresciuta in un ambiente dove la musica era fortemente presente però, il primo strumento al quale ti sei avvicinata, è stata la batteria, uno dei pochi strumenti non presenti in casa tua, come mai questa scelta?
Guarda non ti so dire, non l'ho mai capita questa cosa e, a volte, ci penso ancora oggi. Io ho avuto un approccio alla musica molto diverso rispetto a quello di mio padre e, anche, di mio fratello, il quale adesso è uno studente al conservatorio. Ho avuto sempre un approccio molto istintivo e molto poco teorico. Infatti, una cosa di cui, non dico mi pento perché non è stata una scelta che ho fatto, ma è stata una cosa abbastanza naturale, derivante dal mio fare musica molto istintiva, è il saper leggere (la musica) molto poco, basi teoriche veramente minime, rispetto a quelle di mio padre che, invece, è anche insegnante di musica e a quelle di mio fratello che, adesso, le sta studiando. Ora che ti parlo, a proposito, sono circondata da partiture di violino. Invece, ho sempre fatto musica un po' da sola e anche se mio padre ha cercato tantissime volte di farmi mettere a studiare, non c'è mai riuscito. Diciamo che, per me, è stato un approccio sempre passivo nell'avere, appunto, tutti questi musicisti intorno, ed è come se avessi sempre deciso, inconsciamente, di separarmene, non so il perché, non so la ragione. Forse, proprio per questo, mi affascinava la batteria, uno dei pochi strumenti non presenti in casa, un qualcosa che poteva essere solo mio. Quando avevo dodici e tredici anni, ho sentito proprio questo desiderio di suonare la batteria, ascoltavo le canzoni e sognavo di suonarle, fin quando non ho avuto la possibilità di avere accesso ad una batteria, e così ho iniziato a suonarla verso i sedici anni per qualche anno, ma poi ho interrotto perché sono andata via per studiare. Adesso, finalmente, ne ho una a casa, elettronica, e continua sempre ad essere il mio strumento preferito.
Quali sono le canzoni che ti hanno spinto, ti facevano sognare di suonare la batteria?
A me, quando avevo dodici anni, piaceva tantissimo Avril Lavigne, ne ero ossessionata, anche se adesso penso che sia totalmente lontana dai miei gusti musicali. Detto questo, da piccola mi piaceva molto e ascoltavo sempre le sue canzoni e mi ricordo che pensavo che: "quando imparerò a suonare Sk8er Boi sarò bravissima" e, invece, alla fine, è una canzone molto semplice (risate di sottofondo). Immagina, però, avevo dodici, tredici anni e non ne capivo niente ma, detto questo, mi piaceva molto questa idea. Appunto, la cosa divertente, è che era una canzone molto semplice, alla fine, che, però, mi sembrava chissà cosa, forse anche perché ero super ossessionata da Avril Lavigne.
Mi intrometto dicendo ad Anna che, oltre ogni ragionevole dubbio, tutti coloro che sono cresciuti tra il 2000 e il 2010 hanno attraversato un periodo pop-punk costellato dall'ossessione per i Green Day, Blink 182, Avril Lavigne ed altri ancora.
Pensa che io, l'anno scorso, ho visto Avril Lavigne live; era a Vienna, io lo sapevo da un po' di questa sua data, e il giorno del concerto mi son detta: "ma, perché no?" e ho comprato i biglietti, in un posto orribile a lato, però, devo ammettere che n'è valsa la pena (altre risate).
In tutte le fasi della tua vita la musica è stata una sorta di filo rosso, fin da quando eri a Napoli, passando per Trieste e tutt'ora che sei a Vienna. Proprio a Vienna, ti sei riavvicinata con più passione alla musica italiana, vecchia e nuova, qual è stata la scintilla che ti ha spinto a riallacciare questo legame?
Ma immagino che sia, banalmente, un po' la nostalgia. Immagino che, quando siamo via dai posti che conosciamo, iniziamo un po' a romanticizzarli, idealizzarli a chiederci perché ce ne siamo andati, andate. Inoltre, devo dire che, Vienna, ma l'Austria in generale, è molto, molto affascinata dalla cultura italiana e quindi, per dirti, accendendo la radio è molto facile che passino canzoni italiane degli anni '80 ma, magari, anche qualcosa di più recente. Ad esempio, ultimamente, al supermercato sento sempre "Italodisco" dei The Kolors. Ogni due posti, a Vienna, uno è italiano, che sia un ristorante, un negozio, una bottega, sono veramente tanto, tanto ossessionati dall'Italia. Quindi possiamo dire che, paradossalmente, anche questo mi ha fatto avvicinare di nuovo alla musica di un tempo che, ovviamente, conoscevo, ma non avevo mai approfondito. (In Austria) Ascoltavo, di tanto in tanto, la musica italiana, anche sorprendendomi all'inizio perché dici: "wow, che strano che passino Raffaella Carrà", ma poi ho capito che, in realtà, è normalissimo, questi brani sono molto conosciuti e, anche per questo motivo, ho iniziato a dare un ascolto un pochino più attento. Pensa che, a Vienna, ho visto anche Umberto Tozzi ad un festival, credo il più grande d'Europa, che si svolge in un'isola artificiale all'interno del Danubio. A questo festival, dove ci sono tipo dieci palchi ed è gratuito, una sera, mentre ero lì, c'era Umberto Tozzi ed io non mi sarei mai sognata di vederlo live ed invece ci sono passata e ho visto tante persone che conoscevano a memoria i testi, nonostante non fossero italiani, e questa cosa è stata molto divertente. È stato, devo dire, un bel concerto, c'erano un sacco di effetti, c'era il fuoco, musicisti molto bravi e, questo Tozzi rockstar, non me l'aspettavo.
Oltre a curare la parte musicale del tuo progetto, per "Andare, tornare", e per i singoli che hanno anticipato il tuo EP, hai realizzato anche la parte grafica. Quant'è importante per te e per la tua musica essere un'artista a 360 gradi?
Allora, per molti anni, in realtà, ho avuto molto difficoltà a creare grafiche per me, non so il perché, ma ultimamente sto cercando di farlo, anche perché mi piace avere il controllo su questa parte. In teoria, questo è stato un progetto abbastanza piccolo, però mi piacerebbe, in futuro, avere una parte visual che sia più curata, parlando di video, merch, etc…, ossia, mi piacerebbe un po' curare tutto. Mi piace l'idea, comunque, di unire la musica e la grafica perché la musica è la cosa che mi piace di più al mondo ma, al secondo posto, c'è sicuramente la grafica che mi appassiona tantissimo. Quindi, non so, creare un progetto e poi curarne anche la copertina, la parte grafica è stato bello perché ho avuto l'opportunità di fare le due cose che mi piacciono di più e, in qualche modo, unirle in un progetto personale.
Quali stili hanno influenzato la parte grafica di questo tuo progetto?
In realtà, non ti saprei dire precisamente. Ci sono alcuni illustratori che mi piacciono moltissimo, ti posso citare Marìa Medem, illustratrice spagnola, che apprezzo tantissimo perché ha questo stile onirico, tutto colorato, in generale mi piace molto la grafica colorata. Mi piace molto anche quel tipo di grafica mitteleuropea, che è molto minimalista, in bianco e nero ma, appunto, penso di essere attratta di più da tanti colori che, ovviamente, hanno senso insieme, dai disegni e dall'aspetto onirico dell'illustrazione e della grafica. Apprezzo molto quando ci sono dei disegni che devi guardare un attimino di più per capire cosa vogliono rappresentare o che lasciano anche un'interpretazione. Quest'ultimo è, anche un po', il caso della copertina (di "Andare, tornare") perché, chiedendo a diverse persone, mi han detto di vederci qualcosa di diverso rispetto a quello che, per me, sarebbe uno specchio. Qualcuno mi ha detto che ci vedeva un disco ma, detto questo, a me piaceva l'idea di avere una sorta di superficie che riflettesse un'immagine e che avesse un po' un'aria onirica.
(Probabilmente, grazie ai miei studi in beni culturali, ho intuito quasi al primo colpo cosa la copertina rappresentava ma, volendo lasciare a voi lettori una libera interpretazione, procederò oltre).
"Ho cercato per ore le parole da dirti ma tanto tu le lascerai cadere per poi pentirti" (da "Girasoli")
Negli ultimi anni la scena napoletana sta vivendo una sorta di riscoperta e rinascita che ha visto emergere e affermarsi, anche a livello nazionale, artisti del calibro di Nu Genea, Liberato, Big Mama e Thru Collected. Per te, quanto è stimolante far parte di questa nuova scena?
Guarda, tantissimo in realtà. È un periodo molto, molto bello per Napoli e questa cosa mi rende molto orgogliosa. Sono contentissima che tu mi inserisca in questa scena perché, appunto, ci sono tanti artisti in tutti i campi, fotografia, arte, etc.. che vengono da Napoli e si stanno facendo sentire. Mi piace molto, anche, che ognuno di noi, di loro abbia un modo diverso di raccontare Napoli. Credo che Napoli, ovviamente, non è che lo sia perché è Napoli, anzi penso che ogni città abbia una narrativa particolare, forse abbia qualche elemento in più, anche di riscatto perché, anche se può sembrare banale, avendo vissuto fuori Napoli per anni mi sono dovuta sentire: "a Napoli, mafia, spazzatura, / è vero che se vado a Napoli mi sparano?" e tutte queste menate. Invece, vedo che questo movimento culturale ha un po' cambiato la narrativa e quindi, adesso, non si associa più Napoli a questa narrativa, ovviamente sì, ce n'è una ancora che si associa agli aspetti negativi che sì, ci sono, ma, per fortuna, adesso non ci si focalizza immediatamente su quelli e si inizia a parlare di tutto quello che c'è oltre a questo. Mi sembra quasi che ci sia proprio una sorta di voglia, delle persone di Napoli, di risollevarsi, riscattarsi e farti sentire ed è una cosa che io, personalmente, non avevo mai vissuto prima. Probabilmente c'è già stata, considerando anche la vittoria dello scudetto dell'anno scorso, e quindi ci sono tanti elementi, come anche il successo de "L'amica geniale", la quale, all’estero, si sente tantissimo, conosco, infatti, tantissime persone che hanno letto i libri e hanno visto la serie. Quindi, credo che anche questo, insomma, contribuisca un po' a cambiare la visione su Napoli che, a sua volta, si è tramutata in un boom di turisti assurdo, un avvio verso la globalizzazione, ma questo è un altro discorso.
Infatti, secondo me, grazie alla nuova scena napoletana sta emergendo un'altra faccia di Napoli, una Napoli che è molto diversa e distante rispetto a quella negatività diffusa dai soliti pregiudizi, cioè, una visione di una città molto attiva culturalmente, come lo è stata sempre, accogliente.
Esatto che poi, in realtà, è una negatività che purtroppo esiste perché, noi del Meridione, siamo sicuramente svantaggiati a livello socio-culturale. Secondo me, però, è importante che si inizi anche a sottolineare il fatto che siamo consapevoli dell'esistenza di quello che è negativo però, questo non significa che sia tutto negativo. Ed è bello che, questa narrativa, più che cambiando, stia co-esistendo con quella che c'era prima.
Secondo te, quali sono i segreti che hanno reso, negli ultimi anni, la scena napoletana la più attiva dell’intera penisola?
Bella domanda, credo che sia comunque un qualcosa che trae origine da generazioni e generazioni. Come hai detto anche tu, Napoli è sempre stata molto attiva culturalmente. Credo che sia proprio una voglia diversa, le persone hanno iniziato a fare gruppo senza fare realmente gruppo nel senso che, comunque, sono realtà distinte e separate che, insieme, vengono percepite, venendo da Napoli, come una sorta di "gruppo". Questo penso sia di grande ispirazione per tutti. Penso che, se una persona vede, appunto, questa vitalità culturale, sia anche spinta di più a prenderne parte con il suo contributo. Credo che sia questo, quello che sta cambiando un po' le cose, nel senso che c'è questa grande voglia condivisa. Sembra un momento di condivisione, come se tanti piccoli gruppi si incontrassero per poi arrivare insieme, non ad una meta, ad un punto preciso. Infine, perché appunto questa narrativa sta cambiando, penso che tutti abbiano preso un po' più di coraggio, forse, e credo che Napoli, comunque, sia stata sempre una città d'ispirazione per tantissimi artisti e continui ad esserlo, nel bene e nel male.
"Andare, tornare" è il tuo Ep di debutto uscito lo scorso 12 aprile per Pluggers, una delle etichette più interessanti degli ultimi anni. Com'è nata la collaborazione con loro?
La collaborazione con loro è nata assolutamente per caso. Quando avevo le demo dei brani, ho deciso di provare a mandarle a qualche etichetta perché, in realtà, avrei voluto collaborare con qualcuno. Non avevo grandi speranze e ho mandato una mail a diverse realtà e Pluggers, originariamente, non faceva neanche parte della lista che avevo creato perché non la conoscevo. Poi, per caso, l'ho trovata su Instagram e sono stata molto colpita dal modo in cui fanno comunicazione e, quindi, ho deciso di mandare una mail anche a loro, che, tra l'altro, era anche l'unica e-mail un po' diversa rispetto a quelle che avevo inviato precedentemente ad altri. Loro (Pluggers) nel giro di venti minuti mi hanno risposto e, quindi, ci siamo subito chiamati, qualche giorno dopo, e abbiamo iniziato a collaborare. A loro erano piaciuti molto i brani, a me erano piaciuti molto loro e quindi abbiamo iniziato ad organizzare il tutto e questo è successo, più o meno, a marzo, aprile dell'anno scorso.
Quindi, possiamo dire che, hai trovato un'etichetta che ti ha sia dato fiducia, sia capito il tuo progetto musicale che è una cosa fondamentale perché, in tal modo, sei riuscita ad esprimerei il tuo essere, diciamo così.
Sì, quello che mi è piaciuto molto di Pluggers è che hanno voluto tenere, comunque, le canzoni molto, molto fedeli a quello che erano originariamente. Ovviamente, sono state migliorate a livello di registrazione della voce, delle chitarre, registrate in studio, però, diciamo che, l'idea di base è molto simile a quella che era la demo, conservandone, appunto, anche qualche imperfezione e qualche elemento un po' ingenuo di questo mio primo progetto. Comunque, mi piace molto che lascino tanti libertà agli artisti e che siano, anche, molto presenti.
I due singoli che hanno anticipato "Andare, tornare" sono stati "Comm'è" e "Scurò", due pezzi che mostrano due sfaccettature del tuo progetto. Se dovessi descriverli con un'immagine quale sarebbe?
Forse "Comm'è" potrebbe essere, tipo, un disegno di Kandinskij, una cosa molto colorata e molto eccentrica, mentre per "Scurò" mi viene in mente, un po', Caravaggio che utilizzava questi sfondi molto scuri.
(Dopo essermi scusato per la domanda, abbastanza strana, Anna mi tranquillizza ed anzi considera molto bella questa idea e, confessa che, da ora in poi, probabilmente, inizierà a pensare ad associare una canzone ad un'immagine).
L'Ep si apre con "Staje sempe'n 13", brano in cui alterni il napoletano, all'inglese e al francese. Com'è nata questa canzone? Come mai questa scelta?
Allora, la verità è che il ritornello di questa canzone deriva un po' da un sogno che avevo fatto e non aveva senso, come la maggior parte dei sogni che faccio. In questo sogno, appunto, c'era una spiaggia, delle persone che parlavano in francese, lingua che ho studiato all'università, e, per questo, avevo deciso di descrivere un po' quella scena tenendo il francese nel ritornello. Siccome, come avevo detto prima, io faccio musica in maniera molto istintiva, nel senso che non penso troppo al testo e alla musica, faccio subito quello che mi viene che, in seguito, sistemo, mi piaceva molto l'idea che il ritornello riprendesse un po' quel sogno, anche perché, letteralmente, il significato non è precisissimo. Mi piaceva che il ritornello fosse in francese, anche perché, riprendeva il mio passato da studentessa. Inoltre, mi piaceva anche mantenere questo ritmo un po' incalzante, un po' inquieto che, un po', credo che caratterizzi anche "Comm'è". Infatti, sono due canzoni che ho scritto praticamente negli stessi giorni. Penso che entrambe le canzoni abbiano un motivo abbastanza inquieto, anche se ballabile, cioè, non sono canzoni al cento per cento allegre, anche se lo sembrano, perché, entrambe, sono un po' affannose. "Staje sempe'n 13", in realtà, è un'espressione che significa essere sempre al centro, essere sempre presente o essere sempre di cattivo umore. Esistono entrambi questi significati per questa espressione e, anche per questo, mi piaceva mantenere l'ambiguità, una sorta di inquietudine, ansia per il voler qualcosa ma, allo stesso tempo, essere infastidito dal fatto che quest'ansia era sempre lì. "Staje sempe'n 13", appunto, parla un po' delle proprie insicurezze, contraddizioni, di tutte quelle cose che ci impediscono di essere noi stessi al centro per cento e ci frenano un po'.
Le altre tracce che compongono l'EP, "Estate infinita" e "Girasoli", musicalmente strizzano l'occhio all'indie-pop, ma con echi di jazz, funk e nu disco. Volevo chiederti, tra i due, qual è stato il brano che ha avuto la genesi più lunga e difficile?
"Girasoli" è un brano un pochino più vecchio, dopo "Scurò", nel senso che è nato qualche mese prima rispetto agli altri tre, "Estate infinita", "Comm'è" e "Staje sempe'n 13". "Estate infinita" è quella che ha avuto la genesi più lunga perché, è anche quella che si è più allontanato dalla demo, perché, semplicemente, è stata molto migliorata. Non mi piaceva molto il passaggio dalla strofa al ritornello, non era molto carico e quindi "Estate infinita" è stato il pezzo a cui abbiamo lavorato un po' di più, nonostante sia la canzone più leggera dell'EP, ed è stata arricchita, però, dal basso registrato da Bruno Bellissimo. Quindi, "Estate infinita" è stata, per me, il pezzo più faticoso, non avevo assolutamente idea di cosa aspettarmi, anche perché, tra i pezzi, era quello che mi convinceva di meno ma, alla fine, sono contenta di com'è venuta.
Oltre a partecipare il 25 maggio al Mi Ami, quest'estate calcherai i palchi di diversi festival italiani, dal Poplar di Trento, al Dlen Dlen, fino allo Spring Attitude. Quant'è importante per te e la tua musica la dimensione dal vivo? Hai in mente qualche sorpresa per stupire gli spettatori?
La dimensione live, per me, è ancora molto, molto nuova, nel senso che ho fatto solo un live, prima di quello che farò tra qualche giorno, ossia quello ai Magazzini Generali il 14 marzo per il Mi Ami in veste di club tour. Non so cosa aspettarmi, sono un po' spaventata, agitata, più che altro, però sono anche molto emozionata e curiosa di vedere come me la vivrò quando diventerà una cosa che, diciamo che, succederà un po' più spesso. A livello sorprese, forse ci sarà qualche pezzo nuovo, chi lo sa... Sono molto insicura come persona e quindi spero che vada tutto bene ed essere su un palco è una cosa abbastanza difficile ma, l'ultima volta, mi sono molto divertita e quindi speriamo bene.
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